UN
RISCHIO ANCHE PER GLI ISTITUTI
LA
TENTAZIONE DI CHIUDERSI IN SÉ
Ogni congregazione ha lo scopo di
annunciare al mondo la risurrezione di Cristo. Quando si perde di vista questo
comune obiettivo, la vita consacrata entra in crisi e rischia di arroccarsi
nella propria “torre d’avorio”, diventando una struttura narcisistica.
La vita
consacrata oggi è sotto i riflettori di vari osservatori, interni ed esterni.
Non ultimo il prossimo congresso mondiale che vedrà radunati a Roma, dal 21 al
27 novembre, molti superiori e superiore maggiori appartenenti a diverse
congregazioni, con il tema Passione per Cristo, passione per l’umanità.
L’obiettivo
di questo congresso è quello di «discernere insieme, con la consapevolezza
globale, cosa sta facendo nascere tra noi lo Spirito di Dio, verso dove ci
conduce e, di conseguenza, come rispondere alle sfide del nostro tempo e
costruire così il regno di Dio “per l’utilità comune” (1Cor 12,7)».1 Certamente
si tratta di un obiettivo ambizioso, ma che fa intravedere un forte desiderio
di riscoprirsi in cammino, per arrivare alle cose nuove di Cristo, secondo il
metodo del Vangelo.2
NARCISISMO
COMPETITIVO
E VITA
CONSACRATA
Si
tratta di un invito ad allenarsi a riscoprire il gusto della vita consacrata incarnata
in questa epoca travagliata da così tanti avvenimenti. Abbiamo bisogno di
ritrovare il senso di questa realtà radicata nella storia concreta degli
istituti che cambiano, negli impegni e nelle opere che si riqualificano, nelle
comunità religiose che diventano sempre più transnazionali, a partire però da
un modo nuovo e rinnovato di porsi di fronte alle situazioni che interpellano i
singoli carismi e le diverse realtà.
Il
processo di novità nella vita consacrata ci riporta al significato profondo del
rapporto autentico con il contesto in cui i religiosi e le religiose vivono,
come sistema di rinnovamento non solo per l’individuo ma anche per l’altro con
cui egli è in relazione, sia all’interno della vita comunitaria sia con la
gente a cui si rivolge nel lavoro di evangelizzazione, secondo il carisma di
ogni istituto. Oggigiorno sembra stiano passando di moda termini come
“globalizzazione” o “mondo-villaggio”. Siamo invece in una fase di disincanto,
in cui ci si accorge che non basta semplicemente accendere il televisore o
connettersi ad internet per dire di appartenere alla stessa famiglia umana. Si
può restare affascinati dalle nuove tecnocrazie, ma non è questo che ci
permette di affrontare e superare le problematiche esistenziali che
accompagnano il processo di maturazione di una vera comunione tra le persone.
Occorre invece coinvolgersi in modo nuovo e permanente, per essere voce reale
di una vita consacrata altrettanto reale nel mondo di oggi, sapendo che ogni
difficoltà e ogni crisi può diventare un momento di crescita verso la comune
aspirazione di tutta l’umanità, a vivere pacificati come fratelli e figli dello
stesso Dio.3
L’esperienza
di consacrazione passa attraverso le nuove realtà di questo mondo, attraverso
le situazioni vissute dalla gente a cui si rivolgono i singoli istituti, visto
che ogni congregazione ha come fine ultimo quello di annunciare al mondo la
novità della risurrezione di Cristo. Quando si perde di vista questo comune
obiettivo, la vita consacrata entra in crisi e rischia di arroccarsi nel
proprio “giardino privato” o nella propria “torre d’avorio”, un’affermazione
che ci ricorda il concetto di fondo di una struttura narcisistica.
Parlare
di narcisismo competitivo in questo contesto vuol dire riferirsi a un modo
disfunzionale di intendere il comportamento interpersonale, quando cioè le
persone vivono il proprio impegno di consacrazione restando centrate su se
stesse, sulla propria opera, o sul proprio istituto, esaurendo però lo slancio
trascendente a cui sono chiamate per vocazione.4
È la
tentazione di restare chiusi in se stessi, nei propri programmi e nei propri
progetti, senza aprirsi alla differenza del mondo che li circonda dentro e
fuori delle loro comunità, e senza un reale confronto con la realtà esterna,
vicina e lontana, che si presenta con le sue diversità e con le sue esigenze.
Dinanzi a questa tentazione, le persone possono vivere in modo distorto il
proprio rapporto con l’altro, con una scarsa coscienza della propria e
dell’altrui realtà. Il richiamo a una speranza vera e reale implica la capacità
di proporsi nel contesto delle relazioni, in un modo consapevole e attento alla
propria esistenza e a quella degli altri, in vista di un’azione assertiva di
evangelizzazione che rispetti l’armonia della reciprocità, dove c’è spazio per
l’autonomia delle singole differenze di ognuno (come individui o come istituto
religioso) ma anche per una comune convergenza verso un unico progetto di
salvezza. Per tale autonomia assertiva occorre che le persone si riapproprino
di quella “consapevolezza globale” di sé e degli altri, unita a un impegno per
una realizzazione concreta e creativa che rispetti ciascuno e che sia aperta ad
accogliere le risorse sulla base di scelte consapevoli che tengano conto dei
valori condivisi da tutti nel cammino di conversione reciproca.
DALLA
COMPETITIVITÀ
AL
RISPETTO DELL’ALTERITÀ
La
consapevolezza globale aiuta a porsi in un atteggiamento diverso di dialogo
genuino con l’altro, mentre la globalizzazione intesa come autonomia
narcisistica porta ad atteggiamenti di competitività, di incomunicabilità, di
sopraffazione, di lotta che mira, in ultima analisi, all’eliminazione
dell’altro, del diverso, con tutte le sue differenze.
I
consacrati e le consacrate sono chiamati permanentemente a optare per un’autentica
reciprocità. «Collocate nelle diverse società del nostro pianeta – società
percorse spesso da passioni e da interessi contrastanti, desiderose di unità ma
incerte sulle vie da prendere – le comunità di vita consacrata, nelle quali si
incontrano come fratelli e sorelle persone di differenti età, lingue e culture,
si pongono come segno di un dialogo sempre possibile e di una comunione capace
di armonizzare le diversità».5
La vita
consacrata deve pertanto porsi come alternativa significativa e reale dinanzi
alle attuali sfide in cui essa sente di essere inserita. In un mondo che vede
rafforzate le proprie divisioni, i propri confini e le proprie tradizioni, la
vita consacrata è chiamata a essere segno visibile di fraternità, passando da
una comunione ideale a una condivisione concreta e visibile, vissuta nel
contesto delle comunità religiose e con lo slancio della missione propria ad
ogni singolo istituto.
La
globalizzazione competitiva porta invece le persone a focalizzarsi su se
stesse, riducendo ogni dialogo a uno sterile monologo centrato sulle proprie
cose, con un grosso investimento di energie necessarie per difendere in modo
unilaterale il proprio mondo, senza tenere conto della diversità e della
ricchezza dell’altro.
Tale
tendenza rispecchia il rischio odierno di vedere frantumati i valori e le
prospettive comuni, anche dinanzi alle urgenze che il mondo sta vivendo. I
fatti terroristici dei nostri giorni, la regressione fondamentalista, il
sopruso di un capitalismo del nord che si impossessa delle ricchezze dei paesi
del sud, la difficoltà a perseverare nella vita di coppia e di famiglia,
l’incapacità delle nuove generazioni a fare progetti a lungo termine, sono
indicatori che confermano questa incapacità ad armonizzare la pluralità delle
differenze, con la tendenza ad omogeneizzarle trincerandosi dietro singole
identità che danno sicurezza al proprio gruppo di riferimento.
Da una
posizione narcisista, gli individui, le comunità ma anche gli stessi istituti
religiosi rischiano di esibirsi come “speciali” e agiscono in modo
autoreferenziale, riferiti cioè a scopi e obiettivi fatti a propria immagine e
somiglianza. Nella vita consacrata sono molteplici gli esempi che ci riportano
a tale rischio, soprattutto quando nelle comunità si ha “bisogno” di persone
iperattive e competenti nelle diverse specializzazioni, oppure di progetti a
proprio uso e consumo ma senza un reale riferimento alla spiritualità di
comunione che abbracci la Chiesa intera.6
IL
RISCHIO
DI
ESIBIRSI “SPECIALI”
Il
risvolto di tale posizione nel contesto relazionale è che, lì dove c’è una
ipervalutazione di sé o del proprio progetto di evangelizzazione e di lavoro,
c’è pure una svalutazione dell’altro. Infatti, il ripiegamento su di sé
comporta un senso di impotenza per chi si sottomette e si sente usato,
rimpiazzato da un processo interiore di idealizzazione che porta a una
progressiva dissociazione dal reale. Anche nella vita consacrata, la posizione
di svalutazione di sé comporta un atteggiamento di “ammirazione” dell’altro, di
idealizzazione delle sue cose e dei suoi modi di fare, al punto da lasciarlo
fare senza essere capaci di proporsi come interlocutori autentici ed efficaci.
Tale atteggiamento di sottomissione conferma implicitamente chi assume la
posizione complementare narcisista, rafforzando la sua capacità a dominare con
i suoi progetti, continuando a mantenere la posizione di sé come essere
speciale.
Non
solo, ma occorre anche considerare un altro tipo di atteggiamento che viene
confuso con l’accettazione delle competenze comuni, quello cioè di chi, da una
posizione di superiorità, tende a riversare a senso unico sugli altri le
proprie risorse, rendendoli recettori passivi delle capacità altrui. Il rischio
di tale atteggiamento è che il confratello non viene considerato nella sua
realtà valoriale, nel suo essere “persona”, ma qualcuno da svalutare per
continuare a iper-valutare se stessi. Ciò succede quando i progetti o le
programmazioni comunitarie e individuali sono basate su un grandioso senso di
sé che vittimizza l’altro considerandolo in funzione della propria
realizzazione.7
Tale
condizione narcisistica considera il rapporto con l’altro in modo strumentale
al proprio equilibrio personale e ha tre conseguenze negative sull’intera rete
delle relazioni di un gruppo o di una congregazione, che potremmo così
sintetizzare.8 Anzitutto, le persone tendono a “usare” gli altri, le cose, ma
anche i progetti delle opere di evangelizzazione, in modo unidirezionale.
Secondo, ciò porta a una posizione di dominio nei confronti dell’altro, con
l’implicita pretesa che egli stia lì per accondiscendere alle proprie
aspettative. Terzo, gli obiettivi saranno fini a se stessi, e ci si focalizza
in modo eccessivo sul senso di perfezionismo.9
Il vento
di speranza che il prossimo congresso sulla vita consacrata auspica ci riporta
a individuare il superamento di questa ottica meramente individualistica,
assumendo una prospettiva che consenta, nell’ambito specifico della vita
consacrata, di fare la spola tra la persona, con il suo valore e il progetto vocazionale
che le compete, e il contesto più ampio in cui essa si trova a vivere, il
gruppo, la congregazione, la Chiesa, dove è chiamata a testimoniare l’amore di
Gesù. In tale processo di collegamento, la comunità ha un posto privilegiato,
perché essa diviene laboratorio di condivisione dei valori che permettono a
ciascuno di sperimentare come il progetto di salvezza di Dio è pur sempre
possibile, anzi è un dono che lui continua ad elargire a questa nostra umanità.
Nella
consapevolezza globale le persone sono capaci di accogliere e riscoprire tale
dono. Da una posizione di genuino interesse per l’altro esse riescono ad
incuriosirsi dei loro punti di vista differenti, vedendoli non in competizione
con la propria identità, ma come un’opportunità a imparare qualcosa in più di
se stessi attraverso il confronto con le diversità dell’altro, dandosi così il
permesso di comprendere le cose anche dalla loro prospettiva. Esse saranno
disponibili a riconoscersi come paritarie nel processo di esplorazione
reciproca, sapendo che è possibile aprirsi alle risorse e alle potenzialità dei
fratelli, perché importanti per la crescita comune.
La
chiave di lettura di una sana consapevolezza del processo di crescita e di
testimonianza appartiene alla vera natura della vita consacrata e della chiesa
intera. La speranza per qualcosa di nuovo non è un’invenzione medicamentosa per
sedare le angosce dell’uomo post-moderno, né tanto meno una panacea per non
pensare alle condizioni reali in cui la vita consacrata è chiamata a vivere il vangelo
di Cristo. È una speranza radicata nella certezza che Dio continua ad agire e
ci aiuta a discernere le cose nuove che stanno nascendo all’interno dei vari
istituti, stimolandoci sempre di più a riconoscerle come dono suo.
Giuseppe Crea mccj
1 www.vidimusdominum.org,
Documento di lavoro Congresso 2004, 2.
2 Vita
Fraterna in Comunità 39.
3
Ripartire da Cristo 12.
4 CREA
G. – MASTROFINI F. (2004) Animare i gruppi e costruire la comunità, Dehoniane,
Bologna.
5 Vita
Consecrata 51.
6 Vita
Consecrata 46.
7 CREA
G. (2001), I conflitti interpersonali nelle comunità e nei gruppi, Dehoniane,
Bologna.
8 DE
NITTO C. (2002), Responsabilità comunitaria e narcisismo nel processo di
globalizzazione, in «Psicologia, Psicoterapia e Salute», 8(2), 145.
9 In una
recente ricerca effettuata con un gruppo di religiosi attivi nei servizi di
carità è stato confermato tale rischio di perfezionismo soggettivo per quanti
si dedicano agli altri partendo da questa posizione narcisistica di salvatori
dell’umanità, indipendentemente dal proprio gruppo di riferimento (BAIOCCO et
al. (2004), Il rischio psicosociale nelle professioni di aiuto, Erickson,
Trento).