SINTESI DEI LAVORI DI GRUPPO AL CONGRESSO SULLA VC

CONTINENTI A CONFRONTO

 

Problemi comuni e peculiarità, sfide e opportunità per il futuro della vita consacrata. Ombre molto più diffuse delle luci? Ampiamente condivisi alcuni obiettivi di fondo: radicalità evangelica, spiritualità più incarnata, solidarietà verso le nuove e vecchie povertà, apertura intercongregazionale.

 

Tutto il recente congresso internazionale sulla vita consacrata è stato intenzionalmente giocato sulla non facile partecipazione attiva degli 850 congressisti. «L’esito di questo congresso, aveva esordito la presidente madre Terezinha Rasera, dipende dalla nostra partecipazione attiva ed effettiva. Per questo è molto importante l’ascolto attivo e attento alla voce dello Spirito che si rivela in ciascun partecipante attraverso il nostro dialogo con le diverse voci culturali e con le differenti espressioni di vita consacrata. Un ascolto che ci porterà ad accogliere e ad operare i cambiamenti necessari che i tempi attuali richiedono».            Anche nel documento finale viene ribadita la priorità all’aspetto “esperienziale” della vita consacrata «nei diversi contesti socioculturali ed ecclesiali».

L’attiva partecipazione dei congressisti ha preso spessore nei vari gruppi di studio, sia quelli a carattere continentale che quelli a carattere tematico.

Nel documento finale del congresso1 è detto espressamente che i 15 argomenti dei gruppi tematici «costituiscono, nel loro insieme, un “monitoraggio” dei segni di vitalità o, al contrario, dei blocchi che la vita consacrata sperimenta oggi. Dalle sintesi presentate in assemblea, e consegnate ai partecipanti, emergono segni di vitalità, ostacoli, convinzioni e linee di azione, anche se è impossibile racchiudere in poche righe la ricchezza del dibattito e degli apporti dei gruppi».

Purtroppo, però, queste sintesi ascoltate in assemblea non sono state, di fatto, né durante né dopo i lavori, consegnate ai partecipanti.2 È stata, invece, consegnata, sia pure in bozza, la sintesi dei gruppi continentali, costituiti da tanti sottogruppi di otto persone ciascuno e suddivisi sulla base della omogeneità linguistica e dell’appartenenza continentale: Europa, America del Nord, America latina e Carabi, Africa, Asia, Oceania. La scaletta delle domande era identica per tutti.         Alla luce dei fattori sociologici prevalenti nel proprio contesto culturale, i congressisti sono stati sollecitati a evidenziarne, sia in negativo che in positivo, l’influsso sulla vita consacrata. Anche se questi lavori di gruppo continentali si sono svolti nella seconda giornata del congresso, in una fase, quindi, in qualche modo di “rodaggio” dei lavori, le varie sintesi emerse da questi confronti sono ampiamente rivelatrici delle diversità culturali e insieme degli obiettivi comuni verso i quali è oggi incamminata la vita consacrata.

 

UN’EUROPA

STANCA?

 

Comprensibilmente la sintesi più ampia non poteva non essere quella del continente europeo. Suddiviso in una cinquantina di sottogruppi, da solo rappresentava poco meno della metà degli 850 congressisti. A causa delle diverse lingue e della complessità delle situazioni, non è stato facile assemblare in una sintesi unica tutte le conclusioni. L’elenco dei condizionamenti sociologici sulla vita consacrata nei diversi paesi europei è interminabile.

Neo-liberismo, consumismo, tecnologia esasperata, frammentazione di tutti gli aspetti della vita quotidiana, culto della salute, cultura del single, individualismo, attivismo, protagonismo, cultura mediatica, crisi della comunicazione e del linguaggio, appartengono oggi all’esperienza quotidiana in tanti paesi europei. I poveri sono sempre più lontani dai ricchi. La libertà, intesa come conquista, come soddisfazione immediata dei bisogni, come emotività, soggettività, istintività sta diventando il valore determinante nella vita di generazioni intere di persone, e non solo dei giovani. Non c’è più né tempo né spazio per la riflessione.

In un’epoca di repentini cambiamenti come la nostra, preoccupano seriamente la sempre più diffusa mancanza di norme etiche, il senso di non futuro, la perdita della consapevolezza storica, la perdita spesso irreversibile di valori, la mancanza di credibilità di tante istituzioni non solo politiche ma anche ecclesiastiche, la complessa gestione di fenomeni come quelli dell’immigrazione e del conseguente pluralismo culturale e religioso, la trasformazione stessa della famiglia, con preoccupanti ripercussioni anche in campo vocazionale. Viviamo in un’epoca in cui la saturazione della sete rischia di spegnere la passione, in un’epoca di confusione, di insicurezza, di cecità nel discernimento.

Come non vedere la radicale diversità di situazioni tra paesi europei del nord, del sud, dell’est, la tensione tra movimenti di modernizzazione e reazioni conservatrici, la violenza sempre più diffusa, i rischi della globalizzazione, dell’informazione, di tutti gli strumenti informatici sempre più invadenti e spesso fuori di ogni controllo? Perché non rapportarsi in maniera più critica anche nei confronti dell’Unione Europea, valutandone più attentamente i suoi risvolti politici, economici, sociali, di esasperato burocraticismo nella vita concreta dei paesi europei?

L’invecchiamento inarrestabile della popolazione si ripercuote sulla distanza tra una generazione e l’altra, sulla rigidità delle strutture ecclesiastiche e di vita consacrata. La fragilità dei giovani e la loro seria difficoltà ad impegnarsi per tutta la vita da una parte si scontra inevitabilmente con la inadeguatezza della vita consacrata ad accogliere, a dare senso e una risposta convincente alle nuove generazioni. Se i momenti di crisi possono rivelarsi occasioni di molteplici opportunità per i giovani, come reagire però di fronte alla frequente sfiducia nei giovani stessi e agli effetti eclatanti che dagli scandali e dagli abusi sessuali si ripercuotono poi sull’immagine della vita consacrata?

Viviamo in un tempo di nomadismo spirituale, di relativismo religioso, culturale e morale che naviga decisamente contro le scelte definitive. Mancano riferimenti solidi.

La nostra è una cristianità sempre più stanca, una vita sempre più contrassegnata dalla mancanza di Dio. Il nostro è sempre più un tempo di scristianizzazione, di ignoranza della fede cristiana e spesso anche di immobilismo ecclesiale.

In un contesto del genere la vita consacrata non ha più visibilità, non ha più voce nella società. I consacrati stanno perdendo la loro identità. Troppo spesso vivono una spiritualità disincarnata, condizionata da un eccesso di professionalismo. Non è solo la crisi vocazionale e di vita fraterna che preoccupa, ma anche la chiusura delle strutture verso il mondo laicale, la ricerca di autorealizzazione nei rapporti con gli altri, la riduzione della propria relazione con Cristo alla ricerca del “benessere interiore”, il timore di ogni forma di sofferenza, la paura del rischio, il “mi sento” oppure il “mi va” come condizione base della dinamica della nostra vita consacrata.

Il rischio di una introversione apostolica sia delle opere che delle comunità che le dovrebbero animare è dietro l’angolo. I voti religiosi stessi risentono troppo spesso dello scollamento tra la passione per Cristo e la passione per l’umanità. Troppo spesso l’unica reale passione è quella della difesa delle proprie sicurezze e della sopravvivenza dei propri istituti. Quante volte si percorrono strade diverse da quelle di chi vive nella sofferenza. I religiosi hanno ancora troppa difficoltà a mettersi da poveri con i poveri.

 

NON SOLO

OMBRE

 

Di fronte a questo lungo e pesante elenco di “ombre”, non mancano, però, anche prospettive di speranza. È più che una semplice percezione la diffusa esigenza di spiritualità, di relazioni più autentiche, di partecipazione, di comunicazione e di corresponsabilità. Viviamo in uno stato di purificazione che potrebbe anche preludere a un più convinto passaggio verso la radicalità evangelica, la profezia, una nuova missione della vita consacrata. C’è una maggior valorizzazione, un maggior rispetto della persona. La comunione tra le diverse congregazioni, così come il coinvolgimento effettivo dei laici, la scoperta continua di nuove forme di solidarietà, sono tutti capitoli nuovi e in gran parte già collaudati in molti istituti religiosi.

La vita consacrata è capace misteriosamente di resistere all’evoluzione difficile del mondo grazie a un senso molto profondo delle relazioni personali, di una testimonianza più discreta ed efficace spesso anche negli ambienti più lontani dalla Chiesa. In una realtà di esclusione, la vita consacrata sa spesso reagire con una vera esperienza di fraternità. Non mancano certamente tensioni, personali e comunitarie, nel momento in cui si elaborano nuove proposte. Ma proprio da queste tensioni scaturiscono anche le testimonianze più gioiose del Risorto.

Come non vedere, nonostante tutto, una più grande coscienza della propria realtà religiosa, una sete più autentica di spiritualità, un senso di appartenenza che nasce da una maggior interiorità e da una minore istituzionalizzazione della vita consacrata? Come non vedere una maggiore spinta a entrare più convintamene, con iniziative a tutti i livelli, nel campo del dialogo interreligioso e dell’ecumenismo? Proprio in Europa, pur con le sue rotture, la vita consacrata ha dato e sta dando risposte concrete alle nuove sfide poste dalla presenza della immigrati, degli ultimi, delle tante nuove povertà.

Non è possibile sentire la passione per Cristo e per l’umanità senza incarnarsi realmente nella società come testimoni viventi della fede, senza un rinnovamento interiore profondo, senza aprirsi decisamente verso la profezia, senza saper affrontare anche le domande difficili sulla vita consacrata di oggi, senza una incessante attualizzazione del proprio carisma, senza saper lanciare ponti tra generazioni, culture e congregazioni diverse, senza un vivo desiderio di vivere in maniera più autentica la propria consacrazione.

 

FONDAMENTALISMO

E VC IN AMERICA

 

Molto più sintetica, anche per il più ridotto numero di congressisti, ma per certi versi anche molto più vicina alle posizioni europee è la sintesi dei gruppi nord americani. I fattori sociologici che condizionano maggiormente la vita consacrata nel loro continente sono individuati, anzitutto, nel fondamentalismo religioso, politico e sociale che divide e genera paura e porta a cercare risposte facili, insieme ad un egoismo politico ed economico. «Questo fondamentalismo genera nelle nostre vite una banalizzazione del mistero e dell’aspetto simbolico».

Per quanto poi si riconosca il valore del pluralismo e della diversità di culture, si riscontrano, però, anche un preoccupante sincretismo, una polarizzazione a tutti i livelli delle proprie posizioni e non poche divisioni tra i vari gruppi sociali, con il risultato di un difficile e complesso dialogo tra gli uni e gli altri.

Come negare, inoltre, la diffusa tendenza a perseguire una carriera piuttosto che a vivere una vocazione? Anche questa è la conferma più evidente di uno standard di vita molto egoistico e finalizzato alla ricerca della propria realizzazione. Purtroppo la religione è spesso ridotta a religiosità esterna, fatta solo di riti e di parole. La mancanza di una fede comune profonda «ha fatto sì che spesso l’ortodossia prendesse il posto dell’autorità morale».

Non è facile, osservano i consacrati americani, vivere in una cultura in cui la tecnologia controlla anche i pensieri dei propri cittadini. L’11 settembre, poi, è stato detto anche in congresso, «ha cambiato profondamente il mondo». Ma ciò che forse preoccupa maggiormente è la perdita della coscienza storica.

Quasi questo non bastasse, la distruzione della famiglia tradizionale e delle istituzioni, gli scandali degli abusi sessuali stanno danneggiando profondamente la credibilità della Chiesa e della vita consacrata. L’inarrestabile fenomeno dell’invecchiamento dei consacrati, congiuntamente alla diminuzione e alla perdita di tutte quelle opere che anche socialmente conferivano una certa identità alla vita consacrata, hanno pesantemente indebolito la fiducia dei religiosi in loro stessi.

Sotto la pressione di questi fattori, sta diminuendo la passione per la vita comunitaria e sta aumentando il senso di isolamento, di aggressività, di impotenza, fino al punto da sentirsi «insensibili e incapaci di vivere una presenza profetica», preferendo rifugiarsi all’ombra di “regole” ben precise.

Anche e soprattutto in America è sempre più possibile operare delle scelte di servizi e di volontariato anche al di fuori della vita consacrata. È il caso di tanti giovani e anche di tanti religiosi e religiose direttamente impegnati in servizi umanitari al di fuori delle strutture della Chiesa stessa. La vita consacrata rischia di diventare sempre meno significativa proprio sul piano culturale. A volte, sembra riscuotere maggior credito il movimento ecologista stesso, grazie al quale si vorrebbe tentare di tener sotto controllo un certo caos presente anche in tanti ambienti ecclesiastici e di vita consacrata.

Una certa enfasi con cui si vorrebbero imporre, ancora oggi, modelli di vita religiosa del passato, «ci fa sentire fuori luogo nella Chiesa», con la conseguenza di una inevitabile emarginazione, soprattutto nei confronti di un certo mondo consacrato femminile. L’eccessiva difesa di troppe venerande tradizioni si tramuta facilmente in un ostacolo al cambiamento.

Anche in America si è sempre più convinti, comunque, che «la crisi ci obbliga a cercare il significato profondo della vita religiosa». Se la consapevolezza dei propri limiti «ci mette in ginocchio», nello stesso tempo, però, «ci invita a vivere una spiritualità basata proprio sulla fragilità e sulla vulnerabilità».

È fortemente sentito e vissuto il valore della testimonianza, e soprattutto di una più rigorosa coerenza tra il dire e il fare. Mai come oggi, grazie alla libertà di cui si dispone, è forse possibile individuare nuove forme di vita consacrata. Il messaggio evangelico stesso viene compreso e vissuto più in profondità proprio nel momento in cui si cerca di riconoscere e anzi di celebrare la ricchezza della diversità dei carismi. Non si ha nulla da perdere, ma tutto da guadagnare.

La stessa tradizione dei diritti umani non può non essere vista se non come un fattore positivo.

Il progressivo invecchiamento dei consacrati è certamente un fatto preoccupante, ma potrebbe trasformarsi in una più autentica testimonianza cristiana di effettiva interazione con il vasto mondo degli anziani del nostro tempo. Come non vedere nelle nuove energie dei giovani un dono per la comunità e per la missione? L’esperienza congressuale stessa dovrebbe favorire, per il futuro, una maggiore convergenza e una maggiore unitarietà di intenti fra tutte le realtà carismatiche di vita consacrata.

 

VALORI E DISVALORI

IN AMERICA LATINA

 

La riflessione dei gruppi latino-americani e caraibici presenti al congresso è partita dalla consapevolezza dei “grandi valori” che contraddistinguono i loro diversi paesi: una cultura della solidarietà, una profonda sete di Dio, di giustizia e di pace, un vivo desiderio di entrare in dialogo con il diverso, un reale protagonismo delle organizzazioni civili, una netta presa di coscienza dei processi di esclusione e, insieme, di un protagonismo crescente delle donne.

Tutti questi valori, però, convivono con una lunga serie di dolori «che si ripercuotono in tutto il continente». Il dito viene immediatamente puntato verso i paesi del nord, verso le loro politiche neo-liberali «che conducono a un impoverimento ingiusto e istituzionalizzato, che provoca esclusione creando un divario sempre più grande tra ricchi e poveri, che genera consumismo, violenza, discriminazione ed esclusione per etnia, deterioramento della vita, mancanza di sevizi fondamentali come la salute e l’educazione».

Il complesso fenomeno della globalizzazione neo-liberale «distrugge quanto c’è di peculiare nei nostri paesi, danneggia principalmente i giovani e genera movimenti migratori verso i paesi del nord o verso le grandi città provocando un fenomeno di massificazione urbana».

A questi mali che, per lo più, vengono dal di fuori, si aggiungo quelli non meno gravi interni al mondo latino-americano. È il caso della «corruzione protetta dall’impunità che conduce all’instabilità politica ed alla perdita di credibilità nelle istituzioni civili ed ecclesiali». Non mancano situazioni, amplificate dai mezzi di comunicazione sociale, in cui la corruzione è purtroppo rafforzata, a volte, da improvvidi patti tra la gerarchia ecclesiastica e il governo, con una inevitabile confusione crescente tra la povera gente.

Sono ancora troppe le famiglie e le persone sottomesse a un processo di trasformazione «che si traduce in disintegrazione familiare, in difficoltà a raggiungere una stabilità affettiva», con la reale impossibilità, soprattutto da parte dei giovani, di assumersi poi delle responsabilità a lungo termine.

A una «certa involuzione della Chiesa gerarchica che si è allontanata dal mondo dei poveri e che non si fida e non valorizza adeguatamente i valori attuali della vita religiosa», si aggiunge spesso anche la situazione di privilegio in cui, spesso, si viene di fatto a trovare la vita consacrata.

Sul piano istituzionale la vita consacrata è ancora troppo spesso condizionata da una amministrazione consumistica e dalla logica di mercato, tesa inevitabilmente verso una maggiore visibilità efficientistica e produttiva delle sue opere. È ancora troppo succube del pragmatismo, è «carica di protagonismo, stanca, con poca speranza, disincantata, adattata, che vive nell’indifferenza, con poca coscienza della propria identità, della propria capacità di ricerca, con accentuate difficoltà di relazioni interpersonali profonde e con Dio».

Purtroppo la vita consacrata è sempre più priva non solo di una coscienza etica, ma anche di mistica e di profetismo. Mantenendo «lo sguardo centrato su noi stessi, perdiamo di vista l’orizzonte della realtà in cui viviamo e l’orizzonte della missione che ci porta oltre le nostre frontiere».

Si impone, allora, l’esigenza di «imparare a situarci in una diversa maniera», valorizzando la gratuità, ricercando la comunione anche nella diversità, coltivando l’interiorità. Solo in questo modo, partendo dai fondamenti della fede, sarà poi possibile recuperare dall’interno la propria identità personale e istituzionale.

Ai “grandi progetti” si potrebbero forse più opportunamente preferire le “piccole utopie” con cui esprimere la passione per l’umanità, in stretta collaborazione con altri gruppi ecclesiali, intercongregazionali ed extraecclesiali che accettano di percorre la stessa strada. Sono ancora troppe le istituzioni ecclesiali e congregazionali restie al rinnovamento della propria vita e della propria missione. È ancora troppo diffusa una spiritualità disincarnata, provocata anche da settori ufficiali della Chiesa, una spiritualità che, a lungo andare, rischia di alienare i religiosi «dall’incontro con Dio nella realtà concreta e dall’impegno con la gente».

Dalla vita religiosa femminile è forse giunto il tempo di attendersi un maggior protagonismo e una responsabilità più convinta «nella costruzione di una nuova storia e di una autocoscienza femminile che metta in questione il maschilismo presente tanto nella società come nella Chiesa». Da parte di tutti comunque non si può non ripensare a fondo la formazione iniziale, favorendo in particolare la libertà di coscienza che consenta di vivere in maniera più autentica i valori in un mondo in continuo cambiamento.

La constatazione più consolante e anche più promettente per il futuro è quella di una sempre maggior vicinanza della vita consacrata con la gente. La resistenza, la fortezza, la gioia di vivere, il senso della festa e della celebrazione del popolo stanno portando anche i religiosi «a scoprire la realtà come luogo nel quale Dio ci si manifesta e ci interpella».

 

PASSATO E FUTURO

DELLA VC IN AFRICA

 

Erano un centinaio i congressisti africani. Non si può assolutamente generalizzare, hanno fatto subito osservare, perchè se il continente è unico, le situazioni sociali, politiche, ecclesiali, di vita consacrata, sono tante e molto diverse l’una dall’altra. Un po’ ovunque, però, si può parlare di instabilità politica e sociale, causata sia dalle guerre che conflitti etnici e religiosi.

Un altro fattore “unificante”, in senso negativo, è quello della povertà, a tutti i livelli, causata sempre più spesso, oltre che dalle guerre, dalla globalizzazione, dall’urbanizzazione, dalla mancanza di lavoro, dalla migrazione. E ciò che maggiormente deprime è il senso di impotenza di fronte alle diverse situazioni di povertà, di fronte all’analfabetismo, alla precarietà della situazione sanitaria, alla diffusione dell’Aids, del paludismo e di molte altre malattie. Quanto spesso si percepisce la pesantezza di una Chiesa priva di una certa autonomia e libertà, anche economica.

Oltre alla povertà c’è poi l’analfabetismo, la mancanza di educazione, la poca formazione alla fede cristiana, una certa disintegrazione della famiglia, la corruzione, il materialismo che ostacola una più profonda relazione con Cristo. In Africa è molto forte il peso delle tradizioni, anche religiose.

C’è spesso un’affermazione troppo marcata delle proprie origini che può indurre, anche senza volerlo, ad una contro-testimonianza. La concezione della vita umana, la relazione cioè tra uomo e donna, rimangono ancora troppo condizionate dagli usi e dalle consuetudini del passato.

Come non evidenziare, poi, una diffusa tendenza a considerare l’autorità soltanto a livello di leaders?

È questa una «concezione tradizionale che predomina ancora sia a livello della società che della vita religiosa». I modelli culturali dominanti sono quelli imposti dalla globalizzazione, che ostacola una comunicazione profonda. I valori più condivisi sono sempre quelli imposti dai mezzi di comunicazione sociale.

Si vive troppo spesso sotto l’incubo della paura che finisce con il condizionare sia la vita delle singole persone che i rapporti interpersonali. Si assiste impotenti alla proliferazione delle sette. Manca a tutt’oggi una seria riflessione e una autentica inculturazione della vita religiosa africana.

Pensando di sconfiggere la povertà con la ricerca esasperata della ricchezza, si finisce poi con il cadere in una contro-testimonianza. L’assunzione di responsabilità e di impegno per tutta la vita fa paura. La tensione tra vocazione e professione è molto forte anche sul suolo africano. La persona consacrata è ancora troppo spesso percepita come qualcuno che ha una posizione sociale privilegiata. Mancano spesso significative figure di riferimento nella vita religiosa africana. Troppo spesso in Europa si cerca di risolvere la crisi della vita consacrata sottraendo vocazioni ai paesi africani.

Questi e molti altri fattori non sono semplicemente una sfida, ma anche un “luogo teologico” vero e proprio per il futuro della vita consacrata in Africa, sempre più orientata verso una sequela più incarnata e contestualizzata nei più autentici valori africani. Il senso profondo di Dio, il senso della famiglia, della condivisione, dell’attenzione per la persona, dell’accoglienza e dell’ospitalità sono tutti valori capaci di rigenerare la vita consacrata africana.

L’impegno concreto a favore dei più poveri, la consapevolezza di una formazione, anche intercongregazionale, più solida, l’esigenza di un più autentico discernimento vocazionale e di un effettivo rinnovamento della vita consacrata, più che la ricerca esasperata di nuove vocazioni, sono tutti percorsi perseguiti con sempre maggior convinzione in Africa. La solidarietà, la generosità e la formazione integrale della persona, vissute all’insegna di una fede viva e gioiosa, vorrebbero essere, nel vissuto di tanti consacrati del continente africano il segno eloquente di una reale passione sia per Cristo che per l’umanità.

 

L’ASIA E LA SFIDA

DELL’INCULTURAZIONE

 

L’Asia, più ancora dell’Africa, è un continente immenso contraddistinto da un’assoluta diversità di culture, di lingue, di religioni, di sistemi politici ed economici. Però, nonostante tutte queste diversità, hanno affermato i congressisti asiatici «abbiamo condiviso su molti temi, problemi e sfide comuni», a incominciare dal divario enorme fra ricchi e poveri. Il peso di un liberalismo economico senza un volto umano, l’impatto della globalizzazione sui poveri, gli emarginati e soprattutto i giovani, uno smisurato sviluppo di alcune frange della società a tutto scapito dei più deboli, lo sradicamento dei poveri dal proprio mondo di appartenenza, costretti a migrare da un posto all’altro, in cerca di un introvabile posto di lavoro sono solo le prime “pennellate” del dramma della povertà del vasto continente asiatico.

Senza mezzi termini si è denunziato lo sfruttamento della donna come della natura, il predominio maschile nella società e nella Chiesa, la piaga della prostituzione sia dei minori che degli adulti, uomini e donne indistintamente, la persistente e discriminante divisione in gruppi e in classi sociali, l’aumento incontrollato del fondamentalismo religioso che assurge a volte a vero e proprio sistema di violenza.

 

Quasi tutto questo non bastasse, non vanno inoltre sottovalutate le conseguenze di un materialismo dilagante, di una povertà spirituale sempre più diffusa, di una sempre più problematica realtà multireligiosa e multiculturale, di una insicurezza generalizzata causata dalla precaria situazione politica, di una effettiva crisi di libertà in tutti i campi, di una sempre più incontrollata diffusione di tante forme di religiosità popolare, di una indisponibilità reale ad assumersi impegni stabili, di una permanente e preoccupante confusione tra l’essere e il fare, tra la vocazione e la professione, di una sfida aperta e di un condizionamento dei media nel campo della formazione soprattutto dei giovani.

Tutti questi fattori si ripercuotono poi pesantemente sulla vita consacrata. Nessuna meraviglia, allora, se sempre più spesso i religiosi asiatici sono stati sradicati dalle loro ricche culture, se, a causa di tante strutture dei religiosi, la loro distanza dalla gente diventa sempre più incolmabile, se i poveri identificano i religiosi con i ricchi, se a fatica vengono individuate le ragioni di un impegno a favore degli emarginati, se le strutture religiose corrono il rischio reale di soffocare lo spirito e il dinamismo della vita consacrata. Quante volte, purtroppo, l’uniformità prende il sopravvento sul pluralismo, la gioventù si sente soffocare nella propria libertà da strutture spesso ancora oggi troppo pesanti, la preoccupazione per le opere sottrae tutto lo spazio alla contemplazione, e, in una parola, conduce ad uno stile di vita sempre meno credibile.

La credibilità di tante forme di vita consacrata si deve scontrare quotidianamente con una lunga serie di ostacoli individuali, comunitari e sociali. Anche in Asia sono ampiamente diffusi l’individualismo, la mancanza di una adeguata formazione alla vita di fede, la sterilità di una testimonianza di vita consacrata priva di convinzioni profonde, la indisponibilità interiore ad un cammino reale di conversione personale.

 

Non meno preoccupanti sono poi gli ostacoli a livello comunitario, a incominciare proprio dal non sapere, spesso, che cosa comporti una reale vita comunitaria. Insieme ad uno stile di vita borghese, si vanno diffondendo un pericoloso adattamento ai modelli culturali imposti dall’esterno, un preoccupante fondamentalismo anche in alcune comunità religiose, a fronte, oltretutto, di una frequente mancata genuina inculturazione, con il conseguente rischio di una “schiavitù spirituale” anche a livello di vita consacrata.

Sul piano sociale poi la vita consacrata rischia di soffocare sotto il peso e la rigidità di strutture sempre più inadeguate a incarnare il proprio carisma. È sempre molto forte la dipendenza economica dai paesi più sviluppati. Mentre da una parte si constata ogni giorno la perdita dei più autentici valori tradizionali, dall’altra è difficile sottrarsi al consumismo e al materialismo tipico dei paesi occidentali. Persistono ancora oggi frequenti situazioni di “machismo”, di ingiustificata dominazione maschile, di leadership a volte oppressiva, di fondamentalismo religioso e di scarsa disponibilità a impegnarsi a fondo e in continuità nella vita consacrata. Se anche come religiosi è importante “sognare”, lo si deve fare però non perdendo mai il contatto con la concreta realtà della vita di tutti i giorni.

Proprio in quanto asiatici «abbiamo la nostra propria esperienza di Dio». Solo se pienamente convinti di questo, è possibile rigenerare la vita consacrata, le sue strutture e le sue istituzioni con una chiara e irrinunciabile identità asiatica.

La spinta a guardare con fiducia in questa direzione proviene appunto dalla ricchezza della spiritualità asiatica e di tutti suoi valori, quali la sete di Dio, il misticismo, l’interiorità, l’armonia, l’apertura, l’accettazione, la fede profonda, l’ospitalità, il senso radicato della vita familiare. Ogni giorno la vita consacrata in Asia è positivamente sfidata da un triplice dialogo: con i poveri, con le culture, con le religioni.

Una sempre più adeguata formazione e collaborazione, anche intercongregazionale, per la missione e per i problemi della giustizia sociale, una più ampia valorizzazione dei numerosi media di ispirazione cattolica congiuntamente a tutti i programmi e a tutte le attività dell’istituto per vita consacrata in Asia, non potranno che garantire per il futuro una autentica testimonianza profetica di tutti i consacrati nella loro passione per Cristo e per l’umanità.

 

TRADIZIONI INDIGENE

IN OCEANIA

 

L’Oceania aveva la più bassa rappresentanza al congresso, una quindicina di persone in tutto. Il loro continente risente fortemente della complessità di due contrastanti esperienze: da una parte la realtà di nazioni con culture e stili di vita essenzialmente europei e dall’altra nazioni, come la Melanesia e il Pacifico, dove la popolazione è quasi interamente indigena. In ambedue queste situazioni, però, sotto il peso della globalizzazione che rischia spesso di elevare l’avidità «allo stato di virtù», il divario tra ricchi e poveri è sempre più ampio. La proliferazione dei media e di tutte le nuove vie informatiche, se da una parte aprono nuove prospettive e possono rivelarsi come preziose opportunità nel campo educativo e formativo, dall’altra stanno minando alla base ogni possibile esperienza di silenzio, di solitudine contemplativa.

Nelle Figi e nella Papua Nuova Guinea l’abbandono della terra ha comportato il venir meno del supporto della cultura e della famiglia allargata, dei valori tribali di ospitalità. La perdita del senso della comunità, la diffusione della corruzione come strumento più immediato per diventare più ricchi e migliorare il proprio benessere, stanno compromettendo seriamente la portata dei più autentici valori tradizionali.

In Australia e nella Nuova Zelanda, la prospettiva di un maggior benessere fa sì che aumentino a dismisura le ore lavorative per ambedue i coniugi, con pesanti ripercussioni sulla qualità della vita familiare e sui rapporti intergenerazionali. Una certa “cultura della paura” imposta, a volte, dai leaders politici, si ripercuote pesantemente nello stile di vita degli indigeni e finisce con il favorire non solo il fenomeno delle migrazioni e dei rifugiati, ma anche dei terroristi. In un contesto sociale del genere diventa allora sempre più difficile trovare persone pronte a fare scelte per tutta la vita, a impegnarsi volontariamente al servizio della propria comunità locale.

Sul piano più propriamente religioso, il fenomeno della colonizzazione e delle migrazioni ha comportato anche un aumento incontrollato di esperienze religiose. II cristianesimo stesso, soprattutto in certe sue forme tipiche dei tempi coloniali, ora di fatto coesiste tranquillamente insieme a tante altre più ambigue esperienze religiose. Una sempre diffusa sete “spirituale” spinge tante persone «a esplorare una gamma di nuove pratiche e di tradizioni religiose, alcune delle quali chiaramente fondamentaliste».

In una società sempre più appiattita sulle dimensioni materiali della vita, la religione viene facilmente persa di vista, la superficialità della vita prende il sopravvento sulla disciplina personale e mina ogni possibilità di autentico discernimento nelle proprie scelte. Come non accorgersi allora del fatto che, soprattutto in alcune delle tante culture dell’Oceania, le persone vengono attratte dalla vita consacrata quasi esclusivamente per una migliore opportunità economica e professionale?

Un certo clima ecclesiastico di “potenza” e di “restaurazione”, la frequente incoerenza tra il dire e il fare, un diffuso atteggiamento nettamente maschilista, comportano inevitabilmente una perdita di credibilità nella vita consacrata, scelta da persone in cerca di sicurezza e sempre più disimpegnate nel campo della giustizia e della promozione umana.

Anche in Oceania, la tensione tra professione, carriera e vocazione influisce negativamente sulla vita comunitaria e sulla missione, rendendo più problematica la disponibilità delle persone a impegnarsi nel servizio dell’autorità.

 

La piena consapevolezza di tutti i fattori negativi che condizionano la società e in parte anche la vita della Chiesa, può essere il punto di partenza per nuove prospettive di vita consacrata. È innegabile e sempre più diffuso il desiderio di una vita comunitaria più profonda, di una più reale comunicazione interpersonale, di un maggior coinvolgimento dei laici, di una sempre più attenta riscoperta della dimensione contemplativa anche del proprio impegno apostolico. È sulla base di queste premesse che anche in Oceania la vita consacrata intende programmare il suo futuro di passione per Cristo e di passione per l’umanità.

 

Angelo Arrighini

1 Testimoni, n. 1, 2005.

2 Non sono state riportate neppure negli Atti del congresso, Passione per Cristo. Passione per l’umanità, Paoline, Milano 2005.