2005 ANNO DEL XXIV CONGRESSO EUCARISTICO
UNA DOMENICA PER LA VITA
Il documento
preparatorio del Congresso eucaristico del 2005 ribadisce che le comunità
potranno essere autentiche se riscopriranno la centralità della Pasqua
settimanale per la vita del mondo, offrendo occasioni per liberarci da due
schiavitù: l’assolutizzazione del lavoro-profitto e la riduzione della festa a
consumo-divertimento.
La nostra chiesa italiana celebrerà quest’anno, a Bari,
nei giorni 21-29 maggio il suo XXIV Congresso eucaristico. In preparazione è
stato predisposto il sussidio Senza la domenica non possiamo vivere (Linee
teologico-pastorali per una catechesi mistagogica della domenica)1 che ne
definisce anche il tema.
L’argomento si pone all’interno del cammino previsto per
questo decennio dagli orientamenti pastorali e ne diventa una tappa
fondamentale: mentre da una parte riprende e rilancia la riflessione sulla
parrocchia, dall’altra prepara al Convegno ecclesiale del 2006 a Verona. Il
messaggio di fondo ci sembra essere che le parrocchie potranno essere
autentiche comunità di servi del Signore solo se riscopriranno e custodiranno,
qui e ora, la centralità della domenica, o meglio del dominicum, per la vita
del mondo.
Il titolo Senza domenica non possiamo vivere non va preso
come slogan a effetto (col rischio dell’ambiguità: senza la domenica sembra che
non possano proprio vivere commercianti e tifosi del calcio!) né come
esclamazione di chi, dopo una settimana di lavoro, può finalmente riposarsi. Si
tratta in realtà di una frase chiave della testimonianza di fedeltà offerta dai
49 martiri di Abitene (Tunisia) che nel 304 hanno preferito, contravvenendo ai
divieti dell’imperatore Diocleziano, andare incontro alla morte, piuttosto che rinunciare
a celebrare il dominicum, che per loro era esattamente l’eucaristia domenicale.
Erano infatti consapevoli che la loro identità e la loro stessa vita cristiana
si basava sul ritrovarsi in assemblea per celebrare l’Eucaristia nel giorno
memoriale della risurrezione.
FESTA
PER L’UOMO
Dobbiamo perciò chiederci quali siano i tratti
caratteristici che fanno oggi dell’Eucaristia domenicale l’elemento
qualificante dell’identità e della vita dei cristiani. Il documento citato
definisce la domenica come il giorno del Risorto, della Chiesa e
dell’eucaristia (cap. 1); celebrando l’eucaristia domenicale, la comunità
cristiana è affascinata dalla bellezza del volto di Cristo (cap. 2), afferrata
della forza del suo amore (cap. 3), sostenuta nel cammino verso la domenica
senza tramonto (cap. 4). Dunque si tratta di una realtà connotata dalle
categorie della bellezza, dell’amore, della festa e del riposo.
L’aspetto più difficile da vivere nella condizione
post-moderna riguardano la festa (pp. 73 e ss.). La domenica è vissuta
socialmente come “tempo libero” e tende ad assumere tratti di dispersione e di
evasione. L’esperienza del weekend è quella di un tempo concitato che soffoca
lo spazio. Il fine settimana è vissuto come un intervallo tra due fatiche,
l’interruzione dell’attività lavorativa e un diversivo alla professione:
privilegia divertimento e fuga dalle città, si trasforma in tempo di
frammentazione. La stessa famiglia (soprattutto se ha figli piccoli o
adolescenti) fatica a trovare un momento di serenità e di dialogo. La domenica
è infatti vissuta più come un tempo individuale che come uno spazio personale e
sociale. In una società fondata sul lavoro e sulla produzione, il tempo della
festa sembra improduttivo e viene letto in funzione del riposo e quindi ancora
del lavoro. Difatti si parla di “riposo festivo”.
Ebbene, l’eclissi della festa non viene superata
aumentando pause, vacanze e tempo libero. La voglia di tempo libero rivela,
dunque che il ricupero della festa è una questione di senso e di coscienza per
l’uomo. Il giorno del Signore oggi deve diventare anche un giorno dell’uomo!
Pertanto la prima cosa da evitare è pensare al tempo festivo come uno spazio
sacro, separato e alternativo al tempo feriale o allo spazio produttivo. La
festa è il “contrappunto della nostra vita”, è la coscienza cioè che la vita
non è solo prodotto delle nostre mani, ma contiene un segreto e richiede il
tempo della grazia e della gioia, dell’incontro e del libero dono. Per questo
nella festa s’incontra Dio e il prossimo. Il ricupero cristiano della domenica
passa insomma attraverso la ripresa dell’esperienza della festa come momento
essenziale della coscienza dell’uomo (non mera occasione di nuovo consumo!).
L’EUCARISTIA
PER IL MONDO
Per aiutare quest’opera di nuova coscientizzazione, la
domenica va presentata innanzitutto come “Pasqua settimanale”. Non ne
comprenderemmo il valore se non facessimo innanzitutto riferimento a Cristo e
alla sua morte e risurrezione. La domenica, infatti, ci riporta a quel «primo
giorno dopo il sabato», quando Cristo, risorto dai morti, è apparso ai suoi
discepoli. Non è stata la Chiesa a scegliere questo giorno, ma il Risorto. Essa
non può manipolarlo o modificarlo, può solo accoglierlo con gratitudine,
facendone il segno della sua fedeltà al Signore con un ben chiaro stile di
vita.
La Chiesa, ogni domenica, è ricondotta dunque
all’essenzialità della sua vita e della sua missione: lo sguardo è rivolto al
centro della fede, cioè all’evento di Gesù Cristo, il Salvatore di tutti, e
abbraccia l’intera esistenza cristiana. Dalla liturgia alla carità, dalla
catechesi alla testimonianza della vita, tutto nella Chiesa deve rendere
riconoscibile il volto del più bello dei figli dell’uomo. Perciò la Chiesa
nella celebrazione domenicale esprime la sua gratitudine con la preghiera
liturgica: «Mirabile è l’opera da lui compiuta nel mistero pasquale; egli ci ha
fatti passare dalla schiavitù del peccato e della morte alla gloria di
proclamarci stirpe eletta, regale sacerdozio, gente santa, popolo di sua
conquista per annunziare al mondo la tua potenza, o Padre, che dalle tenebre ci
hai chiamato alla splendore della tua luce».
In secondo luogo, la domenica è giorno della “Chiesa
eucaristica”. Nel suo giorno il Risorto si rende presente nella celebrazione
eucaristica e si dona a noi nella Parola, nel Pane e nel dinamismo del suo
amore, permettendoci di vivere la sua stessa vita. L’eucaristia domenicale ci
dice la consapevolezza che la Chiesa non si “autogenera”, ma è “dono” che viene
dall’alto, per presentarsi al mondo quale «segno e strumento dell’intima unione
con Dio e dell’unità di tutto il genere umano». Per questo il giorno del
Signore ricorda a ogni cristiano che non è possibile vivere
individualisticamente la fede. La partecipazione all’eucaristia domenicale allora
più che un obbligo dovrebbe essere un bisogno. Si tratta di offrire occasioni
di esperienza comunitaria e di espressione di festa, per liberare l’uomo da una
duplice schiavitù: l’assolutizzazione del lavoro e del profitto e la riduzione
della festa a puro divertimento. La parrocchia, che condivide la vita
quotidiana della gente, deve immettervi il senso vero della festa che apre alla
trascendenza. Un aiuto particolare va dato alle famiglie, affinché il giorno
della festa possa rinsaldarne l’unità, mediante relazioni più intense tra i
suoi membri; la domenica infatti è anche giorno della famiglia.
Infine, la celebrazione eucaristica domenicale va
riscoperta come “sorgente della missione” (pp. 57 e ss.). «La partecipazione al
corpo e al sangue di Cristo – afferma san Leone Magno – non è ordinata ad altro
che a trasformarci in ciò che assumiamo. E colui nel quale siamo morti, sepolti
e risuscitati, è lui che diffondiamo, mediante ogni cosa, nello spirito e nella
corporeità». Per questo, la celebrazione eucaristica domenicale non può
esaurirsi dentro le nostre chiese, ma esige di trasformarsi in servizio di
solidarietà e di liberazione: «O Padre, che nella Pasqua domenicale ci chiami a
condividere il pane vivo disceso dal cielo, aiutaci a spezzare nella carità di
Cristo anche il pane terreno». Così è descritto da Giustino, in modo incisivo e
coinvolgente, il dinamismo che dalla celebrazione eucaristica si diffondeva
nelle case: «Si fa quindi la spartizione e la distribuzione a ciascuno degli
alimenti consacrati, e attraverso i diaconi se ne manda agli assenti. I
facoltosi, e quelli che lo desiderano, danno liberamente ciascuno quello che
vuole, e ciò che si raccoglie viene depositato presso il preposto. Questi
soccorre gli orfani, le vedove, e chi è indigente per malattia o per qualche
altra causa, e i carcerati e gli stranieri che si trovano presso di noi:
insomma, si prende cura di chiunque sia nel bisogno».
La celebrazione eucaristica domenicale non permette né
fughe all’indietro, né sogni evasivi, ma il “rimanere” in Gesù e con Gesù
fedeli alla storia, per generare le opere «dell’ottavo giorno» (gesti
profondamente umani e semplici che esprimono e realizzano la solidarietà, la
condivisione, la speranza di un futuro migliore, la liberazione integrale
dell’uomo). Così la domenica è giorno dell’uomo, capace di interrogare anche i
non praticanti. Perché questo non resti solo un desiderio ma si trasformi in
realtà, è necessario però che le nostre comunità siano capaci di ascoltare e
accogliere gli «interrogativi che toccano le strutture portanti dell’esistenza:
gli affetti, il lavoro, il riposo» (cf. Il volto missionario delle parrocchie
9) .
L’attenzione all’eucaristia domenicale non deve insomma
rispondere a funzioni di religione civile ma di autoevangelizzazione del popolo
cristiano per la testimonianza a Dio e a al bene comune. Infatti bisogna essere
profondamente convinti che se custodiremo la domenica, la domenica “custodirà”
noi e le nostre comunità, orientandone il cammino, nutrendone la vita. La sfida
del dominicum è sfida all’identità dell’uomo e della Chiesa, perché sia segno
per la vita del mondo. Si può dire che esiste una “figura domenicale”
dell’uomo, che è una forma della libertà e della novità cristiane nella carne
degli uomini e delle donne che si lasciano plasmare dalla pasqua di Gesù.
Mario Chiaro
1 Riflessione del Comitato nazionale e del Comitato
diocesano del XXIV Congresso eucaristico nazionale (Bari, 21-29 maggio 2005),
EDB, pp. 96, € 2,50. Rimandando ai documenti magisteriali (Dies Domini del papa
e Il giorno del Signore della Cei), mons. Comastri e mons. Cacucci specificano
nella presentazione di voler offrire uno strumento mirato alla “catechesi
mistagogica della domenica”: anche oggi infatti (come nei primi secoli) occorre
ripartire dai doni ricevuti per vivere in unità le dimensioni fondamentali del
mistero cristiano (annuncio, celebrazione e vita). Si tratta di promuovere un
accompagnamento pastorale per condurre i cristiani a una esperienza concreta
del rito e, attraverso di esso, metterli in contatto con Cristo.