IN GIOCO LA FINE DELL’UOMO OCCIDENTALE

 

«Perché non si avveri l’oscura profezia di un mondo dove gli esseri umani non sono più persone e le persone non sono più esseri umani»: con queste drammatiche parole si conclude il nuovo volume del noto docente ed editorialista palermitano Giuseppe Savagnone, inserito nel Forum CEI per il Progetto culturale e già membro del Comitato nazionale di bioetica.1

Con la consueta chiarezza, Savagnone offre ai non “addetti ai lavori” uno strumento di lavoro per rendersi conto della vera posta in gioco nelle controversie attuali circa l’ambito bioetico (aborto, fecondazione assistita, sperimentazione sugli embrioni, eutanasia). Tenta così di rispondere al dibattito che troppo spesso fa registrare molta retorica e poche argomentazioni, con conseguente reciproca demonizzazione delle posizioni. Sia dietro la rivendicazione dei diritti della donna che dietro la difesa della dignità della persona, spesso si avverte la fragilità delle basi concettuali a fondamento delle proprie posizioni. Occorre passare dalle formule di propaganda alle ragioni di queste: l’autore, a tal fine, offre un percorso lineare per illustrare le diverse concezioni della persona.

Lo sviluppo della bioetica (termine introdotto dall’oncologo americano Van Reasselaer Potter nel 1970) ha contribuito a evidenziare il limite della scienza e della tecnica, le quali illustrano ciò che è possibile, non ciò che è giusto fare. Ha ritrovato consistenza dunque il bisogno di una visione globale dell’essere umano per giustificare le scelte pratiche a cui siamo costretti e per uscire da dogmatismi e relativismi. Occorre ripensare il soggetto umano. Per farlo può essere utile assumere come prospettiva il rapporto fra “persona” ed “essere umano”: è una cartina di tornasole capace di far emergere il vero fondamento antropologico delle varie teorie oggi in campo.

 

LA PERSONA

STRANIERO MORALE

 

Tra queste spicca il pensiero di Tristam Engelhardt (cap. III), per il quale la persona è una «entità in grado di prendere parte a controversie di carattere morale e di raggiungere un accordo». Così la difficoltà di fondare un’etica biomedica in regime pluralistico comporta, di fatto, la consegna del singolo soggetto al campo della singola autocoscienza-autonomia emozionale e al libero gioco della contrattazione sociale (è moralmente lecito tutto ciò che il consenso degli interessati non ha vietato o ha autorizzato). La conseguenza è che non tutti gli esseri umani sono persone (vedi i feti, gli infanti, i ritardati mentali e coloro che sono in coma) e non tutte le persone devono essere necessariamente umane (vedi le intelligenze artificiali). E ancora, il dualismo tra soggetto e oggetto porta a dire che la persona non è il suo corpo ma lo possiede come un oggetto (egli è proprietario dei suoi organi e può arrivare a farne commercio; sono ammessi: sperimentazione non terapeutica sui feti, fecondazione in vitro, suicidio razionale ed eutanasia).

La separazione tra persona e essere umano è presente anche nelle teorie del profeta del movimento di liberazione animale, l’australiano Peter Singer (cap. IV): in questo caso però prevale il dato biologico al punto che persone sono anche animali non umani. Determinante è la ricerca del benessere psico-fisico, da cui consegue la possibilità di mettere in discussione il valore della vita umana come tale. In particolare questa concezione utilitarista porta a dire che ogni nascituro è “entità rimpiazzabile” nel caso di cattivo funzionamento di un qualche organo (logico far morire i bambini Down!). Contro il primato dell’homo sapiens si pongono anche Tom Regan e James Rachels (cap. V), i quali convergono nella convinzione dell’irrilevanza della specie e dell’esclusiva importanza del singolo individuo, umano e non umano.

 

LA PERSONA

CHE-SI-FA-DA-SÉ

 

Sulla linea della separazione tra persona e individuo umano, Savagnone affronta poi le posizioni di coloro che non puntano sulla vita mentale ma sulla rete di relazioni attive o passive che legano il soggetto agli altri (cap. VI), dimostrando che anche per questo sentiero (se diventa l’unica chiave di lettura della realtà personale: le relazioni innumerevoli finiscono per farci pirandellianamente essere “uno, nessuno e centomila”) si finisce per avallare quella mutilazione che aliena tanti uomini e donne da stessi, riducendoli a vivere alla superficie di se stessi.

La scissione della persona dall’essere umano ha portato, storicamente, alla schiavitù, al razzismo e all’asservimento delle donne. Occorre dunque recuperare la distinzione tra mente (la funzione) e anima (la struttura) per ripensare l’individuo dotato di natura razionale (la persona). E occorre farlo con forza dal momento che si sta realizzando la profezia di Aldous Huxley, nel suo famoso libro Il mondo nuovo, secondo la quale stiamo andando verso una società di individui prodotti in serie con la manipolazione genetica. Lo scenario spettrale di un “comunitarismo genetico” (Habermas) o, peggio, di un mondo di ibridi (uomini-animali e uomini cibernetici, miscuglio di carne e tecnologia come i replicanti del famoso film Blade Runner) finirebbe per mettere in discussione l’unità della natura umana e la responsabilità di persone a metà, come ben esprime la domanda del mostro al suo creatore, il medico Frankenstein: «Ti sei mai fermato a riflettere sulle conseguenze delle tue azioni?».

Le teorie non sono mai innocenti, conclude Savagnone, e quelle passate in rassegna sono accomunate dal primato dell’azione: «Nella nostra civiltà l’identità degli esseri si riduce al loro “fare” e il loro valore alla loro funzionalità. La domanda: “Chi è?” coincide senza residui con quella: “Che cosa fa?”. Il mito neo-capitalista dell’uomo-che si-fa-da-sè è il simbolo eloquente di questo slittamento» (pp. 118 e ss.). Far emergere i presupposti delle teorie bioetiche apre dunque lo spazio per una critica al pensiero unico e per un recupero della persona, attraverso la rivisitazione del “pensiero inattuale” della Bibbia che annuncia l’essere umano fatto “a immagine e somiglianza di Dio”.

È ancora possibile, in nome della ragione, rimettere in discussione gli slogan del progresso illimitato e recuperare le coordinate della nostra identità. Uscendo anche dalla cupa depressione moderna del narcisismo richiamato dall’immagine di copertina del nostro volume, che si pone come strumento al servizio di quel discernimento richiesto nella recente Nota della CEI per le comunità cristiane sul territorio: «il mutamento esige il discernimento, quel dono che Paolo fa discendere dalla carità e quindi dalla comunione (cf. Fil 1,9)» Si tratta di dar corpo al discernimento comunitario di cui si è parlato al Convegno ecclesiale di Palermo. Un compito che riguarda tutti e chiede di valorizzare gli spazi del dialogo culturale, come le sale della comunità, i centri culturali e di accoglienza della vita, le istituzioni scolastiche gestite da religiose/i, l’associazionismo d’ambiente, i mezzi di comunicazione sociale ecc.

 

M.C.

1 SAVAGNONE G., Metamorfosi della persona. Il soggetto umano e non umano in bioetica, Elledici, Torino 200, pp.126, € 7,50.