AFRICA, CONTINENTE ALLA DERIVA
COME IL BUON SAMARITANO…
L’Africa
fatica a tenere il passo nella stagione della globalizzazione e ha bisogno di
aiuto per uscire da una situazione di crescente sottosviluppo.
Ad
aggravare la situazione, oltre alle tante malattie che l’insidiano, ci sono le
guerre che continuano a scoppiare come bubboni su un corpo malato.
La XIII Giornata mondiale del malato, dell’11 febbraio scorso, è stata celebrata quest’anno in Camerun presso il santuario di Maria regina degli apostoli, a Yaoundé. Le ragioni di questa scelta sono state spiegate dal papa nel messaggio emanato per la circostanza. Egli ha voluto attirare l’attenzione sulla difficile situazione in cui versa l’Africa per invitare tutti a «manifestare concreta solidarietà alle popolazioni di quel continente provate da gravi carenze sanitarie» (n. 1), e per chiedere, in particolare ai cristiani d’Africa, che continuino a dare attenzione e realizzazione concreta a quell’impegno che essi si erano assunti dieci anni fa in occasione della III Giornata mondiale del malato, del 1995. In quella circostanza, essi avevano deciso di essere dei «buoni samaritani» per i loro fratelli e sorelle ammalati.
La continua attenzione del papa verso il continente africano è da cercare, anzitutto, nelle particolari drammatiche condizioni in cui si trovano gli ammalati in quel continente, ma anche nella recente celebrazione del decimo anniversario del sinodo speciale per l’Africa (1994) e nella riunione a Roma del simposio delle Conferenze episcopali di Africa e Madagascar (SECAM/SCEAM) che ha avuto luogo a Roma a metà dello scorso novembre. Nel corso dell’udienza concessa ai vescovi che vi partecipavano egli ha dato anche l’inattesa notizia di un prossimo nuovo, speciale sinodo dei vescovi per l’Africa. La notizia ha suscitato curiosità e stupore insieme a parecchi interrogativi per un’iniziativa che nessuno aveva sollecitata ma che, evidentemente, il papa ha trovato urgente e benefica per il futuro sviluppo della Chiesa in questo continente in un momento così delicato della sua storia.
LA SALUTE
IN AFRICA
Certamente il papa è al corrente della condizione drammatica, se non tragica, in cui versa il continente africano. Egli sa che l’Africa fa fatica a tenere il passo in questa stagione della globalizzazione e ha bisogno quindi di essere assistita e aiutata per uscire dalla situazione di crescente sottosviluppo in cui essa si trova a quarant’anni e più dall’inizio del processo d’indipendenza politica. Deve essere questa la ragione per cui sente l’urgenza di fare qualcosa per l’Africa. La chiesa cattolica ha certamente investito molto nel continente in questi decenni scorsi. Ha fatto molto per offrire alle popolazioni d’Africa sostegno e stima in vista della sua crescita e della maturazione che la rende oggi una presenza, positiva e affidabile, in seno alla comunione cattolica della chiesa. La Chiesa è oggi, nella generale disfatta, una delle poche forze di prestigio sicure del continente. Le strutture sociali e, particolarmente quelle sanitarie, messe in piedi dai missionari hanno aiutato le popolazioni a crescere e ad affermarsi.
Ma oggi l’Africa è finita in un impasse e in un momento di stasi e di regressione. I problemi politici e sociali a livello mondiale insieme con la corruzione delle classi dirigenti africane, coniugati con l’attuale recessione mondiale, si ripercuotono negativamente sulla realtà del continente e sul suo sviluppo, tanto che è diventato una specie di dogma politico che l’Africa «non ce la fa», non riesce a tenere il passo, bisogna farla andare a una velocità diversa, ridotta, rispetto al resto del mondo... Essa è perciò condannata a perdere il contatto con il resto del mondo. L’analisi che il papa ha fatto in Ecclesia in Africa è molto realistica e chiara: «L’Africa è un continente alla deriva», un continente che non può tenere il passo del resto del mondo. Nel suo messaggio (n. 1), citando appunto Ecclesia in Africa, egli ribadisce che l’Africa può essere paragonata a un grande malato, a quell’uomo della parabola evangelica che scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti che lo spogliarono di ogni suo possedimento, lo caricarono di botte e se ne andarono lasciandolo mezzo morto sul ciglio della strada, incapace di provvedere a se stesso. «L’Africa, scrive il papa, è un continente in cui innumerevoli esseri umani – uomini e donne bambini e giovani – sono distesi, in qualche modo, al bordo della strada, malati, feriti, impotenti, emarginati e abbandonati. Essi hanno un bisogno estremo di buoni samaritani che vengano loro in aiuto».
UN MOMENTO
MOLTO DIFFICILE
L’analisi non poteva essere più esatta. I briganti di ieri e di oggi sono coloro che sfruttano l’Africa, continente ricco di risorse umane e materiali, che fa gola a molti e che viene sistematicamente saccheggiato in modo vergognoso da coloro che dovrebbero invece prendersene cura, dai governanti locali e esteri, cioè dalle compagnie che a parole dicono di volere il suo bene e il suo sviluppo, e invece la impoveriscono sempre più, e anche dalle stesse organizzazioni non governative (non tutte, si capisce, perché ci sono anche delle belle eccezioni!) che stanno facendo dell’umanitario una fonte di guadagno. Si direbbe che l’Africa sia diventata una terra di conquista e di rapina, in una nuova forma di colonialismo fuori tempo.
Per la Chiesa, l’Africa è il continente della speranza, delle molte conversioni, delle vocazioni e delle novità, una realtà carica di futuro. Eppure quando questa realtà viene guardata da vicino e ne emergono i molti problemi, tra i quali la malattia e la povertà, allora il suo futuro si presenta incerto e oscuro e anche la speranza comincia a mostrare i suoi costi molto pesanti. La malattia, che è ovunque una realtà problematica e difficile da sopportare, assume qui una particolare gravità proprio per la sua situazione sociale e politica. Questa si ripercuote pesantemente sui malati e rende la loro malattia doppiamente dura da sopportare e da superare.
Si pensi solo alle malattie più diffuse, come la malaria, il tifo, il colera, le malformazioni, incurabili in quell’ambiente, e i conseguenti handicap fisici; si pensi alle malattie mentali che si stanno moltiplicando nei contesti di guerra e di violenza, senza dimenticare la lebbra, che potrebbe essere vinta e ancora non lo è, alla tubercolosi che riviene più grave di prima e oggi a quel flagello immane che miete tante vittime che è l’AIDS che «semina dolore e morte in numerose zone dell’Africa» (Ecclesia in Africa 116).
Le molte guerre che segnano di sangue numerose zone del continente e che sembrano non trovare una pacifica composizione, ma che continuano a scoppiare come bubboni su un corpo malato, aggravano la situazione degli ammalati allontanando le possibili soluzioni. Fondi che potrebbero essere usati per comprare delle medicine indispensabili per questi flagelli vengono sprecati nell’acquisto delle armi; i campi dei rifugiati e dei profughi che fioriscono con sinistra frequenza in tempo di guerra con la loro sequela di fame e di miseria, di promiscuità e di violenza, non fanno che aggravare la situazione igienica della gente, moltiplicando le malattie e trasformandole in invincibili pandemie. La mancanza di cibo, di igiene e di medicinali non fanno che aggravare ulteriormente la situazione, rendendo impossibile ogni intervento da parte dell’Organizzazione mondiale della Sanità e delle organizzazioni umanitarie internazionali e locali per i rifugiati. Se poi si aggiunge la difficoltà di acquistare o di fabbricare in loco le medicine per le impossibili richieste delle compagnie farmaceutiche multinazionali il quadro diventa così fosco da non lasciare molte speranze. Veramente l’Africa avrebbe bisogno di una legione di «buoni samaritani» che si fermassero accanto ai molti poveri cristi incappati nelle mani dei briganti.
È URGENTE
UN’AZIONE CONCERTATA
Lo dice il papa ancora una volta nel suo messaggio rivolgendosi ai vescovi delle conferenze episcopali degli altri continenti perché si uniscano «generosamente ai pastori dell’Africa per fare fronte efficacemente a queste e ad altre emergenze» (n. 5) e ricorda che non si tratta solo di rispondere a queste emergenze per ragioni filantropiche, ma che le risposte devono attingere la loro urgenza nella fede, nell’adesione cioè «a Cristo redentore, il cui volto [la Chiesa] riconosce nelle fattezze di ogni persona che soffre» (ibid.). È la fede, la speranza e la carità che devono spingere i cristiani a rispondere a questa emergenza facendo spazio alla fantasia della carità, individuando quelle risposte antiche e nuove che la Chiesa è sempre riuscita a trovare in casi gravi come questi. Il papa ricorda che la giornata mondiale del malato ha come scopo quello di stimolare la riflessione sulla nozione stessa di salute che «nella sua accezione più completa allude anche a una situazione di armonia dell’essere umano con se stesso e con il mondo che lo circonda» (n. 2) e continua affermando che questa concezione olistica della salute è propria delle culture africane. Per questo non è possibile dimenticare che la salute dello spirito, la pace, è la condizione per la salute del corpo e quella del corpo diventa segno di quella dello spirito, sia a livello personale che collettivo. Soltanto quando l’Africa ritroverà la pace e l’armonia all’interno del continente, quando i diversi paesi cesseranno di combattersi e di fomentare le guerre all’interno gli uni degli altri, quando ci sarà quel rispetto reciproco che permette la convivenza, allora ci sarà anche cibo per tutti, ci sarà acqua per tutti, ci sarà spazio per coltivare per tutti, ci sarà finalmente salute per tutti.
Per ora noi vediamo che questo sogno del papa è ancora lontano e deve essere oggetto della preghiera e dell’offerta spirituale di tutti. Nello stesso tempo bisogna anche sensibilizzare l’opinione pubblica e la classe politica perché si rinnovi la volontà di uscire da questa situazione di guerra, perché si sani la situazione politica del continente, perché cessi la corruzione all’interno dei singoli paesi e si installi una buona governance. Tutto questo permetterà che si sani in radice l’emergenza sanitaria. Ma, in attesa che queste riforme strutturali vengano messe in atto, si dovrà rinnovare la solidarietà del mondo intero per dare una mano a questa parte del mondo che non può essere lasciato andare alla deriva. Non ci si deve illudere: se le nazioni del mondo non faranno qualcosa per venire in aiuto, ma lasceranno invece che il continente se ne vada seguendo la corrente che lo trascina, se noi continueremo a essere indifferenti come il sacerdote e il levita della parabola del buon samaritano, il male dell’Africa non si estinguerà da solo, ma crescerà e contagerà altri paesi caricando poi il suo peso su tutti noi.
Non sarà solo per queste ragioni «interessate» che il mondo e noi cristiani dobbiamo intervenire. Ma anche per questo, perché nella logica della globalizzazione non è più possibile abbandonare a se stessi questi paesi con i loro problemi: essi ci ricadranno addosso come un boomerang e faranno altri danni anche a noi. La cosiddetta «razionalità» economica deve essere integrata con la solidarietà, altrimenti i mali dell’Africa finiranno per pesare su tutti, saranno come un palla al piede dell’Europa e del mondo. Sarà capace il nostro mondo di un soprassalto di umanità e di intelligenza, oltre che di solidarietà?
Gabriele Ferrari s.x.