OCCORRE CREATIVITÀ

CONVERTIRCI AL FUTURO

 

Riflessione di Mauro Orsatti, pubblicata su “La Voce del Popolo”, di Brescia, in vista della festa della Presentazione del Signore.

 

Nella solenne scenografia del tempio di Gerusalemme, in occasione della presentazione di Gesù, Giuseppe e Maria confermano la loro vocazione, accettando un nuovo orientamento. Già da tempo hanno impostato la loro vita in funzione di Gesù, divenuto lo scopo e il perno della loro esistenza. Ora lo portano al tempio per adempiere la legge e mantenere la sintonia con la volontà divina. Proprio perché attenti ai suggerimenti che vengono dall’alto, sono pronti ad accordarsi sullo spartito della novità, musicato spesso con le note dell’imprevedibile. Oggi, al tempio, trovano una nuova occasione per ridisegnare il tracciato dell’esistenza, rendendola ancora più intima a quella del figlio. Sono due “religiosi” o “consacrati” perché si relazionano totalmente ed esclusivamente a lui. Memori del passato, vivono il presente, lasciandosi istruire da schegge di futuro che irrompono nella loro storia.

 

Simeone cattura per loro alcune di queste schegge. L’uomo, nonnino per età, ma gagliardamente giovane per intuizione e prospettiva teologica, proclama Gesù salvezza di tutti i popoli, luce del mondo. II futuro del bambino è tratteggiato con colori di universalità. Alla sua magnifica missione è innervata una predizione a Maria. Le viene annunziato un itinerario doloroso. Le parole del saggio Simeone squarciano un pezzo consistente di storia che verrà. Maria è esplicitamente coinvolta: «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione, perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l’anima». Giuseppe non è menzionato, forse perché il suo futuro si è fatto breve e prossimo a spegnersi.

 

Trent’anni prima dell’evento, Maria è informata del sacrificio che avrebbe unito la sua vita materna all’opera del Salvatore. In silenzio ella accoglie la predizione che apre segretamente una ferita nel suo cuore. Non indietreggia davanti a questo aspetto nuovo del futuro annunziato per Gesù. Fa l’offerta di suo figlio, aggiungendo l’offerta di se stessa. Secondo il piano divino, l’offerta materna doveva precedere di numerosi anni l’offerta sacerdotale della croce.

Maria, associata intimamente a Gesù, è posta sul binario del futuro, duro ed esigente, che ella va scoprendo giorno dopo giorno, non senza fatica. Ella lo accetta, e, potremmo dire, si converte progressivamente al futuro. Contrariamente al senso abituale che intende la conversione come un abbandono del passato, qui è il caso di parlare di conversione al futuro, nel senso di disponibilità ad aprirsi ad un segmento di storia non ancora sperimentato e perciò ricco di incognite. In una prospettiva di fede, II futuro, comunque esso sia, sarà una manifestazione dell’amore del Signore. Maria diventa l’icona della vera consacrata, tutta orientata verso Gesù, pronta a seguirlo fino alla croce, sempre presente in modo discreto e fattivo.

 

Tutti i consacrati hanno in Maria un loro eloquente modello. Pure loro devono convertirsi al futuro, perché tale conversione è necessaria e postulata dalla storia stessa. Tutto ciò che vive si trasforma. Non possiamo rinchiuderci nel passato e volgere le spalle alla realtà di oggi. Se vogliamo ascoltare «ciò che lo Spirito dice alla Chiesa», dobbiamo strapparci dalle trincee del nostro status quo, decifrare la storia, coglierne i fermenti di vita, sentirci coinvolti nelle situazioni del nostro tempo. Questo ascolto cambia il modo di pensare, di organizzare, di vivere. E non è indolore. Come per Maria, richiede di affrontare la fatica del cuore che, preannunciata da Simeone nel tempio, si verifica nel pellegrinaggio di fede fino al Calvario, dove si realizza più intimamente la vicinanza e la partecipazione alla vita del Figlio.

 

Se vogliamo parlare del futuro dei nostri istituti, dobbiamo farlo in termini di immaginazione creativa, di capacità di correre rischi, di audacia senza paura, non confondendo la fedeltà con la pura ripetizione del passato. II passato conserva il suo valore di memoria e di radice che ha prodotto germogli di santità e di solidarietà, come testimonia la storia di tutti i nostri istituti. Ma non intendiamo fermarci al passato per riprodurlo in modo nostalgico e stanco. La misura alta della santità – richiesta e sollecitata dal papa – è l’arte di gestire con intelligenza la complessità della vita, integrando elementi diversi: insieme alla memoria storica, occorre rinverdire il senso della propria identità e cavalcare il brivido del tempo per orientarlo da protagonisti.

 

Come? Accettando di essere disarcionati dalle nostre certezze umane, ridimensionati nel nostro numero, disposti ad arrivare al lumicino dalla fiamma smorta, a vivere la povertà dell’incertezza e della precarietà, ricchi solo di quel Dio onnipotente e di quel Cristo che rinnova il suo invito: «Vieni e seguimi». Allora, come al tempo del biblico Gedeone, basterebbero trecento uomini, non per vincere, ma per convincere... Convertirci al futuro è l’assunzione dei germi di novità che fremono sotto la crosta della storia: una sempre maggiore intercongregazionalità dei nostri Istituti in fatto di formazione, programmazione e realizzazione delle opere, lo sviluppo del fattore multietnico e multiculturale già presente nelle nostre famiglie religiose, ma con uno statuto paritetico, il rilancio di una formazione permanente incentrata sullo spirituale.

 

Ricordava Timothy Radcliffe, già Maestro generale dei domenicani, che le armi, per essere un segno del potere del Dio delle moltitudini, devono essere piccole e apparentemente inefficaci. Probabilmente siamo stati ridimensionati e sconfitti, così può essere chiaro che la vita religiosa rende visibile un potere che non sta nelle grandi istituzioni, nella ricchezza o nello status, ma nel potere sacramentale di quello che siamo e facciamo.

 

Saranno rimasti delusi quanti si aspettavano dal recente congresso sulla vita consacrata (Roma, novembre 2004) previsioni sul futuro o ricette miracolose per combattere i problemi dell’invecchiamento e della penuria vocazionale. L’ansia di sopravvivenza potrebbe annebbiare la mente e sclerotizzare il cuore, rendendoli incapaci di guardare con serena oggettività il futuro. È stato un trappista, Bernardo Olivera, a prendere “in contropiede” i più quotati strateghi del futuro della vita consacrata, limitandosi a commentare in assemblea: «il futuro della vita consacrata è nel suo fondamento, Gesù Cristo».

 

Lui, ieri, oggi e nei secoli, è la nostra ricchezza che traduciamo prima di tutto nella vita comunitaria e nella gioiosa osservanza dei voti, nostro impegno pubblico che dimostra la “passione” per lui e la “compassione” per l’uomo. Come Maria dobbiamo offrire Gesù e lui solo. E con lui dobbiamo offrire noi stessi. Offrire e offrirci saranno i segni della nostra conversione al futuro e la garanzia della nostra primaverile vitalità.

 

Mauro Orsatti

Da La voce del popolo, n. 4, 28 gennaio 2005