IL DONO DELLA MITEZZA

 

I frati cappuccini della Basilicata hanno davanti a sé due importanti appuntamenti: la visita pastorale e il capitolo provinciale. In preparazione, il ministro provinciale fr. Giuseppe Celli ha scritto a tutti i frati, in data 19 gennaio scorso, una lettera per descrivere lo spirito con cui dovranno essere vissuti: quello della preghiera e delle Beatitudini. Data la ricchezza di contenuti, offriamo questa lettera anche ai nostri lettori, come fosse rivolta anche a loro.

 

«Stiamo già pregando perché il capitolo provinciale sia un fecondo dialogo nello Spirito. Preghiamo anche per la visita pastorale, perché “giovi molto all’animazione della nostra vita, al rinnovamento e all’unione dei frati”, così come c’insegnano le costituzioni.

Preghiamo, in particolare, perché possiamo sentirci ed essere sempre più autenticamente il popolo delle Beatitudini: quelli che sono poveri davanti a Dio, quelli che sono nella tristezza, quelli che non sono violenti, quelli che desiderano ardentemente quello che Dio vuole, i misericordiosi, i puri di cuore, gli operatori di pace, i perseguitati per aver fatto la volontà di Dio, quelli che sono insultati e perseguitati perché vogliono essere fedeli discepoli di Gesù Cristo.

Preghiamo affinché ogni confratello si senta accolto, stimato, voluto bene, guardato con occhio cordiale e anche compassionevole. Ognuno si senta apprezzato per il bene che riesce a fare con l’aiuto di Dio, sempre facendo attenzione, da un lato, a non spegnere lo spirito della santa orazione e devozione e, dall’altro, a fuggire l’ozio, nemico dell’anima (Regola b 5). Perché ciascuno avverta comprensione e perdono da parte degli altri fratelli per quanto ancora non riesce a fare come vorrebbe, a causa della fragilità umana o per istigazione del maligno. Ogni singolo fratello senta le attese di bene, la speranza e tutta la fiducia dei confratelli, per il cammino di santità che sta facendo da solo, insieme con la sua fraternità e con tutto il popolo di Dio. Percepisca, così, il loro forte sostegno nel percorso di conversione – il verbo ebraico, come sappiamo, è sˇub e significa ritornare – per mettersi in sintonia con quanto abbiamo promesso al Signore di osservare e con il progetto enunciato dal Maestro sul monte delle Beatitudini, specialmente in quest’anno che la liturgia domenicale e festiva ci ripropone la lettura del vangelo di Matteo.

Il filosofo francese Paul Ricoeur (premio Balzan 1999), ha detto che “la storia terrificante di questo secolo ha bisogno sì del recupero della memoria ma soprattutto del rilancio delle Beatitudini, che esprimono il vero volto di Dio. Io credo che non si possa dire meglio e proclamare Dio, svelare meglio il suo viso che proclamando le Beatitudini”. Anche i fatti di violenza e d’ingiustizia, che vengono registrati nelle nostre regioni di Campania e Basilicata attendono da noi un rilancio delle Beatitudini. A volte, pure nei nostri conventi, possiamo riscontrare atteggiamenti che non dicono mitezza, ma aggressività, soprattutto quando dentro di noi ci sono paure che non riusciamo a comprendere e a spiegare; quando puntiamo il dito contro gli altri accusandoli d’immaturità, pur sapendo bene che quando accusiamo l’immaturità degli altri difendiamo la nostra (G. Pontiggia, Nati due volte, Mediasat 2003, 45). Per la stessa ragione, probabilmente, altre volte ci accaniamo a ricordare imprudenze o sbagli del passato (quelli degli altri).

Se desideriamo rilanciare le Beatitudini, lasciamoci modellare dallo Spirito santo, allora impareremo la compassione, poiché avere pietà significa smettere di accusare e percepire l’altro come vittima e, più fondamentalmente, come sofferente. La misericordia, infatti, è incontro con l’altro, è decisione di mettersi in cammino, insieme. A tale riguardo vale la pena ricordare che André Chouraqui, autore di una magistrale traduzione in francese del Primo e Secondo Testamento (in 26 volumi), al posto della parola “beati” scelse l’espressione “sono in piedi”, “sono in cammino”, perché le Beatitudini sono un invito al cammino: “Alzatevi”. Qualche anno fa, Elisa Kidané, suora eritrea missionaria comboniana, confidava: «È dall’esperienza della compassione, dell’amore vero – quello che non elemosina, non ricatta, non aspetta ricompense, ma dona e riceve in abbondanza – che io sto imparando a capire cosa significa essere misericordiosi: significa lasciare danzare il cuore per la storia dell’altro, senza timore, senza timore di perdere la partita, ma nell’unica certezza che Dio avrà certamente misericordia di me» (Il Segno 4/1999).

Se saremo docili all’opera dello Spirito chiederemo con fede e perseveranza anche il dono della mitezza, questa beatitudine evangelica che sembra fuori moda più delle altre, ma di cui avvertiamo urgente necessità, perché «il mite è l’uomo di cui l’altro ha bisogno per vincere il male dentro di sé»; perché il mite “è l’anticipatore del mondo migliore”, ci diceva Norberto Bobbio (1909-2004), nel suo celebre Elogio della mitezza.

Accogliamo l’esortazione del grande Basilio al sacerdote: “Non accingerti alla sinassi (riunione comunitaria) serbando inimicizia verso qualcuno, per non mettere in fuga il Paraclito”; lasciamoci guidare e accompagnare da santa Maria Vergine durante il tempo di visita pastorale e di preparazione al capitolo provinciale, così riusciremo ad accoglierci, con cuore riconoscente, quali fratelli donati gli uni agli altri dal Padre ».