DOPO IL MAREMOTO NEL SUD-EST ASIATICO
“L’ONNIPOTENTE MI RISPONDA!”
La catastrofe che ha
colpito l’Asia pone interrogativi che interpellano la nostra fede. Ma anche
l’uomo deve interpellare se stesso e il suo modo di rapportarsi col creato.Grandi
sono infatti le sue responsabilità in questo campo.
«L’Onnipotente mi risponda»: sono le parole con cui
Giobbe, immagine tradizionale della sofferenza umana, si rivolse a Dio in mezzo
alle sue proverbiali disgrazie (Gb 31,35). Non è certo superfluo conoscere la
risposta di Dio, che sostanzialmente si appellava alla insufficienza della
ragione del suo pio interlocutore: “Chi è costui che vuole offuscare il
consiglio con parole insipienti? Cingiti i fianchi come un prode, io
interrogherò e tu mi istruirai. Dov’eri quando ponevo le fondamenta sulla
terra? Dillo, se hai tanta intelligenza! Dove sono fissate le sue basi o chi ha
posto la sua pietra angolare, mentre gioivano in coro le stelle del mattino e
plaudivano tutti i figli di Dio?”.
È la prima considerazione che viene in mente di fronte
all’immane catastrofe che si è verificata in questi giorni nei paesi del
Sud-est asiatico, di cui giustamente i mass media, l’opinione pubblica e la
riflessione dei credenti e non credenti non si stancano di indagare e di
parlare.
L’uomo è sopraffatto, come schiacciato, da avvenimenti
troppo più grandi di lui. L’onda anomala che ha spazzato via come fuscelli
paesi e abitazioni, che ha provocato oltre centomila morti e cinque milioni di
sfollati, non ha precedenti nella nostra memoria. Essa ha cancellato anche
tante nostre certezze e ci costringe a riflettere seriamente sulla nostra
condizione. La mente umana rimane confusa e sbalordita. Dove è finito l’uomo
che si considerava padrone assoluto dell’universo, artefice del suo destino,
fermamente convinto di tenere in mano le leve dell’evoluzione?
È il primo pensiero che ha percorso la mente di tutti e,
più ancora, la mente di coloro che sono stati direttamente investiti
dall’infernale ciclone. Un richiamo all’umiltà, un invito a non oltrepassare i
nostri limiti, un rinnovato appello che sale a noi dall’antico libro di Giobbe.
Nonostante tutto, anche quello che diremo dopo, noi rimaniamo avvolti dalla
penombra del mistero, chiusi nei nostri angusti confini, mortificati dalla
nostra incapacità di indagare “questo enorme mister dell’universo”. Vengono in
mente le parole di Blaise Pascal sulla grandezza dell’uomo, nascosta in un vaso
di argilla e flebile e gracile come una canna agitata dal vento. Non va
rinnegata la grandezza dell’uomo (“L’hai fatto di poco inferiore agli angeli”,
ci ricorda il salmista), ma va coniugata con la sua naturale e insuperabile
fragilità e contingenza.
LE RESPONSABILITà
DELL’UOMO
Un secondo campo di riflessione è quello della
responsabilità dell’uomo. Anzitutto le responsabilità immediate. È accertato
che un appropriato sistema di informazione avrebbe limitato di molto le
conseguenze del disastro. A ciò non si è creduto, comunque ciò non è stato
fatto probabilmente per mancanza di mezzi adatti a operazioni di questo genere.
Anche se molte di quelle regioni sono mete ambite del turismo internazionale,
particolarmente europeo, si tratta di paesi poveri che non hanno potuto
aggiornare le loro strutture e i loro sistemi di informazione. Una conseguenza
allora, almeno in parte, della povertà e delle insufficienze del terzo mondo,
che il primo mondo continua a sfruttare, ma che non aiuta a sollevarsi dalla
propria miseria. E siamo di fronte a un nuovo punto di revisione e di esame di
coscienza.
Ma oggi, lentamente, si fa strada anche la possibilità di
un’altra responsabilità, più diretta e grave, che coinvolge ancora le nazioni
ricche e potenti. Siamo sicuri che gli esperimenti atomici, condotti
soprattutto in quelle regioni, non abbiano avuto un influsso negli eventi che
tutti oggi deprechiamo? Una domanda a cui, almeno per il momento, non sembra
possibile dare una risposta sicura, ma che rintrona sempre di più nel nostro
cervello. La storia ci ha insegnato, specialmente in questi ultimi tempi, a
ritrovare nell’uomo l’origine di avvenimenti tristi come malattie, disastri,
epidemie, in un primo tempo, e magari per lungo tempo, attribuiti alla natura,
e quindi indirettamente a Dio.
Quanto è successo diventa allora l’occasione per
ripensare più seriamente alla missione affidata all’uomo in ordine alla
trasformazione di un universo consegnatogli come un dono da portare a
compimento e non come un materiale da soggiogare alla sua volontà di potenza e
ai suoi sfrenati egoismi. La prima pagina della Bibbia, non di rado accusata di
aver dato con le sue parole all’uomo la licenza di uccidere e di manomettere la
natura, va letta in un senso ben diverso. Il capitolo terzo della Gaudium et
spes rimane per questo un sicuro punto di riferimento. L’uomo, secondo il
concilio, è destinato a «collaborare con la propria attività al completarsi
della divina creazione». Concreatore, collaboratore dell’opera creatrice di
Dio, perfezionatore, non distruttore e affossatore di un’opera che non è sua e
di cui è soltanto un amministratore. La salvaguardia del creato, l’ecologia
sono da tempo all’ordine del giorno della comunità umana. Ma, a giudicare anche
da quanto ci dicono gli addetti ai lavori, non con quella serietà che
l’argomento meriterebbe. Non molto tempo fa, pensando più che altro all’energia
atomica nascosta nel mondo dell’infinitamente piccolo, si è detto che l’uomo ha
in mano, per la prima volta dalla sua comparsa sulla terra, la chiave
dell’apocalisse. Dobbiamo rileggere attentamente quelle affermazioni,
prendendole più sul serio, prima che sia troppo tardi. A ben vedere da quanto
sta avvenendo intorno a noi, quelle possibilità autodistruttive non sono per
niente passate in prescrizione. Ci sono specialmente alcune nazioni che si
stanno trastullando sull’orlo di un vulcano arrossato dal fuoco e in piena
ebollizione.
UNA DOMANDA:
“MA DOV’ERA DIO?”
Detto questo, non possiamo però evitare l’ultima e più
difficile domanda, che risuona nella mente se non proprio sulla bocca di tutti,
in particolare dei credenti: «Ma dov’era Dio durante il corso di quella
esplosione che ha messo in ginocchio l’umanità intera?». Si ricorderà che una
domanda consimile fu posta, in particolare dal popolo ebraico, il popolo della
elezione, dopo la tragedia della Shoà provocata dal regime nazista. In questo
caso, nonostante le resistenze di alcuni grandi pensatori ebrei, la risposta
appariva più facile, come altri ebrei, fra cui ricordiamo Etty Hillesum, hanno
potuto riconoscere. Più facile perché il responsabile della immane tragedia era
l’uomo, nella persona di Hitler e dei suoi fedelissimi scherani. Piaccia o no,
la domanda da porsi in quel caso non era: «Si può ancora parlare di Dio dopo
Auschwitz?», ma: «Si può ancora parlare dell’uomo dopo quanto è avvenuto nei
lager della morte?». E, si potrebbe anche aggiungere, nelle foibe, nei Gulag,
in tutti i luoghi del brutale sterminio dell’uomo contro l’uomo.
L’unica responsabilità di Dio è quella di aver creato
l’uomo libero. Ma, se l’uomo non fosse libero, non sarebbe in realtà un uomo.
Pretendere che un essere libero non sia capace di commettere il male, qualsiasi
male, è pretendere semplicemente l’impossibile. La libertà è un concetto forte
che va rispettato in tutti i nostri ragionamenti e atteggiamenti e che Dio stesso
non può non rispettare. Ad Auschwitz non è in questione Dio ma l’uomo. Il dito
è puntato contro di lui.
Un assurdo, dunque, che neppure Dio, pur mantenendo la
sua onnipotenza (al contrario di quanto pensa H. Jonas), non può fare.
L’impossibile non è nemmeno nelle possibilità onnipotenti di Dio. Si può
parlare negli stessi termini anche del male fisico e naturale, del male cioè
che non dipende dalla libertà dell’uomo?
Anzitutto non dimentichiamo quanto abbiamo appena
affermato a riguardo delle sempre possibili responsabilità dell’uomo anche in
questo campo. Il credente, abituato dalla rivelazione a pensare a un Dio buono,
misericordioso, paterno e materno, è spinto fortemente a rispondere
affermativamente alla domanda che ci siamo posti, anche se rimane un’ombra di
mistero.
A pensarci bene, non si trova un’altra soluzione almeno
altrettanto plausibile. Non si può dire che Dio può ma non vuole evitare il
male, senza mettere in discussione la sua bontà; si deve invece dire che Dio
vuole ma non può, questa volta perché una creazione perfetta è impossibile. Di
nuovo l’assurdo che torna alla nostra considerazione. Una creazione perfetta è
impossibile allo stesso modo che è impossibile una libera volontà che non possa
commettere il male. Invocare la permissione del male da parte di Dio, cioè
dell’essere onnipotente, ha già dimostrato I. Kant che non serve a niente.
Dunque, l’impotenza di Dio, la sua debolezza, la sua
onnipotenza limitata e contratta dall’impossibilità e dall’assurdo. Una
rinuncia necessaria per poter procedere alla creazione dell’uomo e
dell’universo. C’è qualcosa di vero nella teoria della Cabala, che vede nella
creazione divina un ritiro e un arretramento di Dio per dare spazio alle sue
creature.
Allora dov’era Dio durante il maremoto asiatico? Vicino a
tutti i suoi figli, pure lui in stato di sofferenza e di impotenza, con le
braccia aperte della sua misericordia e del suo perdono, a raccogliere le
vittime prima degli stessi soccorritori. Perché dalla riflessione teologica ci
arriva oggi una consolante notizia: Dio soffre con l’uomo, Dio soffre per
l’uomo. Soffre non per mancanza, come noi, ma per ricchezza, non per bisogno ma
per condiscendenza. La lettura più approfondita della Bibbia ha portato a
queste convinzioni. Il Dio biblico è molto diverso dal Dio della filosofia
greca, alla quale si è troppo ispirato nel passato il pensiero cattolico. Dio
com-patisce con noi, piange con noi, è al nostro fianco nel momento della
sofferenza e in particolare della morte. Le sue viscere materne sono sobbalzate
nel momento della tragedia. Come ad Auschwitz egli era presente nella corda
dell’impiccato, così ora egli è stato presente nell’onda travolgente e
distruttrice.
A ciascuna delle vittime egli ha suggerito le famose
parole che Georges Bernanos fa dire a Dio nelle orecchie dei sofferenti:
«Perdonami. Un giorno tu saprai, tu comprenderai, tu mi ringrazierai. Ma ora
ciò che attendo da te è il tuo perdono, perdonami». Una voce flebile, ma,
avverte Bernanos, la stessa voce che ha gettato i soli nello spazio infinito
così come una mano getta il grano, la voce che fa tremare i mondi, la voce di
Dio.
La nostra meditazione può finire qui. Ritornando però al
principio, alle regioni del mistero, pronti a riconoscere nel presente e nel
passato le nostre grandi responsabilità per la presenza del male nel mondo. Dio
ha dato all’uomo l’intelligenza per dominare e dirigere l’evoluzione fino alla
consumazione dei secoli, quando all’attuale creazione subentreranno i cieli
nuovi e la terra nuova, in cui abiterà per sempre la giustizia. All’universo
incompleto noi dobbiamo dare quel supplemento di razionalità di cui esso ha
bisogno. Un giorno l’evoluzione sarà terminata e l’universo sarà allora
pienamente se stesso, secondo il disegno finale di Dio.
Intanto il miracolo, i miracoli che noi chiediamo a lui
sono in qualche modo nelle nostre mani. Noi i collaboratori di Dio. Perché,
come ci ricorda il salmista, i cieli sono la sua dimora e la sua proprietà, ma
la terra egli l’ha data ai figli dell’uomo.
Giordano Frosini