ASSEMBLEA SUPERIORI/E MAGGIORI DI FRANCIA
LA GENEROSITÀ NON BASTA
Fra i
temi dibattuti, le provocazioni della modernità alla vita consacrata. Dalla
logica del territorio a quella della rete. Una preoccupante carenza di
formazione teologica soprattutto tra le religiose. Generosità e buon senso non
bastano più. I superiori/e invitati a “osare la speranza”.
Cosa sta avvenendo nella vita consacrata in Francia? Se lo sono chiesti i superiori e le superiore maggiori, nel dicembre scorso, in occasione della loro assemblea annuale, a Lourdes. Per aiutare i 500 partecipanti a comprendere la complessità della realtà odierna, sono stati invitati alcuni esperti, fra i quali un sociologo (J.M Donegani) e una religiosa docente di teologia morale (G. Médevielle).
Il sociologo non poteva non partire da alcuni dati statistici, per capire e spiegare poi le tensioni interne alla vita consacrata. Nel mondo ci sono oggi 265.781 sacerdoti diocesani, 194.454 sacerdoti religiosi e 801.185 religiose. In pratica la proporzione dei religiosi rispetto a 10.000 abitanti è di 6 in Canada, 3 negli Usa, 0,2 in Grecia, 0,9 in Francia ma 1,5 in Polonia, 1,9 in Spagna, 2 in Italia, fino a 49 a Malta.
Tra il 1994 e il 2000 si è verificato un calo di vocazioni del 22% in Francia, Gran Bretagna, Ungheria ed Austria, del 20% in Italia e in Germania, del 9% in Spagna, del 0,9% in Irlanda, a fronte di un aumento del 2% a Malta e del 9% in Portogallo. L’età media dei religiosi in Canada è di 70 anni e delle religiose di 73 anni, negli Usa, rispettivamente, di 62 e 69 anni, in Francia di 70 e 74 anni.
UTILITÀ SOCIALE
DEI RELIGIOSI
Se è relativamente facile rilevare i dati a livello statistico, è più complesso invece valutare la situazione da un punto di vista qualitativo. In complesso, si può forse parlare di una sempre più crescente “inadattabilità” della vita consacrata nel mondo odierno, e soprattutto di “incompatibilità” tra i valori comunitari proposti dalla vita consacrata e l’individualismo sempre più diffuso nella società contemporanea. Se comunque è vero che gli ordini religiosi non cessano di esercitare un’azione di richiamo in un contesto come quello attuale sempre più contraddistinto da una pluralità di stili di vita, è altrettanto certo un loro ambivalente atteggiamento nei confronti della modernità. Soprattutto in passato tanti ordini religiosi hanno risposto a specifiche esigenze di utilità sociale. È un fatto che, ad esempio, lo stato generato dalla Rivoluzione francese, a dispetto del suo anticlericalismo, ha tollerato sia gli ordini ospedalieri che quelli impegnati nell’insegnamento, proprio in forza della loro utilità sociale.
Su due punti essenziali i religiosi e religiose sembrano più direttamente coinvolti nei problemi della modernità, quello del legame sociale da una parte e quello del rapporto con il territorio dall’altra. In una società in cui è sempre in agguato il rischio del più assoluto anonimato, i religiosi sanno creare importanti legami sociali. In passato lo è stato nel campo assistenziale ed educativo. Oggi lo sono nella invenzione di nuove forme di solidarietà, come nel caso delle Figlie della sapienza che dagli anni 1980 hanno saputo creare delle strutture di accoglienza per le madri ammalate di AIDS con dei bambini sieropositivi. È solo un esempio concreto di presenza dei religiosi in spazi sociali non occupati dallo stato.
Quanti istituti religiosi, poi, grazie alla loro dimensione internazionale, da sempre hanno saputo sostituire la logica ristretta del proprio territorio con quella della rete. Sanno, cioè, guardare al di là dei propri confini nazionali, dimostrando concretamente come una stessa spiritualità di fondo può incarnarsi in differenti strutture culturali.
Mai come oggi la vita consacrata si sente obbligata a rileggere le proprie origini e a ricomprendere il significato della sua esistenza, in un mondo che invece di essere demonizzato sta diventano un luogo di santificazione, da abitare con fiducia e speranza. Questo però non risparmia alla vita consacrata una costante tensione fra tradizione e modernità. Non mancano casi, purtroppo, di nuovi istituti religiosi totalmente chiusi ai valori della modernità, mentre altri, privi di ogni visibilità esterna, sanno però profondamente inserirsi nel tessuto connettivo della società odierna.
Dispiace certo verificare come spesso pare non sussistere nessuna possibilità di compromesso con il mondo moderno: o lo si accetta così com’è, o lo si rigetta interamente. O dentro, o fuori. Tutto questo naturalmente non può non stimolare nella vita consacrata una costante riflessione sul suo modo di rapportarsi sia all’interno della Chiesa che nei rapporti con la società. Anche senza volerlo, questo sta a significare che la vita consacrata è in continuo contatto con la modernità, così come la Chiesa stessa, d’altro canto, è posta continuamente a confronto con nuove forme di vita, in altre parole, con una nuova cultura.
OSARE
LA SPERANZA
Indicazioni ancora più pertinenti su alcuni aspetti della vita consacrata sono venute da Geneviève Médevielle. Dopo un’ampia introduzione sui cambiamenti in corso nel campo della riflessione teologica in Francia, ben sapendo che «ciò che è auspicabile, purtroppo, non è sempre effettivamente possibile», ha invitato i superiori e le superiore maggiori francesi a «osare la speranza». Spaventarsi per la crisi in corso anche nella vita consacrata non ha senso. Secondo Timothy Radcliffe, in un suo intervento ad Atlanta nell’aprile scorso, «le crisi, sono la specialità della casa. La Chiesa è nata da una di esse. Le crisi la rinnovano e la ringiovaniscono».
Anche se le ragioni per cui ci si potrebbe scoraggiare e per le quali «alcuni vorrebbero listare a lutto le proprie istituzioni» non sono poche, ci si dovrebbe invece rallegrare del fatto che il momento presente è carico di verità e di speranza. La fede cristiana è sempre capace di suscitare, anche nel campo della vita consacrata, nuovi soggetti e nuove comunità. Se i consacrati sono i primi a perdere ogni speranza sul proprio futuro, «chi potrà credere che il Vangelo, nel quale investiamo ogni giorno le nostre vite, può continuare a essere una buona notizia?».
La speranza cristiana non dispensa affatto, però, da una sempre più adeguata formazione anche in campo teologico. Non basta affidare importanti responsabilità a determinate persone. Prima ancora bisogna chiedersi che tipo di formazione potrà meglio aiutarle nello svolgimento dei compiti loro affidati. È consolante, ad esempio, il fatto che non solo i laici, con incarichi pastorali, hanno compreso fino in fondo l’importanza di una adeguata formazione, ma soprattutto che le diocesi, responsabili della loro formazione, sanno anche assicurare tutti i relativi mezzi economici.
«Abbiamo la stessa attenzione nel campo della formazione quando si assegna una responsabilità pastorale all’uno o all’altro dei nostri fratelli o sorelle?». Una situazione di incertezze, di crisi e anche di innovazione come quello attuale esige necessariamente, da quanti sono investiti di responsabilità, un alto livello di formazione e di discernimento. «La generosità e il buon senso non bastano più. La semplice verifica di una certa prassi pastorale fatta una volta l’anno, sia pure sotto la guida di un buon teologo, non è più sufficiente. Le difficoltà che s’incontrano sempre più nel vissuto dei rapporti personali e istituzionali, necessitano di un supporto interpretativo anche di carattere teologico».
Le trasformazioni in corso all’interno di una Chiesa sempre più diversificata sul piano ministeriale, chiamano in causa nientemeno che il “mistero” vero e proprio della Chiesa”. Non è in gioco semplicemente il funzionamento di un’istituzione, quanto piuttosto il cuore stesso della fede cristiana.
Una delle domande più frequenti delle giovani generazioni è quella di sapere fino a che punto è verificabile il discorso sulla fede. Il grosso rischio, per alcuni, è quello di ricorrere alle vecchie ricette pre-conciliari che ignorano completamente l’apertura ecclesiale del concilio nei confronti dell’uomo e del mondo moderno. Per altri, poi, il rischio è quello di «rimanere all’interno di una pura questione di gusti, incapace di superare il diffuso relativismo religioso che contraddistingue oggi il nostro mondo».
LA RISCOPERTA
DELLA TEOLOGIA
È sempre più diffusa, anche all’interno della vita consacrata, l’urgenza di un discorso teologico. Solo in questo modo è possibile comprendere come la fede in Gesù Cristo comporti una scelta, una decisione personale, dal momento che è chiamata in causa la verità di Dio sull’uomo e sul mondo.
«Quest’urgenza vale sia per gli uomini che per le donne. Ma forse vale di più per le donne. Sono convinta, infatti, che sussista di fatto una grande differenza di comprensione teologica dei problemi tra le religiose e i religiosi o, detto in altro modo, che sussista una concreta marginalità delle religiose nel campo della teologia».
Mentre negli inter-noviziati è facile riunire novizi e novizie nella stessa formazione spirituale e nella stessa iniziazione alla vita consacrata, «non è altrettanto certo che la formazione teologica sia stata data con la stessa qualità e intensità sia ai giovani religiosi che alle giovani religiose che vengono a raggiungerci nei nostri campi di apostolato». È un dato di fatto che a uguali responsabilità in campo pastorale tra religiosi e religiose, « non corrisponde una uguale formazione». Un po’ a tutti i livelli, i religiosi sono formati decisamente meglio delle religiose. Basterebbe, del resto, una semplice verifica del numero più ridotto delle religiose, rispetto ai religiosi, che arrivano ai gradi accademici in teologia.
È ormai lontano il tempo in cui le facoltà di teologia erano gestite soprattutto dai grandi ordini religiosi. Le grandi figure di teologi e di filosofi domenicani e gesuiti di un tempo, all’Institut Catholique di Parigi, oggi non ci sono più. I docenti, fra i quali sono sempre più numerosi i laici, provengono dalle più diverse estrazioni. «Ma ci sarebbe sicuramente un deficit nella qualità della ricerca teologica se gli ordini religiosi rinunciassero definitivamente al loro ruolo».
La cultura europea, ad esempio, è stata largamente tributaria della ricerca teologica dell’ordine benedettino. Così come la riforma liturgica conciliare è stata ampiamente debitrice di tutto il lavoro di ricerca storica fatta da quest’ordine. «Sono personalmente contenta di avere attualmente due colleghi benedettini come giovani docenti. È un pesante sacrificio per le loro abbazie, ma è anche un modo per esse di sentirsi pienamente coinvolte, secondo la loro migliore tradizione, nel campo della riflessione teologica».
Ora è importante convincersi che nel momento in cui i teologi si preoccupano di riflettere seriamente sulla forza “illuminante” della fede e cercano così di trovare validi argomenti per motivare una scelta personale e orientare la propria esistenza verso Cristo, anche la vita consacrata ha qualche cosa da dire.
In forza del suo habitus spirituale, liturgico, di formazione personale e comunitaria, e insieme anche sulla base di una sua lunga tradizione passata attraverso tante crisi, «dovrebbe saper offrire una feconda riflessione» anche in campo teologico.
Oggi è sempre più percepita l’esigenza di elaborare, grazie al tesoro delle proprie tradizioni spirituali, «una vera e propria teologia della spiritualità». Altrettanto si potrebbe e si dovrebbe dire per una teologia della carità e dell’accoglienza. «La vita consacrata ha dei tesori di prassi caritative che meritano di essere rielaborati teologicamente proprio in un’epoca in cui alcuni vorrebbero ripiegarsi sul ritualismo esterno o sull’interiorità intimistica».
Come ha ricordato il teologo Bonhoeffer, la Chiesa dovrebbe sapersi situare sempre al centro, che si trova dove si trova il suo Signore. Ora, però, questo centro potrebbe anche trovarsi “ai margini” della società. «Bisogna saper reinvestire le nostre tradizioni e i nostri carismi al servizio dei più piccoli e del Vangelo». Bisogna essere fermento vivo per un’approfondita riflessione teologica sintonizzata sulle esigenze della cultura di oggi, a servizio dell’annuncio del vangelo. Solo se i giovani religiosi e religiose sapranno seriamente impegnarsi nello studio della teologia, «potranno domani rendere un vero servizio alla Chiesa».
Angelo Arrighini