UN DISCORSO A SUPERIORI MONASTICI

PASSAREDAL CAOS ALLA PACE

 

Un insieme di circostanze caotiche minaccia la vita spirituale quotidiana. Come mantenere il necessario equilibrio per attraversare il caos senza perdere di vista l’obiettivo di una pace “stabile”? Una riflessione dal mondo monastico.

 

Sembra che non si dica niente di nuovo quando si osserva che viviamo in un’epoca di cambiamenti rapidissimi, tanto rapidi che il loro influsso pur modificando le persone con i loro stili di vita, le comunità e le istituzioni spesso non lascia il tempo di percepirne chiaramente né la portata storica né i significati che vi sottostanno.

Di fatto, neppure le comunità religiose possono sottrarsi a forze che avvertiamo tali da superarci, che non riusciamo a controllare e che non sappiamo dove potranno condurci. Esse non soltanto determinano una evoluzione che costituisce la provocazione fondamentale del nostro tempo ma causano anche lo sfuggirci ogni tanto di quel dono della pace che dovrebbe essere lo sfondo, non di lusso ma certamente normale, del nostro concreto quotidiano, per quanto attivo possa essere.

Come attraversare le situazioni caotiche prodotte dai cambiamenti in corso continuo e riconquistare ogni volta la pace che sembrava perduta? È un passaggio ineludibile, e l’aveva descritto sr. Josephine Mary Miller, superiora generale delle Bernardine d’Esquermes parlando a superiori monastici in Inghilterra, nell’ottobre del 2003, con una relazione che leggiamo nel Bollettino dell’A.I.M. (Alliance InterMonastères, di tradizione benedettina) n.82/2004. Caos e pace era il tema del suo discorso.

 

IL CAOS

INEVITABILE

 

Manca al nostro tempo – osserva sr. Josephine Mary – il senso della storia, e anche a persone che portano responsabilità non leggere capita di ritenere che le situazioni attuali siano peggiori di quel che sono, dimenticando che ogni generazione ha avuto e ha i suoi problemi e non riflettendo, ad esempio, all’esortazione del cardinal Newman che proponeva di agire secondo la luce che abbiamo, sia pure dovendo affrontare difficoltà da tutte le parti e senza sapere, come non lo sapeva Abramo, dove i nostri passi potranno condurci ma almeno intuendo che anche in mezzo al caos potremo scoprire una strada percorribile.

La stessa vita monastica ha vissuto periodi densi di «turbolenze che, nel loro tempo, sono dovute sembrare minacciose quanto quelle che attualmente viviamo, mentre non riusciamo neppure a immaginare quale forma di vita monastica o religiosa sopravvivrà. Quale muore? Quale deve morire? E quale è già morta, nonostante le apparenze?». Ma, nello stesso tempo, «quale risorge, purificata, e probabilmente più umile? Sopravvivrà il mio monastero, la mia congregazione? In effetti, non sappiamo niente. Come la società attorno a noi sottomessa alle pressioni dei media, contiamo i nostri “drappelli” e, comunque, pensiamo che non ci avverrà ciò che capitò a Davide allorché gli venne in mente di ordinare «il censimento del popolo, per conoscere il numero della popolazione», e poi “si sentì battere il cuore” e chiese perdono al Signore perché aveva commesso “una grande stoltezza” (2 Sam 24,1-17).

L’esempio di Davide ci rivela il modo in cui Dio si comporta con gli uomini e ci aiuta a capire qualcosa della nostra fede. E «la storia della maggior parte dei nostri monasteri – aggiunge la relatrice – illustra ciò che Dio è capace di realizzare mediante un pugno di monaci e di monache fedeli un mezzo a circostanze sfavorevoli».

Ma «che si vuol dire con la parola caos? A me sembra che significhi anzitutto il fatto di sperimentare delle forze disordinate, che non possiamo controllare e che minacciano persino di distruggerci».

Esso si manifesta tuttavia a diversi livelli. C’è quello più semplice del dover... rifare la cella di qualcuno, quando un fratello o una sorella non ha buttato via neppure un foglietto per quarant’anni, o nel dover modificare spesso gli orari, regolare le nostre priorità, affrontare questioni economiche in comunità ridotte di numero e prive di persone competenti in materia, e così via.

Ma a un livello più profondo risiede la questione dei nostri cuori “poco ordinati”, capricciosi, dove è difficile distinguere l’aspetto psicologico da quello spirituale e da quello morale. Senza minimizzare – afferma – l’importanza di un buon equilibrio psicologico, sembra che spesso non abbiamo la fede e la chiarezza spirituale necessarie per discernere il peccato che troviamo nel nostro cuore e nei cuori altrui; ché se non abbiamo tale fede chiaroveggente non possiamo neppure aprirci completamente alla misericordia e alla pace di Cristo. Si rimane nell’ansia, più o meno forte secondo i temperamenti; la stessa ansia che proviene dall’esigenza di operare scelte e decisioni importanti senza poterne prevedere le conseguenze.

Altra fonte di preoccupazione per le comunità inglesi di religiose cattoliche romane, monastiche e apostoliche, è il problema della mancanza di presbiteri per la celebrazione dell’eucaristia. «Molte delle nostre comunità non hanno più la messa quotidiana, e tale situazione è destinata ad aggravarsi». Si impone così a parere di sr. Miller una necessità: «Dobbiamo ripensare la nostra teologia e la nostra pratica eucaristica, i nostri principi liturgici e le nostre pratiche di preghiera, dal momento che riceviamo da parte della Chiesa un aiuto limitato. Da una regione all’altra e da una diocesi all’altra la teoria e la pratica differiscono e l’evolversi rapido delle situazioni produce conseguenze notevoli sul nostro modo di vivere la vita monastica». Si tratta evidentemente di «settori differenti, nei quali il caos e il disordine oggi ci minacciano e io mi domando se veramente comprendiamo ciò che dovremo vivere. Potremmo parlarne per ore, e citare numerosissimi esempi».

 

ATTRAVERSARE

IL CAOS

 

Apre alla speranza il significato di caos dato dai dizionari di spiritualità biblica, che parlano di forze primitive che possono essere ricondotte a un certo ordine e da cui può germogliare una vita nuova. Un caos di potenzialità positive insite nei cambiamenti, interpreta sr. Josephine M.: vi si potranno sperimentare sofferenze e umiliazioni, fatica e pazienza, ma pure una vita purificata e rinnovata dal fuoco della grazia divina. L’epoca dei cambiamenti minacciosi può essere vista, come l’ha interpretata sr. Joan Chittister ne Il fuoco sotto la cenere, magnifica per coloro le cui anime sono piene di Dio e alle quali non fa paura la diminuzione numerica nelle comunità perché essa ci getta nuovamente, «tutti interi, piccoli e fiduciosi, in fiamme e fuoco, su Dio».

Il caos si attraversa così, diminuiti di forze ma fedeli, continuando imperterriti ad affermare i più significativi valori del Regno nella vita religiosa: la tensione colma d’amore alla vita eterna che «è Dio stesso, il quale ha sete di vivere in noi per sempre» (Maurice Zundel); il celibato vissuto nel suo senso più profondo in qualità di relazione vitale d’ amicizia con Dio “sommamente amato” e con i fratelli/sorelle amati con lui; e questo, non soltanto dal punto di vista maschile, ma anche in funzione di un approccio femminile, per il quale sr. Josephine M. sottolinea il coraggio necessario a purificare sempre più la fede per vivere la scelta del celibato come un dono di Dio, «il coraggio di permettere allo Spirito santo di purificare le diverse profondità delle nostra vita affettiva, questa vita affettiva così spesso messa alla prova dalle pressioni delle società circostanti. Noi dobbiamo compiere tutta una serie di scelte cruciali che escludono altre possibilità pur valide in sé: separazione da coloro che amiamo, il fatto di rompere i rapporti con certe persone, certi luoghi o attività, buone in sé, al fine di seguire Cristo più da vicino. E se il nostro celibato non è fondato su un atteggiamento teologale e vitale non ha alcun senso».

Ma al primo posto segnala la testimonianza del carisma fondamentale della vita consacrata secondo le sfumature proprie, in questo caso, alla realtà monastica: una testimonianza oggi non facile, perché conseguente all’impegno di dire con la vita più che con le parole che i religiosi/e credono realmente alla vita che hanno scelto di vivere.

E racconta dei monaci di Oka in Canada. Colpiti dalla forte riduzione numerica, in un monastero che ha 175 anni di vita, con una struttura materiale sempre più pesante da portare e in zona non più silenziosa a causa della crescente urbanizzazione, hanno scelto con coraggio e saggezza di cambiare dimora: uno spazio di dimensioni proporzionate all’attuale numero di monaci e in una località che offrirà loro il necessario quadro di solitudine e di silenzio. «Vogliamo – hanno dichiarato – investire il meglio di noi stessi e delle nostre energie in ciò che è al cuore del nostro impegno cristiano e monastico, piuttosto che mantenere un patrimonio che ha pure la sua bellezza e il suo valore sul piano storico».

Prendere una tale decisione – commenta la superiora generale delle Bernardine – «implica in concreto che crediamo che il nostro modo di vivere la vita monastica non è l’ultima parola sull’argomento. La nostra fedeltà a Dio, la sua fedeltà a nostro riguardo potrà esprimersi in modi differenti nel corso della vita, nostra e dei nostri monasteri. Soltanto relativizzando tutto ciò che è veramente secondario potremo ricentrarci sui valori essenziali e duraturi».

 

E FINALMENTE

LA PACE

 

«Mi piacerebbe – così, argutamente, sr. Josephine M. – avere ogni tanto una settimana di pace, di giorni nei quali nessuno mi salti addosso con i suoi problemi, né mi raggiungano situazioni da sistemare in due minuti, e meno ancora questioni alle quali non saprei proprio dare risposta. Ma questo nasconde un atteg­giamento di tirannia e di idolatria, e Dio felicemente non permette che ciò avvenga».

La pace, infatti, è ben altro: implica assolutamente le relazioni, esige anche una lotta e soprattutto costruisce il compito principale dei responsabili in un monastero. La lettera ai Colossesi ci ricorda che Cristo ci ha meritato la pace versando il proprio sangue sulla croce. E Bonhoeffer – che sapeva di che cosa parlava – ci ammonisce ancor oggi dicendo che non c’è pace nel cammino verso la sicurezza, che occorre osare la pace, questa grande avventura che non sarà mai semplice garanzia di sicura tranquillità.

Che cosa dunque può aiutare a vivere la pace durante il caos, mentre ad esempio la stabilità monastica, come recitano le costituzioni delle monache Bernardine, «è un modo di rispondere mediante la nostra fedeltà alla fedeltà immutabile di Dio là dove egli vuole che lo cerchiamo»?

Ancora una volta, un primo modo è quello di esercitare la «responsabilità elementare ed essenziale di mostrare ai nostri fratelli e sorelle che vivono all’interno e all’esterno dei nostri monasteri che crediamo realmente al nostro stile di vita. Mediante la nostra fedeltà quotidiana, infatti, incontriamo ogni giorno Cristo e in grazia di questo tipo di fedeltà manifestiamo la nostra fede in un Dio fatto uomo: accettando la realtà come essa è, condividendo le difficoltà, dando fiducia e accogliendo gli aiuti che ci vengono offerti».

 

Sicuramente siamo tutti impazienti di poter compiere felicemente il passaggio dal caos alla pace, passaggio che è meno semplice di quanto appaia, poiché l’attraversamento di tappe di instabilità non è agevole e tanto meno è uguale per tutti. Eppure, paradossalmente – conclude sr. Josephine M. nel suo discorso ai superiori di monasteri cattolici in Gran Bretagna – è saggio riconoscere che è ottima cosa «accordare a Dio il beneficio di credere che la sua mano ci conduce e accettare l’ansietà che proviene dallo sperimentare in quel passaggio un equilibrio instabile», specialmente quando tale passaggio avviene solcando le “acque profonde” dell’incertezza sia pure mitigata dalla fiducia nello Spirito che anima la Chiesa di Cristo.

 

Zelia Pani