RIFLESSIONI TEOLOGICHE SUL DOGMA

L’IMMACOLATA CONCEZIONE

 

Il 150° anniversario della definizione del dogma è un’occasione propizia per riprendere il discorso su Maria. Sulla sua importanza nella vita del cristiano e della Chiesa si nota un certo silenzio. È tempo _di parlarne nei termini che ci ha consegnato _il concilio Vaticano II.

 

Il cammino del dogma dell’immacolata concezione di Maria è lungo e anche alquanto accidentato. La definizione del 1854 non è certo giunta impreparata, ma ha dovuto percorrere un tragitto tutt’altro che agevole ed è ancora segno di contraddizione con le altre comunità cristiane, in particolare con il protestantesimo, che nella fede in Maria vede quasi il riassunto di tutte le storture bibliche e teologiche della Chiesa. Quanto è successo si presta a considerazioni di ordine speculativo che rimettiamo a più tardi, dopo aver dato uno sguardo sommario alla storia che ha preceduto l’intervento infallibile del papa Pio IX. Ricordiamo anzitutto che immacolata concezione non è da confondersi, come spesso ancora succede, con il parto verginale di Gesù da parte di Maria: si tratta di un avvenimento precedente, che riguarda esattamente la concezione di Maria nel grembo della sua madre Anna. Concezione immacolata significa propriamente che Maria, a differenza di tutti gli altri uomini, è stata concepita, e quindi è nata, senza peccato originale.

Questo 150° anniversario della definizione del dogma è un’occasione quanto mai propizia per riprendere il discorso su Maria, sulla cui figura e la sua importanza nella vita del cristiano e della Chiesa si nota un certo silenzio, dopo gli eccessi e le esagerazioni del nostro passato. È il tempo di riparlare della Madre di Gesù nei termini che ci ha consegnato il concilio Vaticano II.

 

UNA LUNGA

STORIA DI SECOLI

 

La storia del dogma comincia addirittura con un libro apocrifo, il Protovangelo di Giacomo, databile nel secondo secolo, il quale racconta che Maria è stata concepita senza l’intervento del padre terreno Gioacchino. La concezione che Maria sia la “Tuttasanta” (Panaghìa per gli orientali) è già presente nei primi secoli e ha una particolare diffusione nel popolo cristiano. Sant’Agostino, che pure è contrario alla verità della immacolata concezione, riconosce il substrato popolare di questa devozione. Nel secolo settimo si registra la festa liturgica relativa in oriente e, dal secolo dodicesimo, in occidente.

Nel secolo successivo Eadmero, discepolo di sant’Anselmo scrive un Trattato sulla concezione della beata Maria vergine, dove contrappone la devozione dei semplici e degli umili alla sapienza dei dotti e degli addetti ai lavori. Lui si dichiara a favore dei primi. È su questa stessa linea che nel 1435, durante il concilio di Basilea, Giovanni di Romiroy chiede che si ponga limite alla discussione venendo incontro alla sensibilità del popolo cristiano, che si scandalizza quando sente dire che Maria è nata col peccato originale.

Melchior Cano ripete le stesse convinzioni nel secolo sedicesimo. Quando il popolo ode parlare del peccato originale presente anche in Maria, si sente “turbato, percosso, torturato”. Pensieri espressi sempre più diffusamente da altri qualificati testimoni della fede della Chiesa, specialmente nell’ambito della Spagna. Nel secolo diciassettesimo sorge un movimento promozionale che parte dalle università, comprendente addirittura un giuramento, per difendere la verità dell’immacolata concezione fino all’effusione del sangue. Questo votum sanguinis si diffuse fra gli ordini religiosi, le confraternite e i fedeli. All’opposizione di Ludovico Antonio Muratori fa da contrappeso il pensiero di sant’Alfonso de Liguori, che si appella al consenso dei fedeli e alla celebrazione universale della festa liturgica.

Un movimento che si prosegue e si intensifica col passare del tempo, fino a che Pio IX chiede ai vescovi di appurare nelle loro diocesi «i sentimenti del clero e del popolo». Le risposte positive suggerirono allo stesso papa di affermare nella bolla Ineffabilis Deus, con la quale l’otto dicembre 1854 definiva il dogma, che egli con tale gesto intendeva «soddisfare ai piissimi desideri del mondo cattolico».

L’opinione contraria dei dotti contiene il fior fiore del pensiero teologico medioevale composto da Anselmo d’Aosta, Bernardo di Chiaravalle, Alessandro di Hales, Alberto Magno, Tommaso d’Aquino, Bonaventura. La ragione dell’opposizione nasceva dalla volontà di difendere la generale trasmissione del peccato originale in tutti i nati di donna e la universale redenzione operata dal Figlio di Dio fattosi uomo. Fra i favorevoli rifulge la presenza di Duns Scoto con il suo argomento potuit, decuit, fecit e con l’affermazione che Maria era stata preservata dal peccato originale per merito della redenzione operata dal Figlio.

Di tutto questo tiene conto papa Pio IX nella sua definizione, dove afferma: «La beata Vergine Maria nel primo istante della sua concezione, per singolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, in vista dei meriti di Gesù Cristo, salvatore del genere umano, è stata preservata immune da ogni macchia di peccato originale». Si noteranno due cose: Maria è stata concepita senza il peccato originale, però anch’essa è stata graziata e salvata dalla redenzione operata dal Figlio.

Siamo al di fuori della rivelazione vera e propria, ma non possiamo dimenticare che quattro anni dopo la definizione del dogma, il 25 marzo del 1858, la Madonna stessa sembrò confermare l’intervento pontificio presentandosi a Bernadette Subirous con le parole: Qué soy éra Immaculada Coun­ceptiou. Proprio così, sorprendentemente usando l’astratto: «Io sono l’Immacolata Concezione». Bernadette non si rese nemmeno conto dell’importanza di queste parole.

 

UNA STORIA

SINGOLARE

 

Una storia singolare che va fedelmente ricordata che la Chiesa celebra in quest’anno e in questi giorni. Una storia singolare anche per le scarse e insufficienti affermazioni reperibili nella sacra Scrittura. Il richiamo al protovangelo (Gen 3, 15), alle diverse figure bibliche, agli scritti dei profeti, al saluto dell’angelo e a quello di Elisabetta, alla dottrina della nuova creazione e della presenza divina nel segno del tempio difficilmente possono essere presi come testi esplicitamente e chiaramente probanti il fatto che noi stiamo ricordando. Ci sono però in questi testi delle suggestioni e delle indicazioni che possono essere sviluppate ed esplicitate in questo senso. Si ricorda soprattutto il saluto dell’angelo, con la misteriosa parola kecharitomene, tradotta dalla Bibbia di Gerusalemme “tu che sei stata e rimani colmata del favore divino” e dalla Bibbia interconfessionale “egli ti ha colmato di grazia”. Nella Fulgens corona del 1953 Pio XII parla di un “fondamento” del dogma nella stessa Sacra Scrittura.

È a questo punto che comincia la riflessione teologica attuale su questo singolare avvenimento, che fa ancora gridare allo scandalo il mondo protestante.

_È in questione anzitutto la concezione della Bibbia in rapporto alla tradizione. Sola scriptura, dicono i protestanti. I cattolici si esprimono nella Dei verbum con queste parole: “La Chiesa attinge la certezza su tutte le cose rivelate non dalla sola Scrittura” (DV 9), ma anche dalla sacra Tradizione. Non perché la Scrittura non sia completa, ma perché essa non esprime tutta la rivelazione chiaramente ed esplicitamente.

La Tradizione interviene per chiarificare ed esplicitare quanto da Dio è stato rivelato.

Una chiarificazione ed esplicitazione che cresce nel tempo perché «la Chiesa, nel corso dei secoli, tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa vengano a compimento le parole di Dio» (DV 8). Un cammino aperto teoricamente fino alla fine dei tempi. In questo contesto non è solo la Tradizione antica che conta, ma anche quella che si manifesta nel corso del tempo. La Chiesa è un organismo vivente e, come tale, aperto al processo della crescita. Non cresce la rivelazione, ma la comprensione di essa. E il progresso può avvenire attraverso tre possibilità: la riflessione e lo studio dei credenti, l’esperienza data da una più profonda intelligenza delle cose spirituali, la predicazione di coloro i quali con la successione episcopale hanno ricevuto un carisma sicuro della verità (cf. DV ivi).

Dalla breve storia del dogma prima tracciata risulta che il progresso è avvenuto soprattutto attraverso il primo mezzo, cioè la riflessione e lo studio dei credenti, anzi attraverso la sensibilità e la coscienza del popolo cristiano, in qualche modo quasi contrapposto alle convinzioni di non pochi grandi teologi.

 

IL SENSO DELLA FEDE

DEL POPOLO CRISTIANO

 

E qui si innesta una seconda riflessione teologica su cui ha insistito un testo alquanto dimenticato del concilio Vaticano II. Nel n. 12 della Lumen gentium si afferma: «L’universalità dei fedeli che tengono l’unzione dello Spirito Santo, non può sbagliarsi nel credere, e manifesta questa sua proprietà mediante il soprannaturale senso della fede di tutto il popolo, quando “dai vescovi agli ultimi fedeli laici” mostra l’universale suo consenso in cose di fede e di morale».

La verità della immacolata concezione è un caso particolare, forse il più singolare, dell’applicazione di questo “sensus fidei” di cui il popolo cristiano è in possesso perché tutto quanto pervaso dallo Spirito Santo. I teologi parlano di un influsso prioritario della fede popolare. Una fede che si è espressa non tanto con scritti quanto con fatti e iniziative di ordine cultuale e artistico (Stefano De Fiores). Quasi una conquista della tenacia e della perseveranza del popolo cristiano. Questo potrebbe anche spiegare perché la festa dell’Immacolata sia la solennità mariana più cara al popolo cristiano. Un caso certamente interessante da un punto di vista teologico. Un’occasione di riflessione su uno dei convincimenti tutt’altro che secondari del concilio Vaticano II, che potrebbe anche avere altre applicazioni.

Il ritorno del dogma dell’immacolata concezione è anche un’occasione quanto mai opportuna per riflettere su quella verità del peccato originale di cui si parla molto poco e anche male ai nostri giorni. Un punto di dottrina sul quale, più che su tanti altri, è necessario un processo di aggiornamento, richiesto diversi anni fa da Paolo VI, preoccupato del silenzio che circondava questo importante capitolo di fede cristiana. Il discorso non è affatto semplice, ma si possono ricordare gli elementi più necessari per questa revisione.

 

IL PECCATO

ORIGINALE

 

Mettiamo in disparte i doni preternaturali che non hanno nessun fondamento biblico. L’unico dono che Dio aveva fatto all’uomo ai primordi della sua esistenza era il dono soprannaturale della grazia o dello Spirito Santo, attraverso il quale l’uomo era elevato alla dignità di figlio di Dio, fratello di Cristo, membro divinizzato della famiglia trinitaria. Il peccato era tale soltanto per coloro che l’hanno commesso (Adamo-Eva, il primo uomo e la prima donna, la prima comunità arrivata all’uso della ragione e della libertà); per tutti i discendenti il peccato è soltanto analogico, cioè non un vero peccato, ma lo stato che consegue il peccato. E non sarebbe affatto male smettere di chiamarlo peccato per non fare confusione. Sui discendenti grava soltanto la conseguenza di quell’atto di ribellione compiuto all’inizio dell’umanità: cioè la privazione della grazia, della vita divina, dello Spirito Santo. I progenitori dovevano trasmettere uno stato e non ce l’hanno potuto trasmettere perché lo persero per se stessi. Come un fiume che è stato bloccato alle sue origini: l’acqua per forza di cose non scorre più. Sulle conseguenze del peccato in noi dobbiamo fare un’operazione di pulizia. Il peccato non ha cambiato le leggi naturali della biologia e della fisica, ma soltanto il nostro stato interiore, che reagisce in modo diverso alle sollecitazioni dell’esterno. Il paradiso terrestre non era il paradiso finale: un luogo e uno stato in cui erano presenti la morte, il dolore, la sofferenza, l’ignoranza e tutti i limiti dell’esistenza umana, aggravati certamente dallo stato primordiale in cui si trovava l’umanità. Era diverso il modo di reagire a essi. L’aggravarsi della concupiscenza può essere anche spiegato con il peccato del mondo, cioè con la massa di peccati che l’uomo ha compiuto dopo e anche in conseguenza del peccato originale. La giustizia di Dio è fuori questione perché la consapevolezza del peccato e dello stato da esso determinato è contemporanea alla promessa di salvezza attraverso la morte e la risurrezione di Gesù Cristo. Le due cose avvengono in perfetta sincronia.

Tutta l’umanità ne è partecipe nel momento primo della vita, che è il momento della concezione, con una eccezione: questo propriamente significa che Maria è nata senza il peccato originale._Si può dire, come si è sempre detto, che il dono è stato fatto a colei che era destinata a diven­tare madre del Signo­re. Ma si può allargare la nostra considerazione, dicendo che Dio voleva ricominciare da capo. La parentesi del peccato è come saltata, si ritorna alla purezza delle origini, l’umanità si trova all’aurora di un nuovo giorno. Il lavoro di Dio continuerà nella nascita verginale di Gesù, per rendere noto a tutti che il mondo nuovo non è opera dell’uomo (in particolare non è opera dell’orgoglioso maschio, umiliato perché reso inutile), ma soltanto opera di Dio. Di Dio e di questa umile ragazza appartenente a un popolo senza gloria e senza storia che, nonostante tutto, ha portato avanti nei secoli il segreto del lieto annunzio della salvezza.

 

LA VERA

DEVOZIONE A MARIA

 

Vorrei discutere in ultimo il fatto che l’esenzione dal peccato originale è presentata nei documenti ufficiali come un privilegio singolare (altrettanto non sarà fatto per il dogma dell’Assunzione, almeno se si sta al testo della definizione di Pio XII). Qualcosa che appartiene, dunque, solamente a Maria. Si tocca qui uno dei passaggi più fecondi che si registrano oggi nella sensibilità della Chiesa, anzi delle Chiese: il passaggio dalla mariologia dell’esaltazione alla mariologia dell’imitazione. La prima ha certamente prodotto i suoi frutti, ma anche distaccato Maria dal popolo cristiano che qualche volta, è innegabile, è perfino arrivato a esagerazioni e perfino fanatismi. Certamente ha relegato Maria in un mondo lontano che la rendono grande sì, ma quasi inimitabile, perché appunto arricchita di doni che appartengono soltanto a lei.

Fra vecchio massimalismo e minimalismo, il concilio Vaticano II ha aperto un’altra strada: Maria riportata all’interno della Chiesa, che diventa il modello e l’esempio di ogni esistenza cristiana e anche della Chiesa nel suo complesso. Una via battuta anche dai papi post-conciliari, per i quali si può dire che la vera devozione a Maria comincia dalla sua imitazione. In questa linea si leggono la Marialis cultus di Paolo VI e la Redemptoris mater di Giovanni Paolo II. Non si dimenticano le glorie, ma si sottolinea la necessità dell’imitazione. Maria modello del popolo cristiano è diventato il titolo più ecumenico della Madre di Dio.

Anche la liturgia della solennità dell’Immacolata ci porta alla stessa conclusione, ed è esattamente quello che fa Giovanni Paolo II nella sua enciclica. La terza lettura è incentrata sulla “piena di grazia”, annunciata sullo sfondo della prima lettura dedicata al peccato originale; la seconda, tolta dalla lettere agli Efesini, ci ricorda che anche noi, pure in forme diverse dalle sue, siamo “scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati (immaculati è il termine usato dalla Volgata conservato dalla versione della CEI: la Bibbia interconfessionale traduce più precisamente “senza difetti”) al suo cospetto nella carità”. Quello che è successo a lei prima avviene per noi dopo, ma il risultato è lo stesso. Maria è perfettamente imitabile in tutte le sue ricchezze, cominciando dalla fede per la quale, secondo sant’Agostino, ella concepì prima nell’anima che nel corpo. E la cosa è ancora più coinvolgente se pensiamo che Maria è più grande per la sua fede che per la stessa maternità divina.

La nostra meditazione termina così con un atto di umiltà e con la ferma convinzione che il cammino di Maria può essere anche il nostro cammino. Oltre il suo esempio, essa non ha altra cosa da dirci se non le parole pronunciate alle nozze di Cana: “Fate quello che egli vi dirà”. Ella rimane la Vergine del silenzio. Un augurio e un programma di vita.

 

Giordano Frosini