VITA RELIGIOSA IN RICERCA

UN FUTURO SOSTENIBILE

 

Il vero interrogativo circa la vita consacrata oggi non riguarda la diminuzione numerica. È in questione il proprium stesso che la caratterizza e su questo punto va approfondita la riflessione. Il problema come è avvertito oggi in Germania e probabilmente anche altrove.

 

Ogni volta che si discute dell’attuale diminuzione numerica delle nuove vocazioni alla vita consacrata – realtà che ormai ha raggiunto il suo punto più basso – sarebbe uno sbaglio di prospettiva fermarsi solo ai numeri perdendo di vita le cause che sono all’origine di questo fenomeno. Il calo numerico, come è noto, è dovuto a numerosi fattori, molti dei quali esterni alla vita consacrata. Il punto che invece sembra più importante è riconoscere che questo fenomeno è solo un sintomo, non il vero problema. Il vero problema sta altrove.

È questa la convinzione su cui attira l’attenzione Stefan Kiechle sj, dottore in teologia e maestro dei novizi dei gesuiti di lingua tedesca, a Norimberg, in un articolo apparso nel perio­dico Herder Korrespondenz (4/2004) e ripreso successivamente anche dalla rivista per la vita religiosa Ordens Korre­spondenz, organo dell’Unione dei supe­riori maggiori della Germania (3/2004).

Da un po’ di anni, scrive, almeno in Germania, si sta approfondendo la ricerca in questa direzione. Ma prima di descrivere le iniziative poste in atto, p. Stefan ripercorre brevemente il tragitto compiuto dalla vita religiosa a partire dal postconcilio, per aiutare a comprendere meglio il punto di arrivo dell’attuale riflessione, e gli interrogativi che oggi si pongono soprattutto tra le nuove generazioni di religiosi.

Nel periodo successivo al concilio gli istituti religiosi, in particolare quelli maschili, sollecitati anche dalla parola magica dell’ “aggiornamento”, si sono affrettati a liberarsi dai vecchi ordinamenti e stili di vita, caratterizzati da una concezione rigida e collettivistica della vita religiosa. Molte opere e attività apostoliche tradizionali furono ridimensionate, e ne vennero avviate di nuove. La vita delle comunità, una volta persa la rigidità e l’uniformità del passato si trasformò in una specie di convivenza informale, gli uni accanto agli altri, a proprio piacimento. Anche la vita spirituale ebbe molto a soffrire a causa dell’eccesso di lavoro. Si profilò inoltre la tendenza ad adagiarsi su uno standard di vita sostanzialmente borghese, così che la vita religiosa finì col mettere in questione la sua stessa credibilità.

Nelle comunità femminili, al contrario, rimase sostanzialmente in piedi il vecchio ordinamento, leggermente aggiornato, ma con molti elementi della vecchia rigidità.

Ancor oggi, sottolinea il padre, continua a far problema il fatto che alle singole religiose è concesso troppo poco spazio di crescita. A tutto questo si aggiunse il problema della mediazione degli istituti nei riguardi della società nel senso che divenne sempre più difficile per i religiosi/e far comprendere alla gente il senso e il valore della propria esistenza. In altre parole, la “testimonianza” è impallidita, è rimasto il lavoro...

Naturalmente ci sono state anche delle esperienze nuove ben riuscite, ma troppo sporadiche, almeno nell’ambito germanico.

A partire dagli anni ’80 ai giovani questo modello di vita religiosa non appariva più attraente. La conseguenza fu un ulteriore calo delle vocazioni e un aumento delle uscite. Nel decennio successivo, in particolare per gli istituti di vita attiva – meno in quelli monastici o contemplativi – si entrò nella fase del ridimensionamento delle opere, come ospedali, scuole, istituzioni educative, per passarne la gestione in altre mani.

Dopo tutto questo travaglio, sottolinea p. Stefan, il problema attualmente riguarda non più le opere ma la stessa vita religiosa. Ci si chiede: come può la vita di comunità avere successo? Che cosa unisce i religiosi tra di loro? Il lavoro, da solo, non può bastare, tanto più che oggi molti religiosi/e svolgono la loro attività sempre meno insieme e all’interno delle proprie opere e sempre più da soli o presso altri datori di lavoro. In questa situazione cos’è allora una comunità religiosa e apostolica? Che cosa caratterizza un “istituto”? I classici consigli evangelici, ormai intesi in maniera individualistica, appaiono sempre più estranei al nostro mondo postmoderno. Perché un giovane dovrebbe entrare in un istituto religioso quando anche fuori può vivere la sua vita cristiana in maniera significativa, più libera e flessibile rispetto a quella dei vecchi, rigidi conventi? Inoltre: in che modo e fino a che punto la vita religiosa è oggi una testimonianza?

A questi interrogativi, osserva il padre, si tende a dare una risposta puramente funzionale o “devozionale”. In realtà dietro ad essi ci sono dei problemi di carattere teologico che riguardano il posto stesso e il senso della vita consacrata nella Chiesa e nel mondo.

 

NUOVI PUNTI

DI PARTENZA

 

In Germania, rileva p. Stefan, dalla fine del concilio c’è stato un deficit di riflessione a questo riguardo, rispetto per esempio a quanto è avvenuto in America latina e nel mondo anglosassone. Per rimediare a questa situazione, nel 1998 l’Istituto delle congregazioni religiose per la pastorale missionaria e la spiritualità, ha fondato un gruppo di lavoro per la teologia della vita religiosa formato da 12 teologhe e teologi qualificati di diverse congregazioni e spiritualità. Animatore dell’iniziativa è stato p. Klemens Schaupp, il quale purtroppo ha poi lasciato non solo il gruppo, ma anche il suo istituto religioso.

In una prima fase, il gruppo si è concentrato sul concetto, venuto dagli USA, di rifondazione, termine che indica che la vita religiosa oggi non deve essere solo riformata, ma in certo senso nuovamente fondata. Secondo un autore molto noto, A. Arbuckle, rifondazione significa un processo, da attuare in comune, di ritorno all’esperienza iniziale dell’istituto per recuperare l’orientamento alle finalità e alla visione delle origini, allo scopo di infondere nuove energie alle comunità e trovare nuove risposte radicali ai problemi del presente.

Nel gruppo di lavoro il concetto di rifondazione fu esaminato criticamente da diversi punti di vista. In particolare furono tenuti presenti gli attuali cambiamenti sociali e culturali e il loro significato per la riflessione teologica sulla vita religiosa. Furono così posti importanti interrogativi circa l’individuo e la comunità, l’identità e l’istituzione nell’attuale nuovo contesto, e i corrispondenti influssi sull’immagine, ancora piuttosto tradizionale, della vita religiosa. Il concetto fu analizzato anche nella prospettiva della vita religiosa femminile. La conclusione fu che la vita religiosa aveva oggi bisogno di una profonda revisione.

Questa fase di studio sfociò in un primo simposio sulla teologia della vita religiosa, che si tenne a Limburg, nel febbraio 2001, con una considerevole partecipazione di persone interessate.

Dopo quell’incontro, il gruppo orientò la sua attenzione sulla scelta di vita, alla luce dell’interrogativo: come può nell’attuale contesto postmoderno in cui i progetti di vita che uno sceglie cambiano frequentemente, avere successo un vincolo che invece duri tutta la vita? Come fondare teologicamente, nell’attuale cambiamento dei i tempi, questa scelta e tradurla sotto il profilo spirituale-esistenziale? Come affrontare le rotture così frequenti e dolorose delle decisioni prese e come interpretarle o accettarle teologicamente? Quali criteri e metodi psicologici e spirituali possono aiutare a prendere delle decisioni che abbiano riuscita? Sono interrogativi che valgono naturalmente non solo per i religiosi di professione “perpetua” e per il sacerdozio, ma anche per le persone cristiane sposate.

La problematica fu esaminata dal punto di vista biblico neotestamentario, sotto il profilo cristologico, antropologico ed escatologico. Al termine fu organizzato un secondo simposio, che si svolse ancora a Limburg dal 13 al 15 febbraio 2004, con una partecipazione ancora maggiore, sul tema: Vita religiosa oggi, un progetto rivedibile o un vincolo per tutta la vita? Nei vari gruppi di studio furono presi in esame vari aspetti come il compito dei superiori/e, la formazione dei giovani religiosi, le forme alternative di appartenenza all’istituto: ci si domandò, per esempio, se può essere ammissibile nella Chiesa, un monachesimo a tempo, secondo il modello buddista; così pure come affrontare i fallimenti e le uscite e gli aspetti psicologici delle motivazioni e di una scelta per la vita.

 

UNA RICERCA

PER IL FUTURO

 

Attualmente il gruppo si sta interro­gando sulle scelte del futuro. P. Stefan, senza voler sostituirsi al gruppo di studio, è del parere che si debba prendere in considerazione l’orientamento emerso da tempo verso le piccole comunità, dove è possibile vivere uno stile di vita più fraterno, aperto e ospitale, dove le comunicazioni sono più facili che non nelle vecchie comunità religiose, e dove è più agevole la comunicazione e più flessibile l’aspetto gerarchico.

Occorre inoltre riflettere anche come riuscire a passare dall’io al noi e trovare il modo di concretizzarlo. In una cultura postmoderna fatta di single, la vita religiosa darebbe così una convincente testimonianza cristiana.

Se un tempo la vita nell’istituto era vista soprattutto in ordine a un lavoro sociale e pastorale il più efficiente possibile, oggi il ruolo principale è attribuito alla vita religiosa in sé. I giovani desiderano stare insieme come cristiani e sulla base di questa esperienza impegnarsi per gli altri. Si potrebbe parlare perciò della comunità religiosa come di un “corpo apostolico”, dove, secondo l’immagine paolina, esiste una vera comunione di persone che si animano e completano nei loro carismi; un corpo che esiste per un compito apostolico che sta al di fuori di sé a cui ci si sente inviati da Dio e incaricati da parte della Chiesa. La gente del mondo allora non sarebbe più indotta a interrogarsi sul significato del lavoro dei religiosi/e, ma a vedere come vivono insieme queste persone, se lasciano irraggiare qualcosa e operano “gioiosamente”: solo una testimonianza del genere ha significato ai loro occhi.

Un altro interrogativo da approfondire, secondo p. Stefan, riguarda il proprium della vita religiosa. Che cosa distingue i religiosi/e dalle altre comunità, qual è il loro compito specifico nella Chiesa e nel mondo?

Di solito, per rispondere a questa domanda si guarda ai consigli evangelici di povertà, castità e obbedienza. Oggi tuttavia essi sono diventati impopolari nel senso che contrastano con il sistema di valori del mondo moderno e postmoderno e sotto molti aspetti sono messi in questione. Che cosa significa nell’ambiente mitteleuropeo contemporaneo vivere da poveri? La castità celibataria è una negazione della vita, dell’amore, dello sviluppo della persona? Dove sta il valore di questo genere di vita? In che senso l’obbedienza può esser ancora ritenuta una virtù per una persona illuminata e autonoma in un mondo in cui esistono ancora tanti sistemi oppressivi?

Bisognerebbe allora chiedersi: esistono altri “consigli evangelici” in grado di caratterizzare meglio il proprium della vita religiosa? Per esempio, il consiglio della comunione fraterna, del primato del regno di Dio e della dedizione apostolica?

Un altro tema importante da esaminare potrebbe essere quello del governo e dell’esercizio del potere. Purtroppo osserva p. Stefan, sia nella Chiesa sia nella vita religiosa il potere è ancora un tabù e ciò gli consente di essere esercitato in maniera incontrollata e autoritaria. A volte vengono portate delle motivazioni teologiche – anche se in se stesse non necessariamente false – per giustificare certi abusi. In passato le comunità religiose spesso infantilizzavano i loro membri e in nome dell’obbedienza impedivano il loro sviluppo personale. Dopo il concilio tuttavia è avvenuto un fenomeno contrario: l’autorità dei superiori e delle superiore ha finito per oscillare tra “libertà” individuale e “autorealizzazione” dei membri. Come ritrovare l’equilibrio? Favorendo la partecipazione e la condivisione e riservando poi la decisione ultima ai superiori. In questo modo, per mezzo del discernimento, tutti nella comunità si mettono in ascolto dello Spirito e sono coinvolti nel processo di ricerca. Così, ciascuno con i suoi carismi personali e i suoi limiti arricchisce gli altri, impara a coordinarsi con l’insieme e a rinunciare a se stesso. È su questa ardua strada, conclude p. Stefan, che bisogna praticamente esercitarsi e su cui riflettere oggi teologicamente.

A.D.