HA
TRASMESSO
L’IMMAGINE
DI UN DIO CHE AMA
«Quando
Luis arrivò in Brasile nel maggio del 1980, ogni pietra, ogni muro, ogni strada
era segnata con le impronte della morte. Arrivò in un paese umiliato, ferito,
bruciato, dilaniato e imbevuto del sangue dei martiri : uomini, donne, capi
sindacali, poveri, preti torturati, ammazzati, spazzati via dalla furia
inaudita e continua»: così la descrizione del clima socioecclesiale nel
commento che Martin M. Lintner propone per dare qualche idea a chi stranamente
non avesse mai sentito parlare di ciò che per oltre vent’anni avrebbe informato
il contesto di vita del prete sudtirolese missionario fidei donum Luis Lintner
come di innumerevoli altri, brasiliani e no, portatori di evangelica “buona
volontà”.
Il
religioso servo di Maria Martin Lintner è uno degli autori di una intensa
biografia1 del martire Luis Lintner, il quale dopo l’ordinazione presbiterale e
un primo servizio pastorale nella chiesa di Bolzano-Bressanone, dove aveva già
potuto verificare la saldezza del proprio amore a Dio e al prossimo a livello
sacerdotale in un ministero entusiasta e fedele, volle intensificarlo con
dedizione propriamente missionaria nel mondo dei più poveri. E ciò senza
implicitamente escludere dal suo amore per la vita la prospettiva di dover un
giorno lasciarla, su quella terra che tanto sollecitava anche il suo senso
poetico dell’esistenza, la propria vita: come appare dal suo testamento,
redatto il 28 maggio 1980, nell’essenzialità di un dettato di poche righe: «Io,
sottoscritto Luis Lintner, mi so al sicuro nell’amore di Dio e lo ringrazio per
la mia vita e per il fatto che mi ha chiamato al servizio sacerdotale.
Ringrazio tutti coloro che mi hanno aiutato a vivere, a credere, a sperare e ad
amare. In caso di mia morte predispongo che…».
Ma
intanto, già dall’aereo nel quale volava verso la missione che l’attendeva,
mentre si preparava ad atterrare le lanciò il suo primo messaggio, registrato
in seguito nel proprio diario: «Dio benedica il Brasile – e i miei passi,
poiché presto si appoggeranno su questa terra – e tutte le persone che
incontrerò».
LA
PERSONA, IL CREDENTE,
IL
SACERDOTE
Scrive
padre Martin che Luis era in grado di annullarsi nell’amore di Dio e in lui era
radicato, avendo nella sua Parola la sorgente della vita spirituale e nella
preghiera la forza d’ogni giorno, in una profonda unità di fede e di vita. E ne
leggiamo testimonianza nelle sue lettere, lunghe e bellissime, raccolte nella
seconda parte del libro, dove traspare chiaramente anche il fatto che egli «ha
lottato nella sua interiorità – con se stesso, con Dio, con il vivere e il
morire – e spesso si è ritirato nel silenzio e nella solitudine».
Di tale
vita interiore profondamente seria, attenta alle luci divine dello Spirito e
umanamente colma di affetti e di sogni e di realistico amore, era imbevuto il
suo impegno instancabile a contrastare la violenza e la rassegnazione e a
promuovere la dignità e la liberazione dei poveri, ponendo nelle persone più
svantaggiate «il radicale punto di partenza del suo pensiero e del suo agire»,
la sua passione per la giustizia.
Tutta la
sua vita di sacerdote consapevole del dono che recava portando ovunque operasse
la presenza di Gesù lo rendeva, potremmo dire, “passibile di martirio”, di una
morte che si presenta – scrive ancora p. Martin , e le lettere del missionario
ne danno prova splendida – come un terribile punto di contrasto con il suo
carattere e la sua vita, estrema conseguenza della propria “opzione per i
poveri”, del suo «lasciarsi colpire dalla sofferenza degli altri, cui si
dedicava e la cui sorte aveva imparato a condividere, anzi, a patire “per amore
di Dio e degli uomini”, come diceva lui stesso».
C’è
davvero, in questo sintetico profilo che il libro sviluppa, la ricchezza e la
limpidezza di una persona, di un credente e di un sacerdote al quale si addice
chiamarlo martire di quella carità che parla in parole umane e in opere
creative la lingua di Dio.
Luis
amava fortemente la propria terra, il Sudtirolo dove era nato il 25 maggio 1940
ad Aldino nello Schornhof, e amava la più vasta terra che era il mondo, che gli
piaceva percorrere quando poteva in viaggi intesi alla conoscenza di luoghi
nuovi e all’incontro di persone che ovunque gli ispiravano pensieri di
gratitudine e gli aprivano orizzonti variamente interessanti per il ministero.
Lo
affascinavano i luoghi santi di Israele ed era attratto per la sua missione dal
Sudamerica, dove si recò nell’estate del 1978 per conoscere la Bolivia; ma la
sua scelta decisiva si concretizzò guardando con maggior sicurezza – una
sicurezza verificata di continuo, tuttavia – al Brasile.
Le sue
prime impressioni si formarono a Belém, la grande città alla foce del Rio delle
Amazzoni e dai mille volti tra i quali lo colpirono, com’era naturale per lui,
quelli incontrati nelle favelas.
«Sono
felice, scriveva alla sorella Nandl durante questa prima tappa, di addentrarmi
in una terra dove c’è ancora una condizione di vita elementare, verso persone
semplici, spesso analfabete, spesso in lite fra di loro ma ben volenterose,
prive di complicazioni e soprattutto molto credenti. Qui nel territorio di
Barreiras c’è fin troppo di europeo, anche nell’assistenza spirituale. Ma non
mi cruccio, perché certamente devo considerare tutto sotto un altro aspetto e
imparare nuovamente per un numero infinito di volte».
Raggiunta
poi la sua prima destinazione a una vera e propria parrocchia, quella di
Tabocas nella diocesi di Barreiras/Bahia, poté approfondire le prime
impressioni fermandosi a salutare e conoscere le famiglie che incontrava nelle
loro baracche, dove le persone si lasciavano contattare felici per l’attenzione
che ricevevano nel vivo del loro quotidiano, del loro lavoro e soprattutto dei
loro problemi, gioie e dolori.
«Le
storie vissute dalle persone qui mi spiegano molto più, e in modo molto più
chiaro, di tutti i libri di sociologia e antropologia insieme la vita del
Sertâo, i suoi valori e le sue opere, il suo amare e soffrire, la sua fede e i
suoi tremori, le sue crudeltà e le sue dolcezze, le sue passioni e la sua
fedeltà». L’apporto delle collaboratrici volontarie italiane Rosy e Pina
inoltre fu per non pochi anni di grande significato, grazie alla loro
competenza e allo spirito “missionario” che vi portavano, ai fini della visione
di una chiesa locale capace di essere concretamente madre verso i poveri,
bisognosi di un pane sicuro a partire da una promozione sociale vivificata dal
Vangelo.
Ma era
la stessa natura di Luis, aperta alla relazione costruttiva venata di affetto
sincero con le persone, a completare un quadro ampio, le cui linee arrivavano
all’Italia dove la cerchia degli amici sudtirolesi costituiva con la sua
solidarietà spirituale e materiale, espressa nella corrispondenza epistolare e
con le offerte in denaro, un sostegno certamente efficace.
Era una
base di natura esistenziale decisiva, a rafforzare la quotidiana relazione alle
persone – uomini e donne, i vecchi e i più giovani, soprattutto i nugoli di
bambini che spuntavano da ogni parte attorno a Luis, arrivato tra loro a piedi,
a cavallo o in jeep – mediante gli organismi e le strutture ecclesiali e
sociali (centri parrocchiali e commissioni pastorali diocesane) che potevano in
vario e spesso povero modo contribuire a migliorane le situazioni concrete, sia
a Tabocas che più tardi (dal 1992) a Salvador da Bahia.
Il
ministero propriamente pastorale non poteva prescindere da un impegno politico
e sociale, moderato come si sa a livello ecclesiale: quello di Luis – leggiamo
a p. 62 del libro – «avvenne soprattutto su due piani, in ambito della CPT
(Commissione pastorale della terra) e nel campo dei sindacati dei contadini.
Luis seguì l’opzione pastorale della diocesi di Barreiras, che, fin
dall’inizio, aveva messo tra i suoi compiti primari la questione sociale.
Certamente voleva stare dalla parte dei poveri e aiutarli nei loro diritti, se
necessario seguendo anche la via legale. In questo modo, però, suscitarono ben
presto l’ostilità che anche Luis dovette provare nella sua parrocchia».
Ostilità che verso la persona di lui un giorno si sarebbe scatenata
violentemente con l’ultimo gesto che gli valse il martirio.
PADRE
LUIS
UN
MODELLO
«Come
tutti i giorni, secondo la sua abitudine, Luis si alzò ancor prima delle sei
per pregare e meditare nella sua camera, inginocchiato su un piccolo tappeto.
Quel mattino lesse il salmo 27, uno dei suoi preferiti: la preghiera di un uomo
che si sente oppresso, ma che però sa di essere sicuro insieme a Dio. Quando
Luis lasciò la stanza, la Bibbia restò aperta alla pagina di questo salmo
vicino al suo letto».
Andò poi
alla Casa do Sol, la scuola parrocchiale per i bambini più poveri, per
discutere con Domingas, la direttrice didattica, di alcune questioni, ma non la
trovò e in attesa salutò i genitori presenti e scherzò come al solito con i
piccoli. Dalla Casa do Sol – leggiamo ancora – «Luis era tornato indietro per
circa 200-300 metri in direzione della sua abitazione, a Cajazeira. Quando
scese dalla macchina per aprire il cancello di ferro all’entrata di casa, gli
si avvicinò un giovane. Dopo un breve scambio di parole partirono due colpi di
pistola.
Una
donna, che abitava vicino all’imbocco della via, si precipitò sulla porta di
casa e vide Luis coperto di sangue, con il volto a terra, i suoi occhiali rotti
accanto alla testa, mentre due giovani salivano velocemente sulla sua
macchina»… Al pronto soccorso i tentativi di rianimarlo furono vani: alle ore
8,30 Luis era già morto. E fu l’arcivescovo di Salvador, il cardinale Geraldo
Majella Agnelo a dover riconoscere l’identità dell’assassinato. Era il 16
maggio 2002.
Trasportato
in patria, il giorno 24 dello stesso mese il corpo del martire viene sepolto
nel cimitero della parrocchia natale, ad Aldino in Sudtirolo, la terra che
aveva amato, nella quale aveva imparato la vita, al ritmo delle stagioni e dei
lavori campestri nei quali poi si dimostrò bravo tra i contadini brasiliani,
degli avvenimenti familiari e dell’esperienza parrocchiale; e dove tornava
d’estate per un periodo di vacanza e di sensibilizzazione tra i numerosi amici
verso la sua missione; dove aveva percepito una vocazione ancor più amata e
seguita con Cristo senza ripensamenti: alla luce della Parola e dispensando il
pane di Gesù nei sacramenti e nell’amore fraterno; in costante immersione nella
bellezza e nella povertà del “suo” Brasile – da dove partiva non di rado per
corsi di aggiornamento, in altri paesi latinoamericani, che gli ampliavano gli
orizzonti spirituali e mentali già vasti – e in una sobrietà di vita che era un
silenzioso e operoso condividere la condizione dei suoi parrocchiani.
La
memoria di Luiz è fresca non solo dei soli due anni dalla sua morte ma
soprattutto dei ricordi legati alla persona, al credente e al sacerdote che è
stato.
«Luis ha
attinto forza per i suoi compiti dal rapporto vivo con la parola di Dio»: è la
testimonianza di suor Felixine, che aveva collaborato con lui per anni. Il suo
essere estroverso e comunicativo non gli impediva di cercare «sempre il
silenzio per dare spazio alla parola di Dio. Spesso mi colpiva quanto fosse
taciturno, raccolto prima della celebrazione liturgica… Egli portava in sé la
Parola e la elaborava nel suo cuore, e quando era il momento dell’annuncio essa
sgorgava da lui».
E il
vescovo Wilhelm Egger lo ricorda come un dono di Dio per coloro che hanno
imparato ad amare la Bibbia grazie a lui: «Padre Luis è un grande dono
attraverso l’esempio dell’amore verso la sacra Scrittura, che era per lui fonte
di vita… Ancora negli ultimi mesi mi mandava dal Brasile sussidi per il lavoro
biblico».
La sua
sobrietà di vita era nota e ammirata, pur vissuta da lui in austera
discrezione. Raccontò Rosy agli amici, dopo la morte di lui, che il suo modo di
vivere a Tabocas arrivava a regalare alle famiglie più affamate nei periodi di
grande siccità anche l’ultimo pezzo di pane rimastogli, e cedeva agli ospiti il
proprio letto, quando non aveva una camera per loro, accontentandosi di dormire
da qualche parte sul pavimento.
“Fioretti” non di grande eroismo, si dirà; ma
erano segni di quello stile di vita fraterna sempre coerente che confermava in
concreto il suo insegnamento: «La vita ha senso solo se viene condivisa con gli
altri»: il suo desiderio più profondo – e i suoi più vicini lo intuivano – era
quello di «diventare uomo come Gesù, di alienarsi come lui, di liberarsi dalle
certezze, dai legami e dagli impedimenti, per farsi trasformare totalmente da
Dio» e trasmetterne «l’immagine di un Dio che ama».
Le
ultime lettere di Luis, lettere “pasquali”, appaiono realmente segnate dalla
speranza e dalla fiducia, dimostrando in modo impressionante quanto egli avesse
maturato in sé la convinzione che la sua strada della sequela di Gesù era la
strada del condividere, del soffrire insieme e del morire assieme alle persone
affidategli.
Z. P.
1 AA.VV,
Due mondi una vita. Luis Lintner prete fidei donum martire, Editrice
Missionaria Italiana, Bologna 2004, pp. 285, € 13,00. Con p. Martin M. Lintner,
gli altri autori sono Christl Hauger Fink e Francesco Comina, giornalista,
impegnato in Pax Christi.