CAPITOLO GENERALE DEI MONACI OLIVETANI

IN CAMMINO NEL NUOVO MILLENNIO

 

Il capitolo, oltre a riconfermare l’abate generale dom Michelangelo Tiribilli, ha preso in esame importanti aspetti della vita della congregazione, nella fedeltà allo spirito delle origini, ma anche con nuove aperture per un futuro più conforme ai nuovi tempi.

 

La congregazione dei monaci benedettini di santa Maria di Monte Oliveto avrà d’ora in poi una fisionomia meno clericale e più comunionale; al suo interno inoltre saranno consentite, entro certi limiti, anche forme di vita eremitica per permettere ai monaci che lo desiderano di vivere periodi di più intensa comunione personale con Dio; una linea essenziale di azione rimane anche l’impegno nella promozione del dialogo ecumenico e interreligioso secondo gli orientamenti del Vaticano II circa i monasteri, sui quali oggi la Chiesa fa molto affidamento; per questo essa intende infondere rinnovato impulso alla formazione sia iniziale che permanente.

Sono alcuni dei più interessanti e importanti orientamenti approvati dal capitolo generale che si è tenuto a Monte Oliveto nella prima quindicina di ottobre, al quale hanno preso parte 49 capitolari provenienti dai quattro continenti dove la congregazione è presente: Europa, Americhe, Asia e Africa.

In questa circostanza il capitolo era anche elettivo: dal segreto delle urne è emerso nuovamente il nome dell’attuale abate generale, dom Michelangelo Tiribilli, che così viene riconfermato nella sua carica,

I lavori capitolari si sono sviluppati in tre fasi: nella prima, di carattere soprattutto informativo, è stata presentata una panoramica della situazione attuale della congregazione e del modo con cui la vita monastica è concretamente vissuta nei vari monasteri; nella seconda è stato dato spazio al momento elettivo dell’abate generale; nella terza, infine attraverso varie delibere sono stati indicati i percorsi che la congregazione intende percorrere a partire da questo inizio del nuovo millennio.

 

UNA SCELTA

EPOCALE

 

Senza dubbio una delle risoluzioni più importanti è stata quella con cui il capitolo ha cancellato la norma secondo cui per essere consiglieri dell’abate generale e per l’esercizio di certe cariche all’interno della comunità era necessaria l’ordinazione sacerdotale. Viene così data attuazione a un’indicazione del Vaticano II che nel decreto Perfectae caritatis 15 così diceva: «I monasteri e gli istituti maschili non del tutto laicali possono accettare... chierici e laici in pari misura e con uguali diritti e obblighi, eccettuati quelli che scaturiscono dall’ordine sacro».

Il vincolo di comunione che unisce tutti i monasteri in ogni parte del mondo in una sola grande famiglia all’abate generale ha vissuto in questo capitolo un momento esaltante: per la prima volta infatti, dopo tanti secoli – e precisamente dal 1372 – i monaci della comunità di Monte Oliveto hanno partecipato assieme a tutti i padri capitolari all’elezione dell’abate generale, la cui sede è a Monte Oliveto, centro spirituale di tutta la famiglia olivetana. Per rafforzare ulteriormente il vincolo di comunione, il capitolo ha inoltre stabilito che i primi due consiglieri generali, ossia il vicario e l’economo generale abbiano a risiedere in casa madre, non solo per assistere l’abate nel suo servizio quotidiano alla congregazione, ma anche per fungere da tramite con le altre comunità della congregazione. Si è voluto in tal mondo sottolineare l’intima unione che deve sussistere tra la comunità madre e le altre comunità, dando ulteriore incremento allo spirito di comunione su cui aveva insistito in modo particolare già il capitolo generale straordinario, del 2001.

Espressione di questo spirito comunionale era stata anche la cosiddetta consultazione previa con cui tutti i monaci erano stati invitati a suggerire i nomi che, a loro parere, sembravano essere i più indicati alla carica di abate generale e di consiglieri.

Un’interessante novità ha rappresentato anche l’accoglienza dell’orientamento verso la vita eremitica emerso in alcuni monaci, e presente del resto anche in altre congregazioni monastiche. Il capitolo ha espresso un suo parere favorevole deliberando che il carisma dell’eremitismo non pare possa escludersi dalla vita monastica olivetana. Al contrario, una sua rinascita costituisce una specie di ritorno alle origini, nel senso che nei primi tempi la vita solitaria costituiva una scelta abbastanza frequente tra gli asceti del Monte Oliveto.

La forma più consona oggi all’interno della congregazione sembra quella che si attua in pieno accordo con l’abate, dopo avere informato anche la comunità, e in stretta unione e dipendenza con il monastero, ma con responsabilità personali per quanto riguarda il sostentamento. Anche la durata dell’esperienza e la stessa scelta del luogo saranno soggette alla decisione dell’abate d’accordo con l’interessato. Ma si potranno consentire anche momenti di eremitismo all’interno dello stesso monastero in armonia con le esigenze della comunità, a giudizio dell’abate e con il consiglio della comunità.

 

DIALOGO ECUMENICO

E INTERRELIGIOSO

 

Un altro settore su cui il capitolo ha riflettuto riguarda l’impegno della congregazione olivetana per la promozione del dialogo ecumenico. Ciò corrisponde anche ai numerosi inviti della Chiesa che proprio sui monasteri fa grande affidamento, soprattutto oggi in cui, esaurita un po’ la spinta ecumenica attraverso gli incontri di vertice e i documenti, si guarda a un ecumenismo di vita e di scambio sul piano dell’amicizia. La congregazione di Monte Oliveto ha già risposto a questo invito fondando un monastero nell’Irlanda del nord, aderendo così alla raccomandazione di VC 101, di essere presenti soprattutto «là dove vivono comunità cristiane di varie confessioni».

Il capitolo ha quindi allargato ulteriormente la sua attenzione prendendo in considerazione anche il dialogo interreligioso. Un forte stimolo in questa direzione è venuto ai capitolari ascoltando l’abate Abu-Gosh che vive in Israele ed è vescovo ausiliare per i cristiani ebrei del patriarca di Gerusalemme. Prendendo la parola ha detto: «Se dovessi definire da una parte la vocazione del popolo d’Israele così come appare in tutta la Bibbia, e dall’altra parte, la vocazione dei monaci e delle monache nella Chiesa come icona della santità cristiana, impiegherei la medesima formula: una comunità di persone chiamate da Dio ad ascoltare la sua Parola, a meditarla giorno e notte, a tradurla nella vita quotidiana, a radunarla nel rendimento di grazie, e tutto ciò come vivente testimonianza della speranza nel Regno che viene. Non si può non essere colpiti da questa similitudine. L’ascolto della Parola, la memoria, la comunità, la regola, il rendimento di grazie, la speranza del Regno. In questa prospettiva i monaci e le monache appaiono nella Chiesa come i continuatori della vocazione del popolo di Dio. Semplice presenza nel silenzio, nell’ascolto e nella lode, la vita dei monaci e delle monache in Israele è certamente la testimonianza maggiormente irradiante dell’amore del Signore per il suo popolo e per il mondo...».

Insistendo sul dialogo con i credenti delle altre religioni, i capitolari hanno sottolineato il dovere di un’accoglienza spirituale da parte di ogni monastero – comunità che cerca Dio – nella disponibilità a dialogare insieme con coloro che non ci sono “familiari secondo la fede”, per parlare con loro della nostra ricerca di Dio, ed eventualmente aiutarci, gli uni gli altri, col necessario approfondimento delle vie che rafforzano in quest’impegno. L’essenziale infatti rimane anche in questo dialogo quel si revera Deum quaerit scopo specifico e anelito – in fondo – di ogni persona. Tale dialogo non può essere solo un hobby o un interesse specifico di qualche monaco più sensibile degli altri, ma come ha scritto Giovanni ­Paolo II, «dal momento che il dialogo interreligioso fa parte della missione evangelizzatrice della Chiesa, gli istituti di vita consacrata (e tanto più i monaci) non possono esimersi dall’impegnarsi anche in questo campo... coltivando opportune forme di dialogo improntate a cordiale amicizia e reciproca sincerità con gli ambienti monastici di altre religioni» (VC 102).

 

UN USO DEI BENI

TRASPARENTE ED EVANGELICO

 

Un certo rilievo è stato dato anche all’aspetto finanziario con par­ticolare attenzione all’uso evangelico dei beni. Riuscire a utilizzare le risorse economiche nel rispetto dei valori evangelici e nella ricerca dell’autenticità monastica del resto era stata una preoccupazione importante già inizialmente affrontata nei due precedenti capitoli generali. Non è un aspetto secondario di pura funzionalità, ma riguarda l’identità monastica e la credibilità della sua ­testimonianza. Per questo ci vuole cautela, trasparenza, onestà e oggi ­anche molta professionalità e competenza.

In vista del capitolo la commissione economica aveva preparato un corposo Instrumentum laboris sulla dimensione istituzionale dei beni della congregazione e dei monasteri, sul modo di gestire e condividere i beni e le risorse finanziarie in rapporto all’attuazione del voto di povertà in una società che cambia e all’organizzazione del lavoro monastico.

È stata percepita la necessità di dare degli orientamenti per far sì che la gestione economica sia coerente con la missione specifica di un monastero, indicando alcuni criteri sani ed evangelici sia nell’acquisto dei beni sia nel modo di gestire e condividere le risorse finanziarie.

Certamente non è sempre facile coniugare le esigenze evangeliche con la legislazione fiscale ed economica. È dunque importante precisare il senso e la portata della povertà comunitaria; la stessa povertà personale si trasforma in una realtà molto difficile da vivere in mancanza di una sana amministrazione dei beni. Infatti un’amministrazione sana e trasparente aiuta a vivere bene la povertà personale e comunitaria nel contesto della società consumistica in cui viviamo, aperti alla solidarietà.

Si sa che la gestione economica non riguarda solo la povertà ma ha a che vedere anche con l’obbedienza, dal momento che vi sono leggi della Chiesa, della congregazione, e anche degli stati che vanno messe in pratica e rispettate; riguarda anche la castità, dal momento che la libertà del cuore è imprescindibile perché i beni siano messi al servizio della persona umana.

Occorre poi tenere presente che si rende sempre più necessario specificare meglio il profilo e le competenze dell’economo generale e l’organizzazione dell’amministrazione nei singoli monasteri; si rende necessario l’aiuto di équipes di consulenti. Prima il lavoro degli economi era orientato ad aiutare la comunità a vivere nell’austerità; adesso essi devono aiutare a vivere anche la solidarietà.

La commissione economica – mediante incontri con le varie realtà nazionali attraverso i superiori e i cellerari – avrà otto mesi di tempo per elaborare un testo che sarò consegnato al definitorio il quale potrà approvarlo ad experimentum e presentarlo al nuovo capitolo generale.

 

FORMAZIONE

INIZIALE E PERMANENTE

 

Altro aspetto importante preso in considerazione: la formazione iniziale e permanente.

Si tratta di una preoccupazione che accompagna costantemente la congregazione da diversi anni. Ne è una prova l’elaborazione di una ratio formatio­nis, giunta ormai alla sua terza bozza.

Quanto sia stato a cuore ai capitolari il problema della formazione, lo si può cogliere dal messaggio rivolto a tutte le comunità in cui si invitano i monaci a essere essi stessi i primi a lasciarsi accompagnare. In questo campo è stata riscontrata una lacuna piuttosto generalizzata: per questo si è suggerito di ritrovare quel senso di apertura del cuore e di obbedienza al padre spirituale che la tradizione monastica ha sempre trasmesso. È certo che una comunità rivitalizzata ogni giorno da una continua e adeguata formazione che la conserva attenta alla quotidiana novità della fede, della speranza e dell’amore costituisce l’habitat più idoneo e l’humus più nutriente per coloro che vi entrano con l’intento di vivere la dimensione teologale e contemplativa dell’esistenza.

È stato ribadito che la formazione iniziale trovi integrazione e continuità nella formazione permanente; in caso contrario la comunità non potrebbe essere formativa, ma rischierebbe di essere deformante o “disformante”. Ciò implica che i monaci siano in un continuo cammino di reformatio o conformatio, o meglio ancora di transformatio, per usare lo stesso gioco di parole di Bernardo di Chiaravalle. Nell’an­tica tradizione monastica un tale cammino veniva descritto con la parola conversio. Pertanto solo una comunità dove i fratelli si sforzano di convertirsi continuamente al Signore nel cammino della sequela può essere formativa. Non basta aver introdotto la cosiddetta “ecclesiologia di comunione” nell’ambito del corpus costituzionale. È necessario andare più a fondo: bisogna calarla nelle nostre relazioni interpersonali quotidiane, nel nostro modo di pensare e di sentire, nel fare scelte concrete personali e comunitarie. Ed è davvero la koinonia che forma i monaci in autentici seguaci di Cristo: communione formans.

Come renderla possibile? Quale percorso privilegiare? I padri capitolari non hanno esitato a indicare per tutta la congregazione una via tradizionale ma sempre da riscoprire, ossia la pratica quotidiana della lectio divina: «Rendiamoci conto dell’importanza del tempo quotidiano della lectio; diamogli un tempo definito comunitariamente per non rischiare di dimenticarla o di farne un’attività facoltativa aggiunta alle altre; la specificità della vita monastica è quest’ascolto e quella ruminazione della Parola che culminano nell’ufficio divino». Così hanno scritto nel loro messaggio a tutte le comunità.

In conclusione, se è vero che ogni capitolo generale rappresenta una tappa nel corso del lungo pellegrinaggio della congregazione verso la città santa, per i monaci benedettini di Monte Oliveto quello del 2004 ha costituito un’ulteriore opportunità di amare e scegliere con rinnovato slancio la loro vocazione monastica secondo il carisma del fondatore beato Bernardo, privilegiando alcuni percorsi per il prossimo sessennio per meglio realizzare il voto di Giovanni Paolo II: «Voi non avete solo una storia gloriosa di cui ricordarvi e da raccontare, ma una grande storia che resta da costruire» (VC 101).