LINEE DI SPIRITUALITÀ

MISTICA E PROFEZIA

 

Recuperare la dimensione mistica e profetica delle vita consacrata è urgente per rispondere con sincerità a interrogativi come: sono davvero il religioso che il Signore si aspetta da me? Che testimonianza do col mio modo di vivere? Occorre uno sforzo per recuperare il desiderio di santità.

 

Nel modo di vivere, di parlare e agire di alcuni   religiosi e religiose si coglie un certo scoraggiamento,un senso di stanchezza e di apatia. Sono fenomeni che

indubbiamente denotano uno stile di vita che ha perso il sapore e lo scopo iniziale, e in molti anche il significato.1

Guardando alla quotidianità vediamo delle situazioni che sono davvero problematiche per quanto riguarda la nostra vita e il modo con cui viviamo oggi la nostra consacrazione. I fatti che si sono accumulati nella storia delle persone e delle comunità provocano, sul piano personale e collettivo, confusione e delusione, e in non pochi uno stato di turbamento e di frustrazione.

Ciò che in tutto questo è triste è di esserne interiormente contagiati, è un segno del fallimento nella vita spirituale di molti consacrati. C’è un raffreddamento dei rapporti con Dio, una tiepidezza del cuore e una mancanza di radicalità nel desiderio di incontrarsi intimamente con lui. Con maggior tristezza ancora si costatano stati critici estremi che si manifestano nella perdita della fede, speranza e carità.

Le ragioni che hanno portato a queste situazioni limite sono venute da varie direzioni, sia dall’interno che dall’esterno delle nostre comunità. Non è questo il momento di enumerarle, ma quello che qui ci preme è di far vedere le conseguenze e i risultati che oggi possiamo costatare. Non preghiamo più, non incontriamo più a tu per tu il Signore, abbiamo abbandonato il ritmo e la dinamica propri dell’incontro con il Cristo.

Cosa sta avvenendo? Sembra che abbiamo perduto il fervore della nostra vocazione, che abbiamo perso la bussola e smarrito il cammino: abbiamo smesso di incontraci con Dio, è venuta meno la nostra ricerca e la nostra sete di lui. Siamo davvero i religiosi e le religiose che il Signore vuole da noi nel qui e oggi della nostra storia? Qual è la nostra testimonianza e quale il contributo che diamo alla Chiesa e al mondo d’oggi, a partire dal nostro carisma e dalla nostra vocazione? Siamo le persone che dobbiamo essere, facciamo quello che dobbiamo fare?

È necessario che guardiamo più in profondità allo stile di vita che conduciamo e al nostro modo di procedere per poter, da qui, dalla fedeltà alla nostra consacrazione rispondere creativamente al nostro modo di pregare e di essere in relazione con il Signore. Bisogna che guardiamo alla nostra spiritualità e interiorità; occorre uno sforzo per recuperare il desiderio di santità, sapendo che questa non può essere accolta e coltivata se non nel silenzio e nell’adorazione.

 

UNA SPIRITUALITÀ

DI INTIMITÀ

 

Dobbiamo recuperare tempi e spazi per incontrarci a tu per tu con il nostro Dio. Sta qui la vera forza del mistico e del profeta, quella che viene dal Signore. Abbiamo bisogno di momenti di deserto, di ritiro sulla montagna, per raccoglierc e appartarci nella ricerca dell’incontro personale, intimo e amoroso con il Signore.

Incontrarci a tu per tu con il nostro Dio non comporta chiusura, isolamento o un ripiegarsi capriccioso su un piacere personale ed egoista di autosoddisfazione trascendentale. Non si tratta di una spiritualità intimistica che ci isola dagli altri e dall’altro. Si tratta piuttosto di vedere lui faccia a faccia, di sentirmi da lui sedotto, amato e inviato. Sapere che non c’è intermediario alcuno tra lui e me, né parole, né rumori, né canti, né preghiere, ecc. Si tratta di sentirmi nudo davanti a lui con quello che sono e che ho.

Ecco quindi la necessità del silenzio; dobbiamo scegliere il silenzio. Imparare a scoprire Dio a tu per tu nell’intimità del cuore ci insegnerà a fare silenzio. Bisogna imparare a fare silenzio, poiché senza di esso, non potrò sentire la sua voce. Sono talmente grandi il rumore e le chiacchiere da cui siamo sommersi che è impossibile ascoltarci e meno ancora ascoltare Dio. È impossibile sentire la voce di Dio se non facciamo silenzio nel nostro intimo, nel nostro ambiente, nella nostra vita. Il silenzio interiore del cuore, frutto di quello esteriore, ci porta ad ascoltare la voce di Dio che diventa luce, sonorità e sua presenza.

La fedeltà alla preghiera ci conduce a stabilire una relazione profonda e intima col Signore. Nel nostro incontro con Dio non escludiamo il mondo, ma lo contempliamo a partire dal suo sguardo trasformamte. Quando chiudiamo la porta per andare a pregare, il mondo con le sue preoccupazioni e inquietudini si rende presente, non rimane escluso dai nostri cuori, ma viene recuperato a partire da Dio. Così mentre approfondiamo la nostra amicizia con Dio, questa intimità mi porta a impegnarmi di più con il fratello e la sorella. Maggiore è la conoscenza che si acquisisce di Dio, più grande è l’amore che esso suscita in me e più grande la mia sequela.

Non c’è mistico o profeta che non si sia incontrato faccia a faccia con Dio, che non gli abbia dedicato lunghe giornate di incontro intimo e personale. La vita e vocazione di queste persone sarebbero incomprensibili senza questi momenti di incontro e questi luoghi che li hanno condotti a rispondere così come hanno fatto. La fedeltà non si improvvisa, si costruisce attraverso momenti di intimità, di profondità, di intimità amorosa, di nudità del cuore, di silenzio e ascesi, tutte cose che portano ad aprire e a dilatare il cuore affinché in esso vengano ad abitare il Signore, i fratelli e le sorelle.

 

UNA SPIRITUALITÀ

DI TRASPARENZA

 

La trasparenza del cuore si plasma nel rapporto con Dio. Essa fa parte della nostra risposta vocazionale. La trasparenza è qualcosa di più della sincerità, nel senso che indica tutto un atteggiamento interiore molto più stabile, fatto di retta intenzione, di purezza di desiderio, di sana semplicità. Si tratta di un cuore che ha superato gli affetti disordinati che sono quelli che sempre ci nascondono il doppio fondo del cuore.

La trasparenza indica la purezza del cuore e si ottiene con la preghiera. Le strade per diventare trasparenti sono i tempi forti di incontro con Dio, gli esercizi dello spirito, la pedagogia della formazione spirituale. Coltivare una profonda familiarità con Dio, a partire dall’amicizia con Cristo nella contemplazione dei suoi misteri e nel desiderio di viverli per mezzo dei sacramenti, è il processo per giungere a una spiritualità della trasparenza. Noi cresciamo in essa nella misura in cui cresciamo nella familiarità con Dio; maggiore è la nostra fiducia in lui, più grande è la nostra trasparenza davanti a lui e nelle nostre relazioni umane.

Grazie alla trasparenza si edifica una solida vocazione. La limpidezza e la semplicità con cui camminiamo costruisce l’integrazione di noi stessi e di noi con gli altri e con Dio. Solo a partire da una piena trasparenza si possono mettere dei solidi fondamenti a una vocazione. Pertanto tutto ciò che impedisce la nostra vocazione non sarà solo oggetto esclusivo della mia responsabilità ma anche dell’interesse comune; sono responsabile della vocazione del mio fratello e della mia sorella. Ne deriva così l’accettazione gioiosa della correzione fraterna, della reciproca ammonizione tra fratelli e di quella del superiore o della superiora.

La trasparenza spirituale ci porta a crescere nella fiducia sincera e nella umiltà semplice, necessarie per sentire il bisogno di Dio. È proprio dello spirito cattivo resistere alla trasparenza; esso desidera rimanere occulto, stare nascosto, non essere scoperto. Il tratto aperto e fiducioso verso Dio, di disponibilità e obbedienza alla sua volontà, e verso coloro che ci sono compagni, custodisce in noi la bontà del cuore e la vera libertà.

La trasparenza spirituale ci porta a essere parola eloquente per gli altri; tutto quello che siamo e abbiano diventa linguaggio della nostra semplicità religiosa. La trasparenza rivela un senso gioioso e piacevole di appartenenza, un ambiente di armonia capace di favorire rapporti semplici, fluidi e aperti e questo ci fa crescere nella fiducia reciproca. Una spiritualità della trasparenza crea all’interno della nostra comunità il vincolo dell’obbedienza, quale migliore dinamica per l’unione.

Ecco la realtà nuda dei mistici e dei profeti: uomini e donne di trasparenza che hanno lasciato trapelare ciò che erano davanti a Dio e all’umanità. Uomini e donne che hanno manifestato con la loro vita e le loro parole ciò che portavano dentro, la loro verità. Erano trasparenza di Dio nel senso che hanno fatto trasparire con un’esistenza coerente l’azione di Dio, hanno testimoniato la coerenza tra quello che appariva e il loro intimo così che in essi si manifestava la profondità della loro persona e l’azione di Dio.

 

UNA SPIRITUALITÀ

DI CONVERSIONE

 

Il rapporto con Dio ci smuove, ci induce a uscire, ci mette in cammino. Forse la resistenza che opponiamo all’incontro con Dio dipende dal nostro desiderio di rimanere dove siamo. In un modo o nell’altro, incontrarsi con Dio ci scomoda, la sua venuta provoca malessere e insoddisfazione. Se veramente mi incontro con Dio, non tornerò più a essere lo stesso. Qui ha inizio tutto il cammino di conversione.

L’incontro con Dio ci conduce alla conversione del cuore, ci porta a sentirci veramente amati. Il suo amore appassionato, gratuito, sovrabbondante ci abbraccia e ci infiamma in ogni momento; siamo oggetto del suo amore creatore e l’incontro cui lui lo manifesta. A partire di qui viene rivelato il nostro amore, un amore piccolo, meschino, interessato, stantio. Scopriamo che mediante il suo amore, come torrente di luce che tutto inonda, la vita resta scoperta nelle sue ombre e oscurità. Giungiamo a costatare, a vedere e ad avvertire la nostra nudità e impotenza; prendiamo coscienza del peccato, della nostra risposta mediocre, di una sequela a metà.

L’incontro con Dio ci porta alla conversione del cuore. Incontrarci con colui che ci smaschera, ci fa scoprire nel nostro intimo l’azione del cattivo spirito, ci rende coscienti del nostro disordine interiore ed esteriore. Il primo passo per liberarci è la conoscenza del peccato e a questo ci conduce l’incontro con Dio. Prendere coscienza della nostra autosufficienza, accettare la consapevolezza di essere peccatori, scoprire il peccato che abita in noi, l’incoerenza, l’omissione, il processo del male. E quindi le loro cause e le conseguenze.

Il dinamismo della conversione ci porta a riempirci di ammirazione per l’amore misericordioso di Dio. È il suo amore che ci trasforma. Più grande è la nostra esperienza del suo amore, maggiore è la nostra capacità di conversione. Di qui il valore della preghiera: più ci incontriamo con lui, più ci lasciamo amare da lui più grande sarà il nostro rimanere e agire con lui. Ecco il miracolo del cambiamento, la meraviglia della conversione; non si tratta di sforzi sovrumani, di impegni forzati o di propositi volontaristici, ma solo di lasciarci amare da Dio.

Molti grandi mistici e profeti al loro inizio hanno sentito la presenza di Dio. Sapevano che l’incontro con lui avrebbe cambiato la loro vita. La trasformazione vissuta li porterà poi ad accettare la missione che sarà loro assegnata, a cercare costantemente la sua volontà e a non cessare di compiere, anche in momenti difficili, ciò che era stato loro comandato. Incontrarsi veramente con Dio ci impegna con noi stessi, con gli altri e soprattutto con lui.

 

UNA SPIRITUALITÀ

LIBERATRICE

 

Il rapporto con Dio che ci porta alla conversione personale si traduce in un cambiamento istituzionale e in un impegno di tutti e di tutte. Vale a dire, ci impegna in maniera tale che non solo la mia vita ma anche il mio ambiente, coloro che mi stanno attorno, il mondo che mi circonda vengono investiti dell’azione di Dio.

L’incontro con il Signore ci rende liberi, liberi per amare, liberi per Dio. Liberi dal mondo, liberi dai miei legami e schiavitù. Il rapporto con il Signore, a partire dall’intimità della preghiera, mi libera dal di dentro; è una libertà che è riconoscimento di Gesù Cristo uomo libero, e che, grazie a lui e al suo agir; in me, mi rende libero (Gal 5,1). L’azione dell’amore misericordioso di Dio mi libera, e il risultato di chi si incontra veramente col Signore è che egli non potrà rimanere uguale, ha conquistato la sua libertà.

Questa esperienza dell’amore misericordioso di Dio che mi libera significa esigenza di agire nel rapporto con gli altri alla maniera di Dio. Dio si è chinato nella persona del Figlio verso il debole, il povero, il malato, il peccatore. Questa è stata l’azione di Dio, il suo modo di salvarci, liberandoci da ciò che ci lega e non permette di incontrarlo. L’esperienza del suo amore ci porta ad agire alla stessa maniera. Si tratta di rispondere in maniera vitale alla domanda: «Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?» (Lc10, 36).

L’incontro con il Signore è esigenza di liberazione. La pratica dell’amore misericordioso verso chi è vittima della realtà ostile e avversa è spazio di libertà; in una realtà in cui l’oppressione e lo sfruttamento sembrano asfissiarci, questo incontro con il Signore è stimolo a promuovere la giustizia. È l’amore di Dio che ci dà forza per lottare contro ogni forma di schiavitù che soffoca le nostre esistenze e la nostra ansia di libertà. Dall’incontro con il Signore la giustizia si impone a noi come compito, cammino e missione da compiere.

Più grande è la relazione con il Signore, maggiore è l’impegno di liberazione che si diffonde nel nostro ambiente.

Chinarsi sui piccoli, sul povero, sul disabile non è un atto distinto dall’espressione dell’amore misericordioso che ci plasma un cuore solidale e induce a scoprire il minore, l’indifeso, il bisognoso per sollevarlo, difenderlo, valorizzarlo e rispondere ai suoi bisogni. La nostra azione di solidarietà a favore degli altri, come la nostra promozione della giustizia, scaturisce dalla risposta esigente all’amore misericordioso di Dio.

Ecco l’azione liberatrice di molti mistici e profeti a favore del loro popolo. La pratica della misericordia nasce dal rapporto amoroso di Dio, dal sentire verso di essi il modo con cui Dio esercita la sua giustizia e la sua misericordia a loro favore. Lavorare per la difesa della vita, della dignità della persona, il recupero dei diritti e far sì che la vita umana sia veramente umana nasce come missione dall’incontro amoroso con Dio. L’impegno a favore del prossimo, in particolare verso chi è caduto, è emarginato, colpito è la risposta al mandato imperativo di sentirsi profondamente amati: “va’ e fa anche tu lo stesso” (Lc, 10,37).

 

UNA SPIRITUALITÀ

SIMBOLICA

 

Il rapporto con il Signore deve esprimersi in maniera eloquente e significativa. La ricerca di Dio e la sua presenza nel cuore del consacrato porta a molteplici forme di spiritualità e tutte queste devono trovare canali per manifestarsi, modi per potersi esprimere ed essere condivise. Ecco il linguaggio della preghiera: il gesto, il detto, il fatto e la parola pieni di significato nei riguardi di Dio.

Le persone di preghiera – uomo e donna di Dio – costruiscono un codice di incontro, un loro vocabolario, un modo e un ambiente che favoriscono il dialogo con lui. Molte volte le parole sono superflue, i sensi non servono, e non sono necessarie le formule. L’incontro con Dio ci introduce nel mondo del simbolico, diventiamo sacramento nella misura in cui ci incontriamo con lui. Tutto ci parla di Dio nella misura in cui facciamo del mondo il luogo dell’incontro con lui. Ecco i segni dei tempi e dei luoghi, il far sì che tutto lo spazio e il tempo ci parlino di Dio.

È così che la preghiera diviene simbolo della presenza di Dio nella vita. Noi diveniamo simboli di Dio diventando preghiera che testimonia con l’essere e l’agire. Simbolo di Dio è tutto ciò che giunge a essere trasparenza di Dio con tutto ciò che si è e ciò che compie. Il simbolo crea attrazione, produce empatia, unisce, riunisce, integra. Così, come Gesù, ogni simbolo di Dio attira verso di lui, invita a essere e ad agire come Dio.

La nostra vita di preghiera e di familiarità con Dio ci rende simboli di Dio in quanto ci sentiamo sempre più attirati verso di lui. Più ci incontriamo con Dio, più sentiamo la sua presenza, più siamo testimoni del suo amore. Simpatizziamo veramente con la sua causa, diventiamo seguaci e imitatori del suo stile di vita, siamo sedotti dal programma del Regno. Al contrario, la mancanza di preghiera, la perdita della spiritualità, il vuoto di Dio ci porta a comportarci in maniera diabolica. La sua parola produce fastidio, ci sentiamo additati, messi in questione e scoperti e ciò produce in noi malessere, fastidio e mancanza di coerenza, e quindi allontanamento, presa di distanza e rifiuto.

I veri mistici e profeti sono stati simboli di Dio, le loro vite sono diventate linguaggio divino che comunicava e lasciava trasparire la volontà di Dio. Simboli della dolcezza di Dio, persone che con la loro vita legano, convocano, uniscono attorno al Signore; simboli portatori di comunione, integrazione e unità. Il loro modo di essere e di agire diventa scomodo per gli altri, essi diventano critica che mette in questione e scompiglia. Simboli, la cui forma di vita e i cui giudizi diventano temerari per gli altri, i quali li accusano di provocare rottura, di favorire disarmonie e divisione.

 

UNA SPIRITUALITÀ

RADICALE

 

La relazione con Dio per mezzo della preghiera ci mette a confronto col significato ultimo della nostra consacrazione: la sequela radicale di Cristo, questo infatti è il fondamento della nostra vita religiosa. È pertanto nella vita quotidiana, nel nostro peregrinare che l’incontro con Dio, la mia vita di preghiera, la mia vicinanza a lui scandiscono la mia sequela.

La radicalità della sequela avviene attraverso lo spogliamento di sé, l’aver lasciato tutto e prendere la propria croce. Solo una vita di incontro personale e intimo con il Signore ci mantiene fedeli alle esigenze di questa radicalità. La fiducia radicale nel Dio di Gesù, su cui poggia il nostro progetto di vita, è il fattore che ci fa riconoscere, con certezza, se stiamo seguendo oppure no il cammino della nostra consacrazione.

La radicalità della donazione sta nella qualità della nostra oblazione. Se ci doniamo alla maniera di Gesù, se le nostre vite sono per gli altri, se il nostro modo di vivere è quello di Cristo. Devo chiedermi: «Mi sto spegnendo in quanto luce posta “sopra il lucerniere perché illumini tutti quelli che sono nella casa?” (Mt 5,5). Sono uno che dà e infonde vita in abbondanza (Gv 10,10). Sono il buon pastore capace di dare la vita per le mie pecore?» (Gv 10,15).

Il radicalismo della croce rivela la verità del nostro cammino vitale di consacrazione, nel senso che ogni discernimento deve passare attraverso il dolore e la sofferenza della croce. Esso mette allo scoperto falsi equilibri, i mezzi che ci rendono più orizzontali che verticali, personalità dal sapore e dal colore insipidi, mediocrità basate su false spiritualità. La radicalità della croce implica il radicalismo dell’amore.

Tutti i nostri impegni in quanto consacrati si fondano in questa esperienza radicale di fede la quale fa sì che tutta la vita religiosa diventi testimonianza di questa radicalità. Recuperare oggi questa spiritualità radicale a partire dalla nostra consacrazione richiede che essa sia fondata in Cristo, significato unico e ultimo del nostro modo di essere e di procedere; egli deve essere la causa della spogliazione di noi stessi, dell’aver lasciato tutto e preso la propria croce e dell’averlo seguito.

Ogni mistico e profeta scopre nel proprio intimo che la sua opzione per Cristo è un’opzione radicale. Gesù diventa l’unico impegno assoluto della sua vita. È la loro fedeltà radicale alla sequela di Cristo che li porta e eliminare il falso equilibrio di servire due padroni (Mt 6,24). La radicalità implica un nascere di nuovo (Gv 3,4), un farsi come bambini (Mt 18,3), un occupare l’ultimo posto (Mc 9,35), essere macinato come il grano. La radicalità fa pulsare il cuore a partire dal significato ultimo della consacrazione e della missione; per questo i profeti e i mistici sono capaci di vivere una fedeltà assoluta a Dio, una rinuncia al potere e alla violenza e la carità fino all’estremo limite.

 

UNA SPIRITUALITÀ

PER I CONFLITTI

 

Il rapporto con il Signore ci porta a verificare e a riconoscere le difficoltà inerenti alla sequela. Solo sulla base di una vita interiore solida, ferma e radicata in Dio si riuscirà a far fronte a quelle situazioni difficili, avverse e perfino contrarie al nostro modo di essere e di procedere che vengono dal di dentro di noi o dal mondo in cui viviamo, a causa di base persone, tempi e luoghi determinati.

I conflitti vengono dal nostro stesso mondo interiore, dalla nostra stessa vita intima. Si tratta dell’azione dello spirito del male che è in noi. È un lasciarci sedurre dai nostri affetti disordinati e cedere alle tentazioni del maligno. La nostra vita spirituale di intimità e di stretta relazione con Dio deve far fronte a quella disarmonia conflittuale che si manifesta nella disarticolazione che può sorgere tra ciò che pensiamo e ciò che vogliamo, tra quello che vogliamo e quello che facciamo. Solo a partire dal nostro incontro con Dio possiamo far fronte alla nostra incoerenza di vita.

I conflitti provengono anche dal mondo. Noi non siamo estranei alla realtà in cui viviamo, siamo il risultato delle nostre famiglie, del tessuto storico dei nostri popoli. La loro vita, situazione e storia ci hanno segnato e toccato. La realtà del mondo va in senso contrario alla nostra opzione di vita per il Vangelo. Essa si presenta in maniera seducente con una logica che attrae, e dispiega davanti a noi tutto il potere e l’ostentazione di cui è capace secondo i tempi e le attrattive della moda di turno.

I conflitti si presentano in ambienti e situazioni socio-culturali contrari alla presenza di Dio. Entriamo in conflitto diretto con l’individualismo, il consumismo, la forza del potere, l’avere e il piacere, la quotidianità della routine come le tensioni, gli ostacoli e le opposizioni che provengono dalla logica del mondo nei confronti dei nostri voti, l’azione apostolica che si compie o la presenza di solidarietà fraterna che viene irradiata. Tutto questo ci fa ritenere controculturali, persone che provocano disordine e favoriscono valori contrari a quelli del mondo.

A partire dalla fedeltà orante dell’incontro con il Signore giungiamo a comprendere il senso e il significato del conflitto; con una vita interiore forte e limpida possiamo far fronte a situazioni che sono contrarie e in contrasto con la nostra vocazione; a partire dall’integrazione e coerenza del nostro modo di essere e di procedere saremo capaci di rispondere alla critica che ci disunisce e divide: a partire dalla contemplazione tradotta in azione, saremo testimoni attraverso l’impegno reale.

La vita dei mistici e dei profeti ha affrontato il conflitto che sorgeva in primo luogo dentro loro stessi, tra la chiamata e l’invio del Signore e la loro incapacità, gli ostacoli e il peccato che li induceva a rifiutarsi ad assumere tale incarico. In secondo luogo dal rapporto tra il loro stile di vita e il mondo in cui si trovarono a vivere. La tentazione di evadere dal conflitto, di nascondersi o di sfuggire ai problemi è sempre stata presente; ma la loro spiritualità li ha portati a incarnare il conflitto, a farvi fronte e a buttarsi nella lotta spirituale (Ef 6,10-20).

 

UNA SPIRITUALITÀ

DI INSERIMENTO

 

Il vero incontro con il Signore avviene solo a partire da un cuore inserito nella realtà. Noi incontriamo il Signore da un mondo che ci interpella e preoccupa. Non possiamo giungere alle altezze della contemplazione divina se non partiamo da un cuore che conosce sufficientemente la fragilità e il lamento umano. Giunge alle profonde altezze della meditazione con Dio colui che si radica sul terreno in cui abita, che radicato nella propria realtà.

Il nostro rapporto con Dio si attua a partire dalle sue creature. Dobbiamo imparare a vederle, ascoltarle, sentirle... Di qui l’importanza di saper guardare e ascoltare con il cuore; solo quando percepiamo dal di dentro siamo in grado di cogliere l’azione del Creatore. Una spiritualità di inserimento è una spiritualità ecologica, una spiritualità capace di sentire la voce di Dio che ci parla per mezzo della madre terra, il bosco, la montagna, l’acqua sorgiva. Tutta la creazione diventa miracolo di Dio.

La nostra relazione con Dio si compie a partire dalla realtà. Dobbiamo imparare a scoprire Dio che ci parla nella storia, negli avvenimenti della nostra vita, nel quotidiano vivere le nostre situazioni. Dio si rende presente nelle circostanze e nei fatti che viviamo. Una spiritualità di inserimento è una spiritualità della realtà, una spiritualità capace di scoprire la voce di Dio che parla per mezzo della scienza, la tecnica, i progressi e gli sviluppi cibernetici, i mezzi di comunicazione. Nessuna realtà rimane esclusa dalla presenza divina.

La nostra relazione con Dio si attua a partire dall’incontro con gli altri. Dio ci parla attraverso la loro vita. Essi sono una manifestazione di Dio. Dobbiamo imparare a scoprire l’azione di Dio dietro ogni volto. Ogni esistenza è una parola di Dio incarnata. Una spiritualità di inserimento è una spiritualità dell’umano, di ciò che è profondamente umano. Ebbene, la predilezione di Dio per i poveri ci porta a chinarci su di essi per ascoltarli, a inserirci in mezzo a loro per poterli scoprire, convivere con essi e conoscere la sua volontà. L’uomo – maschio e femmina – diventa trasparenza di Dio, il povero è suo sacramento.

I mistici e i profeti si sono distinti per una spiritualità di inserimento. I loro sono sguardi che raggiungono le altezze del cielo grazie a occhi fissi sulle realtà terrene; cuori inseriti nella madre natura, contemplativi della danza della creazione; cuori che conoscono sufficientemente il loro mondo, la realtà e l’ambiente; cuori che conoscono i loro contemporanei con speciale predilezione per i poveri. Sono uomini e donne con i piedi per terra, che sono consapevoli di ciò che avviene attorno a sé. Soltanto a partire dalla polvere si giunge a scoprire la verità di Dio, solo dall’immanenza riluce a noi la trascendenza. Di qui la forza mistica e profetica: l’intima e profonda relazione con Dio si ottiene attraverso un profondo e intimo inserimento nella realtà.

 

UNA SPIRITUALITÀ

DI DISCERNIMENTO

 

L’incontro con Dio ci rende uomini e donne di discernimento. La nostra specialità deve essere sempre lo Spirito; dobbiamo conoscere, identificare e definire le iniziative dello Spirito in noi, nel mondo e nella storia. Il discernimento, pertanto, dovrebbe essere connaturale a ogni persona di preghiera che coltiva una relazione delicata e fine con Dio.

Il discernimento suppone un addentrarsi nel mistero di Dio: che cosa vuole il Signore da me nel qui e ora della mia vita? Non c’è nulla di più estraneo al discernimento che le sicurezze di giudizio o di opzione. Non sarà in grado di discernere chi ha già preso posizione, chi non prega o non è libero. Bisogna lasciarsi guidare da Dio; le sue vie non sono le nostre, di qui l’importanza di lasciarci condurre dallo Spirito.

Non può esserci discernimento senza preghiera e libertà. Ogni discernimento finalizzato a prendere una buona decisione deve essere accompagnato dalla preghiera ed essere vissuto nella libertà. Devo incontrarmi con il Signore, devo mettere davanti a lui le mie intenzioni e i miei propositi, i miei interessi e giudizi in riferimento a quanto ho tra mano. Inoltre devo essere molto sincero con me stesso e con gli altri per quanto riguarda lo scopo e l’oggetto della mia decisione. È importante aver raggiunto la libertà desiderata per ciò che mi propongo di decidere. Si dice che non saremo mai sufficientemente liberi ma non dobbiamo stancarci di esserlo e di riuscirvi di fronte ai crocevia della vita.

Non impareremo a fare discernimento se non realizzandolo. L’arte di discernere si impara attraverso l’accompagnamento spirituale, lo studio, la pratica, l’interrogare, sbagliando e tornando a farlo, facendo esperienza. Discernere non è vedere con chiarezza ciò che devo fare o lasciar fare. Discernere vuol dire essere docili nel lasciarci guidare da Dio, altrimenti non lo udremo né lo ascolteremo. Discernere è osare nel senso che suppone il concorso di Dio. Si tratta di abbandonarci fiduciosamente nelle sue mani; bisogna avere il coraggio di lasciarci condurre dallo Spirito.

Solo chi è fedele a Dio ha compiuto progressi su questa via, dal momento che il discernimento spirituale ha lo scopo di farci prendere coscienza di tutti i movimenti interiori andando alla loro origine e di cercare di mettere ordine. Il discernimento spirituale ci porta a cercare, cogliere, scoprire e distinguere quale spirito opera in noi in un determinato momento della nostra vita, per poter agire in maniera conforme alla volontà di Dio. È un processo di ricerca e allo stesso tempo è un carisma; in quanto dono dobbiamo chiederlo e come compito non dobbiamo cessare di attuarlo; è per il bene nostro e degli altri.

Può sembrare facile prendere una decisione corretta se ci domandiamo: che vuole Dio da me nel qui e adesso della mia vita? In realtà, conosco molti religiosi e religiose che hanno trascorso la vita cercando, senza riuscirvi, la volontà di Dio; altri che cercavano di convincere Dio ad accettare la propria volontà, e che invece di andare a Dio volevano trarlo ai loro interessi; e un gruppo di persone, piuttosto numeroso, che, pur avendo cercato e trovato la volontà di Dio, resistono nell’attuarla.

I mistici e i profeti sono stati anzitutto persone di discernimento. La profondità di intimità con il Signore li ha condotti a saper riconoscere le sue mozioni, la strada sulla quale li conduceva lo Spirito. Il clima di discernimento ispirato dalla gioia e dalla pace insita nella presenza di Dio che conferma la decisione, dà la soddisfazione di trovarsi sulla via giusta, sulla strada buona, forse in alcune occasioni non conforme ai miei gusti o inclinazioni, ma quella desiderata da Dio. Attorno alla scelta si crea tutto un clima, un ambiente che ci fa esperimentare la gioia spirituale, per i frutti che ne derivano, che è quella di aver scelto la strada desiderata da Dio.

Una spiritualità mistica e profetica è quella che nasce da un rapporto intimo con il Signore, dove il cuore diventa trasparente così da essere lavorato da lui. È opera di conversione realizzata dall’amore misericordioso di Dio che ci conduce a donarci in maniera radicale per lui e i fratelli e ci rende capaci di far fronte a ogni genere di conflitti, di superare ogni ostacolo, ed è simbolo liberatore di uno sguardo di speranza per un domani da realizzare a partire dal presente che viviamo.

 

1 Il seguente testo intitolato Una espiritualidad mística y profética, a firma di p. Victor Martínez Morales, sj, è ripreso in una nostra traduzione dalla rivista CLAR, ottobre-dicembre 2004, pp 26-38.