UNA SCELTA CONTROVERSA

LA LUNGA MARCIA DELLA TURCHIA

 

La prospettiva di aprire i negoziati per l’entrata della Turchia nell’Unione Europea ha suscitato paure e speranze. È  bene riflettere sulle ragioni di chi è favorevole e di chi vede in tale ipotesi una minaccia.

 

Il 17 dicembre 2004 a Bruxelles il Consiglio d’Europa ha deciso di avviare i negoziati diretti tra Unione Europea e Turchia per l’ammissione di questa all’Unione stessa. Cominceranno il 3 ottobre 2005 e un’eventuale entrata non sarà prima del 2015! Come si vede, i tempi sono lunghi, ma è chiaro che se si avviano i negoziati, non sarà tanto facile chiuderli o sospenderli.

La Turchia, che ha più di 70 milioni di abitanti e un grande potenziale economico per ora poco sfruttato, certamente guadagnerebbe molto dall’entrata nell’Unione Europea. Questo spiega l’impegno profuso dal premier turco Erdogan e dal suo governo per convincere i 25 paesi dell’Unione ad accettare la loro richiesta, e spiega la festa che la decisione ha suscitato nelle piazze della Turchia a votazione avvenuta.

In Europa, come si sa, non tutti sono d’accordo. C’è chi ha affermato che questa decisione, pur sofferta e in rischio fino alla fine, è stata una decisione “storica”. Altri invece l’hanno sentita come una minaccia al patrimonio culturale ed economico e si sono cautelati dicendo che “trattare non significa necessariamente arrivare alla conclusione positiva…”. Infine altri hanno apertamente dichiarato di essere contrari annunziando che sottoporranno questa eventualità a un referendum popolare: così il cancelliere austriaco Schüssel e, in Italia, i rappresentanti della Lega Nord.

Le paure si mescolano alle speranze e non mancano certamente le ragioni per nutrire le prime come le seconde. In effetti pochi giorni dopo la decisione del Consiglio d’Europa, un’inchiesta dell’Eurispes mostra che gli italiani favorevoli all’entrata della Turchia in Europa sono il 34,2%, il 28% contrari, mentre il 37 % dei nostri concittadini rimane indifferente. Mi pare sia un dettaglio che non può non fare riflettere: per molti, al di là delle polemiche, questo sembra essere un problema lontano che non li riguarda. Ma è proprio così?

 

LE RAGIONI

DI CHI È A FAVORE

 

Le inchieste, si sa, vanno prese con le pinze, anche perché spesso il giorno dopo vengono ribaltate da altre di segno contrario. Ma gli umori che dominano in Europa in questo momento vanno analizzati più pro­fondamente anche da noi credenti per non rimanere intrappolati nel “così si dice”, vittime dell’opinione pub­blica che spesso segue la sensibilità del momento, l’opportunità contingente e le voci che gridano più forte senza fare autonomamente una riflessione a partire dai propri principi di fede.

Da un punto di vista politico l’integrazione della Turchia nell’Europa dovrebbe essere salutata con soddisfazione. Essa segna un allargamento abbastanza logico dei confini dell’Unione con una regione che fin dall’antichità ha sempre gravato nell’ambito greco-mediterraneo. Si tratta inoltre di un allargamento che mostra, in questo momento, che non è ineluttabile quello “scontro di civiltà” di cui pretestuosamente si parla per giustificare le ultime guerre. Essere islamico non è un ostacolo alla convivenza e alla collaborazione con l’occidente a condizione che si rispettino i principi sui diritti umani! Anzi questa può essere una opportunità per far evolvere verso una nuova democrazia anche altre società che si trovano nella stessa condizione della Turchia.

L’integrazione della Turchia nell’Unione Europea apre nuovi mercati che permettono di sfruttare le potenzialità economiche e commerciali dell’Europa in Turchia e quelle ancora non sfruttate di quest’ultima, che è certamente un gigante demografico (più di 70 milioni di abitanti), ma ancora povero e al di sotto degli standard europei. Ma gli osservatori più attenti vedono che oltre il vantaggio economico il processo di integrazione della Turchia viene a consolidare la stabilità e la sicurezza di una regione eurasiatica che funziona da cuscinetto tra il vecchio continente e l’Asia, soprattutto per il Medio oriente. Una Turchia stabile e democratica è una garanzia per la pace in una regione che per le sue caratteristiche è troppo soggetta all’instabilità e alla turbolenza sociale e politica. L’entrata della Turchia in Europa potrebbe essere l’occasione per sanare alcune situazioni conflittuali locali, che sono sempre delle pericolose mine pronte a scoppiare, come il problema di Cipro, del Kurdistan, e anche per completare il progressivo e non ancora compiuto processo di democratizzazione interna del paese.

 

LE RAGIONI

DI CHI NON È D’ACCORDO

 

Le ragioni che determinano la paura del 28 % che non è d’accordo sono anch’esse ragioni di tipo economico e sociale, cui si aggiungono anche ragioni di tipo culturale e religioso. La ricerca dell’Eurispes evidenzia anche il fatto che a essere contrari sono soprattutto i più giovani, la fascia dai 18 ai 24 anni. Si sa che le inchieste vanno prese con molta cautela, perché spesso esse sono orientate, più o meno coscientemente, ma possono dare delle indicazioni. Ora coloro che non sono d’accordo con questo processo d’integrazione temono che l’entrata della Turchia porterebbe ai 25 paesi dell’Unione un ulteriore aggravio economico, dopo quello che stanno pagando per la recente entrata dei paesi del Patto di Varsavia. La Turchia è un paese ancora poco sviluppato, che prevede una crescita economica per il 2004 del 7,9%, con un’inflazione al 25,3% e un tasso di disoccupazione al 10,5% (dati del 2003).

Ma più ancora temono che l’apertura delle frontiere con la Turchia sarebbe una porta aperta per un’altra invasione di immigranti turchi, islamici quindi, che verrebbero a consolidare il contingente islamico, già troppo numeroso, presente sul territorio europeo. Sarebbe una forza lavoro che metterebbe in crisi l’occupazione degli europei… Questa è una paura ricorrente che era già stata ventilata al momento dell’entrata della Spagna in Europa e anche in seguito, ma che non si è poi verificata. Un altro timore che viene spesso sbandierato è che l’entrata dei turchi sarebbe un fattore di squilibrio e inquinamento della cultura occidentale dell’Europa. Anche questa ragione non sembra essere del tutto fondata in una Europa che non ha voluto riconoscere le sue radici cristiane e che ora teme di vedere compromessa questa cultura.

Non si può negare che queste paure siano diffuse e che esprimano, in qualche misura, una parte di verità, ma esse sono, a nostro avviso, esagerate e, peggio ancora, nascondono una forma di egoismo collettivo che non va d’accordo proprio con quella solidarietà che è iscritta nelle radici cristiane che si vorrebbero vedere menzionate nella Costituzione. Non sono tuttavia inutili, perché possono essere occasione e ragione per meglio chiarire l’identità culturale dell’Europa. Ciò che non si è voluto fare finora, lo si dovrà fare in questo prossimo futuro, anche se non ci si può sottrarre all’impressione di ipocrisia: coloro che vogliono inserire nella Carta costituzionale il richiamo alle radici cristiane non praticano poi quella solidarietà–carità che Cristo insegna verso i forestieri e i pellegrini. E, d’altra parte, coloro che non hanno voluto mettere quelle radici, oggi fanno appello alla cultura europea per chiudere le porte dell’Europa. Ma quale è la cultura europea che non si vuol salvare?

Le paure di oggi (“mamma li turchi…”) sono espressione di una paura sedimentata in noi dalla lunga storia del conflitto che viene dal tempo delle crociate, passando per Lepanto e Vienna. Ma perché non ricordare anche i molti contatti culturali ed economici avuti dalle repubbliche marinare di Genova e Venezia con la Turchia, con Istanbul in particolare? La Turchia ha voltato pagina ed è uscita dalla storia dell’impero ottomano, ha imboccato una strada di democrazia e di laicità che, come ovunque, non è ancora perfetta, ma che indica l’orientamento per il futuro. Perché non farle credito?

 

LA QUESTIONE

RELIGIOSA

 

Un aspetto delicato di questa integrazione in questo momento è quello religioso. Chi conosce anche poco la realtà sociale e religiosa della Turchia non può negare che il vero problema della Turchia è quello dei diritti della persona umana e in particolare della libertà religiosa, che il regime “laico” di Ankara garantisce sulla carta, ma che di fatto non è ancora tradotto in pratica quotidiana.

L’affermazione della laicità dello stato turco, dopo la riforma di Mustafà Ataturk Kemal del 1923, è un dato di fatto, ma non ha risolto ancora tutti i problemi. Sia il Patriarcato di Costantinopoli che la Chiesa cattolica, che in Turchia sono stati ridotti a delle piccole minoranze (i cattolici “censiti” sono 30.000, lo 0,6%), non sono soddisfatte dell’attuale situazione religiosa. Basta fare un breve viaggio in Turchia per sentire dai cristiani di là la discriminazione cui sono sottoposti, in modo non ufficialmente dichiarato, ma pratico e quotidiano. La Direzione degli affari religiosi è una presenza asfissiante che toglie alle comunità religiose non islamiche la possibilità di vivere e di rendersi presenti in mezzo alla società in modo libero. La conclamata “libertà di culto” non comporta ancora un’autentica libertà religiosa, dove non c’è di fatto la libertà di convertirsi a una religione di propria scelta.

Ma non sarà forse proprio l’entrata in Europa l’occasione provvidenziale per far fare alla libertà religiosa quei passi che la renda reale ed effettiva e non solo scritta sulla carta? La libertà religiosa va assieme ai diritti della persona umana e ne è, come ama dire Giovanni Paolo II, quasi la sintesi e la garanzia. In questi ultimi tempi, in cui la Turchia cercava di prepararsi alla possibile entrata in Europa, abbiamo assistito a una serie di passi in avanti fatta nel campo della democrazia e dei diritti umani in questi ultimi tempi, fra essi l’abolizione della pena di morte e della tortura, il rispetto dei diritti della donna, delle minoranze (curde) e, più recentemente, il riconoscimento di Cipro. Certamente la Turchia deve fare ancora dei passi in questo campo, ma non li farà mai nell’isolamento nel quale oggi si trova, se non sarà costretta dagli altri stati europei che non le permetterebbero più patenti violazioni di questi diritti che sono scritti nella carta costituzionale europea.

 

UN’INTEGRAZIONE

POSITIVA PER TUTTI

 

Siamo quindi convinti che l’entrata della Turchia in Europa farà bene alla Turchia e all’Europa. Porterà la prima a camminare più rapidamente verso la democratizzazione piena nel rispetto dei diritti umani, soprattutto del diritto a praticare la propria religione e aiuterà l’Europa a sentirsi più sicura alle sue frontiere asiatiche, ma anche a definirsi più chiaramente nelle sue radici culturali e religiose. La paura che il fondamentalismo islamico prenda il sopravvento in Turchia (non si dimentichi che l’attuale premier Recep Tayyip Erdogan è il leader del partito islamico Giustizia e Sviluppo, AKP) sembra molto remota e sarà, comunque, arginata dall’appartenenza alla Unione Europea.

Sembra piuttosto che la logica evoluzione della situazione vada nella linea di una più chiara laicità dello stato, di una maggiore tolleranza e di una pacifica coesistenza con i paesi dell’Europa che non solo islamici né cristiani, ma genuinamente laici, e questo potrebbe avere delle ripercussioni positive anche in altre zone dove il conflitto interculturale e interreligioso è ancora una tentazione. Insomma a noi pare che questa decisione possa essere un passo avanti nella giusta direzione, un passo che, certamente, va tenuto sotto controllo, che non deve essere lasciato all’improvvisazione o al caso, ma che può avere dei benefici effetti sulla situazione generale dell’Europa e, prima ancora, sulla promozione di una positiva laicità (non del laicismo!) del mondo islamico. Questo porterebbe i paesi islamici fuori dalle secche del radicalismo fondamentalista che attualmente caratterizza alcuni di essi, e che potrebbe tentare tanti altri in questo momento di prevalente successo della globalizzazione.

 

Gabriele Ferrari s.x.