IL PAPA PER LA GIORNATA MONDIALE DELLA PACE
VINCERE IL MALE CON IL BENE
Nel tradizionale
messaggio il papa indica come via alla pace l’impegno a “vincere il male con il
bene”. Ma la pace è il frutto dell’amore. Per ottenerla, è necessaria una lunga
e impegnativa battaglia, che sarà vinta solo quando il male sarà stato
sconfitto mediante il bene.
Ogni anno il messaggio del papa per la giornata mondiale
della pace offre una lucida analisi della situazione della pace nel mondo e
qualche cammino realistico per raggiungerla. Mettendo insieme questi messaggi
si ha un vasto magistero sulla pace.
Anche quest’anno, Giovanni
Paolo II illustra il compito che incombe a tutti di lavorare per la pace. Si
direbbe che il papa non si preoccupa (e così dovremmo fare anche noi…) per le
critiche che, puntualmente, piovono su quelli che con disprezzo vengono
chiamati i “pacifisti”, coloro che affermano che bisogna cercare la pace e la
non violenza, che dichiarano ingiusta la guerra, ogni guerra anche quella che
pretestuosamente viene chiamata preventiva in difesa dell’occidente e della
cultura cristiana. Mentre certi signori se la prendono con i pacifisti
“imbelli”, come fossero dei disertori o delle quinte colonne di fantomatici
nemici, il messaggio del papa ci ripropone con pacatezza, ma con altrettanta
fermezza il tema della pace e lo declina ancora una volta con molta concretezza
dandoci, questa volta, una nuova “grammatica di morale universale”, un insieme
di valori e principi cioè che si impongono a chi intende costruire una pace
vera e duratura.
SOLO IL BENE
VINCE IL MALE
Il titolo del messaggio, Non lasciarti vincere dal male,
ma vinci con il bene il male, è una citazione della lettera di Paolo ai Romani
(12,21). La pace è un bene, anzi il bene sommo che raccoglie in sé tutti i beni
che possiamo desiderare. Essa deve essere promossa con il bene perché non può
essere che il miglior frutto dell’amore. Infatti la pace è «il risultato di una
lunga e impegnativa battaglia, vinta quando il male è sconfitto con il bene»
(1). La pace non è il risultato di una vittoria ottenuta con le armi, non lo è
mai stato, e la storia ci mostra che troppo spesso i trattati di pace che
chiudono una guerra sono, ironicamente, la premessa per una nuova guerra. Il
vero male, da mettere al bando, è la guerra insieme con le ingiustizie o le
situazioni di violenza che caratterizzano purtroppo il nostro mondo. Se
vogliamo avere la pace bisogna escludere dalle opzioni possibili ogni guerra,
preventiva o altro che essa sia.
Il papa ricorda una verità che noi tendiamo a
dimenticare, che cioè «il male non è una forza anonima che opera nel mondo, in
virtù di meccanismi deterministici e impersonali»,
una sorta di male metafisico che esiste per se stesso al di fuori delle nostre
scelte. È invece il prodotto dell’uomo che «passa attraverso la libertà umana…
ha sempre un volto e un nome»: alla sua origine ci sono uomini e donne che
liberamente scelgono il male e le sue conseguenze, tra le quali la guerra.
Siamo noi umani a essere responsabili della pace come lo siamo della guerra,
perché il male è voluto da chi non segue la logica della fraternità e della
comunione, ma che si sottrae alle esigenze dell’amore. Anzi per noi cristiani,
ricorda il papa, la logica dell’amore cristiano ci «spinge fino all’amore dei nemici»
(2).
E allora davanti alle molteplici manifestazioni del male
che caratterizzano il nostro mondo, come l’anarchia e la guerra, l’ingiustizia
e la violenza contro l’altro fino alla sua uccisione, il papa richiama
l’urgenza di ritrovare e fare riferimento a quel «comune patrimonio di valori
morali» (3) che sono stati dati da Dio a tutti e che permettono di avere uno
sguardo comune e condiviso sulle realtà fondamentali della vita. Questa è
quella che Giovanni Paolo II chiama «la grammatica della legge morale
universale», di cui tutti sentiamo il bisogno oggi in mezzo alle incertezze
seminate nel campo del postmoderno, sia nell’ambito dell’economia e della
finanza mondiali, come in quello della gestione dei conflitti per assicurare la
pace.
Sono cinque i grandi principi di questa grammatica: a) il
rispetto e la promozione della vita delle persone e dei popoli, b) il rifiuto
della violenza come mezzo per risolvere il contenzioso fra i popoli, c) la
promozione del bene comune ricercato con quella stessa urgenza e determinazione
con cui si ricerca il bene proprio personale, d) un’equa distribuzione dei beni
pubblici, e) l’impegno per assicurare a tutti i popoli, soprattutto ai più
deboli, le possibilità finanziarie per promuovere il proprio sviluppo.
L’“AMATO
CONTINENTE AFRICANO”
Non ci sarebbe per sé nulla di straordinariamente nuovo
da sottolineare in questo messaggio se non la concretezza con cui il papa ne
parla, senza sottrarsi alla chiara denuncia di alcune situazioni che mostrano
l’urgenza inderogabile di prendere finalmente di petto certi problemi del
mondo. Ad esempio, quando parla del rispetto delle persone e della vita di
tutti, egli cita «l’amato continente africano», questo continente che sta
andando alla deriva, dove perdurano conflitti infiniti che continuano a mietere
troppe vite umane. Oppure la «pericolosa situazione della Palestina» dove non
si riesce a riannodare i fili della reciproca comprensione, oppure il «tragico
fenomeno della violenza terroristica che spinge il mondo verso la paura e
l’angoscia» e infine il «dramma iracheno che si prolunga in situazioni di
incertezza e di insicurezza per tutti».
Il papa non si nasconde che nella situazione dell’Africa
c’è qualcosa di intollerabile tanto che alla fine del messaggio (10) ci ritorna
in modo più specifico per sollecitare «un cammino radicalmente nuovo» fatto di
«nuove forme di solidarietà a livello bilaterale e multilaterale» . Il papa
avverte i capi dei governi che la rinascita dell’Africa «rappresenta una
condizione indispensabile per il raggiungimento del bene comune universale». È
significativo che il papa colleghi il bene comune universale alla risoluzione
di questi problemi particolari. Tutti sappiamo che il terrorismo attinge a
queste situazioni di ingiustizia lasciate a incancrenire in alcuni punti del
mondo, come pure in un mondo globalizzato non si può
dimenticare che la soluzione del problema palestinese è la chiave che apre alla
pace nel Medio Oriente e nel resto del mondo.
CITTADINANZA MONDIALE
PRESUPPOSTO DI PACE
Il papa riviene anche su un punto delicato della dottrina
sociale della Chiesa, quello della «destinazione universale dei beni della
terra» (7) integrato da quello della cosiddetta «ipoteca sociale» che grava su
ogni proprietà privata, per elaborare il principio di una cittadinanza mondiale
fondato sulla comune origine e destinazione dell’umanità. Ogni uomo al momento
della sua nascita diventa «titolare di diritti e di doveri» (6) insieme con
tutti gli uomini e le donne di questo mondo. Egli riceve il diritto che qualcuno
si occupi di lui, gli dia attenzione e provveda per lui affinché abbia quello
che è necessario e fondamentale per la sua esistenza. Ne nasce una fraternità
universale precedente a ogni altra distinzione storica o geografica o razziale.
Pertanto «la condanna del razzismo, la tutela delle minoranze, l’assistenza ai
profughi e ai rifugiati, la mobilitazione della solidarietà internazionale nei
confronti di tutti i bisognosi non sono che coerenti applicazioni del principio
della cittadinanza mondiale» (6).
La pace non spunterà all’orizzonte del mondo finché
questo principio non sarà messo in pratica, e le necessità di base di ogni uomo
non saranno soddisfatte. Non c’è alcun diritto di rivendicare la propria
proprietà privata quando milioni di nostri fratelli non hanno il minimo
necessario per sopravvivere! Questo è ciò che si legge tra le righe del
messaggio. Questa è l’ipoteca sociale per la quale, in linea con il pensiero
sociale cattolico, la proprietà privata esiste per garantire «che le necessità
di base di ogni uomo e di ogni donna vengano soddisfatte e sostenute» (come
dice una Nota della S. Sede all’Organizzazione mondiale del commercio sulla
proprietà intellettuale del 21 giugno 2001).
Insieme ai beni della terra, tradizionalmente legati al
diritto alla vita e alla crescita umana della persona, devono essere offerti a
tutti anche quei «nuovi beni» (7) che provengono dal progresso scientifico e
tecnologico e che sono oggi necessari per partecipare allo sviluppo. Il papa
parla quindi del dovere di abbattere le barriere doganali e i monopoli che,
come nel caso dei medicinali, stanno condannando a morte molti poveri del mondo
in via di sviluppo.
Ai beni della terra e della tecnologia attuale egli
associa anche tutti i beni pubblici, come il sistema giudiziario, di difesa, le
infrastrutture stradali e di comunicazione, la sicurezza, la salvaguardia
dell’ambiente ecologico e la prevenzione delle malattie e della loro diffusione
(7) .
VINCERE LA SFIDA
DELLA POVERTÀ
Nella prospettiva di consolidare la pace ed evitare
future guerre, il papa ribadisce l’urgenza di affrontare decisamente la sfida
della povertà che affligge ancora un miliardo di persone che non riescono ad
avere un pasto al giorno. Nessuno ignora che ormai sta pendendo sulla sorte
dell’umanità una nuova guerra, quella dell’acqua. Occupazione, cibo e acqua
potrebbero essere il detonatore di una nuova guerra. La povertà del mondo
rimane la grande sfida rivolta alle nazioni ricche del pianeta, una sfida non
raccolta malgrado le Nazioni Unite si siano date come obiettivo primario di
dimezzare la povertà mondiale per il 2015. Un rapporto dell’ONU dello scorso
anno ha invece mostrato che la povertà dei poveri sta crescendo. La stessa cosa
vale per il debito estero dei paesi poveri : esso è stato accantonato. Per
questo il messaggio del papa ricorda il dovere di negoziare tale debito che
compromette ogni sforzo di sviluppo. Inoltre è «auspicabile e necessario
imprimere un nuovo slancio all’aiuto pubblico allo sviluppo ed esplorare nuove
forme di finanziamento allo sviluppo» (9).
Alla conclusione del messaggio, il papa riafferma la
certezza «che è possibile a tutti vincere il male con il bene» (11). È una
certezza fondata sulla potenza della risurrezione che ci assicura che il male
non prevarrà. La promozione della giustizia e della pace è l’affermazione della
fede nella nuova vita, una vita altra, diversa che fonda anche la «ferma
fiducia nella possibilità di costruire un mondo migliore» (11). Per questa
ragione nessun cristiano, anzi nessun uomo o nessuna donna di buona volontà,
può sentirsi dispensato dall’impegno di promuovere la pace vincendo con il bene
il male, perché nessuno si può dispensare dalla legge della carità che è «la
legge fondamentale della perfezione umana e perciò anche della trasformazione
del mondo» (GS 38). E l’eucaristia ci offre il modello di una società di
fratelli, al di là di ogni differenza, e, nello stesso tempo, l’energia
necessaria per poterla realizzare.
Gabriele Ferrari sx