ASSEMBLEA
CISM AD ASSISI
A
SERVIZIO DELL’UNICA MISSIONE
Aperte nuove prospettive nel confronto
tra istituti di vita consacrata e nuove forme di vita evangelica, movimenti e
aggregazioni ecclesiali. Finita l’epoca dei disagi e delle tensioni? È presto
per dirlo. Ma le premesse di un superamento sono state poste. I possibili temi
della prossima assemblea generale che si svolgerà in Puglia.
«Le
differenze tra carismi antichi e nuovi, fra i nostri istituti, i movimenti
ecclesiali e le nuove forme di vita evangelica non si possono negare e qualche
volta generano tensioni e disagi». Come la diversità «non rallenta la volontà
di comunione», così l’impegno alla comunione e il reciproco riconoscimento non
«vogliono ridurre le differenze appiattendole nella confusione e nella
omologazione». Rettamente intesa e convintamente vissuta, la relazione fra i
diversi carismi non può conseguentemente che rafforzare e arricchire l’identità
di ciascuno. È questo uno dei passaggi più significativi con cui il presidente
don Mario Aldegan120
ha
concluso la 44ª assemblea generale della Cism svoltasi dall’8 al 12 novembre ad
Assisi sul tema: Vita consacrata, nuove forme di vita evangelica, movimenti
ecclesiali: carismi in comunione.1 Il tema si pone in continuazione ideale con
quello svolto lo scorso anno a Valdragone, riguardante il rapporto tra vita
consacrata, chiesa locale e territorio.2
Lo
strumento di lavoro per l’incontro di Assisi3 aveva enunciato una triplice
serie di problemi: il senso e l’opportunità del confronto; la relazione tra la
vita consacrata, nuovi soggetti ecclesiali e chiesa locale; la relazione tra i
singoli membri di vita consacrata e nuovi movimenti ecclesiali, in riferimento
alla responsabilità di governo, aspetto quest’ultimo molto atteso, ma su cui il
canonista Libero Gerosa si è forse troppo soffermato su una premessa più a
monte, ossia la sacra potestas all’interno della Chiesa.
INFONDATE
PRETESE
DI
SUPERIORITÀ
Facendosi
interprete della riflessione e di tutti gli apporti del consiglio nazionale, il
presidente ha aperto e chiuso l’assemblea, non solo in termini formali, di
rito, ma decisamente sostanziali. Esplicitando il senso di un nuovo rapporto
tra vita consacrata e nuovi soggetti ecclesiali, fermamente convinto della
bontà e della necessità di un’operazione ormai sempre più indilazionabile, non
ha avuto assolutamente nessuna remora anche, in un certo senso, nel
compromettersi ufficialmente in quanto andava dicendo. I movimenti ecclesiali e
le nuove comunità, ha esordito, «sono realtà che ci interpellano in quanto
religiosi, perché conoscendoci e stimandoci vicendevolmente, ci riconosciamo
tutti al servizio dell’unica missione della Chiesa».
Ma per
far questo ci sono alcuni passi da compiere che potrebbero rivelarsi anche meno
indolori del previsto. Si dovrebbe anzitutto abbandonare uno stile e un modo di
essere autoreferenziale nella comunità cristiana, fondato su una pretesa di
autosufficienza carismatica. «Abbiamo dedicato anni ed energie nell’impegno di
riscoprire la nostra identità, tornando alle nostre origini carismatiche». Ma
oggi la riscoperta della propria identità passa inevitabilmente anche
attraverso la complementarietà delle vocazioni. Non si tratta di una questione
puramente teorica. Accettarla o meno «porta conseguenze molto pratiche e fonda
prassi differenti nelle scelte strategiche e di governo, nella costruzione di
percorsi formativi». E allora, con molta onestà, di tanto in tanto, ci si
dovrebbe seriamente interrogare sui livelli di autoreferenzialità presenti o
meno nella concretezza di certe strategie di governo nei vari istituti di vita
consacrata.
Con una
convinzione ancora maggiore si dovrebbe definitivamente abbandonare «una specie
di pretesa di superiorità delle nostre istituzioni e realizzazioni su quelle
degli altri, nel nome di varie ragioni: la storia, la radicalità, la totalità
del dono… È questa una tentazione sottile, una specie di veleno di tipo
carsico, che può venir fuori e si manifesta come una sorta di rivendicazione o
di delusione quando altri sono più riconosciuti di noi, hanno una riuscita
migliore della nostra e anche attrattiva vocazionale superiore a quella da noi
esercitata».
Riconoscere
i propri limiti, non significa affatto «cancellare od oscurare i propri meriti,
passati e presenti». Significa semplicemente «assumere la nostra giusta
posizione nella Chiesa di oggi». Se è vero che «noi abbiamo dato molto e ancora
molto possiamo dare», è altrettanto certo che «oggi altri hanno dato molto e,
talvolta più di noi, anche in termini di evangelizzazione». Di fronte a noi non
abbiamo dei “concorrenti” o degli “antagonisti”, né sul piano delle persone, né
su quello delle istituzioni. Più semplicemente, di fronte a noi, ci sono «la
ricchezza e la fantasia dello Spirito», con una sfida che, se accolta di buon
grado, «arricchisce e rinnova anche noi».
Oggi si
vive sempre più in un contesto culturale in cui «sembra diffusa non tanto la
convinzione della “eccellenza” della consacrazione religiosa quanto la sua
“estraneità”, e non solo nella mentalità del mondo ma anche, talvolta, nei
contesti di Chiesa». La vita consacrata, dichiarata, a parole, necessaria e
indispensabile, «in pratica è poco capita, scarsamente apprezzata e non di rado
marginalizzata». Non solo il concetto ma anche la prassi della cosiddetta
radicalità evangelica di cui, in tanti ambienti di vita consacrata si pensava
di avere il monopolio, di fatto «è saltato, sia perché la nostra radicalità non
è poi così evidente e credibile, sia perché nuove forme di vita evangelica e
movimenti ecclesiali hanno spesso una loro radicalità, con caratteristiche più
visibili, che vivono e testimoniano con entusiasmo».
Per
quanto possa dispiacere, bisogna avere il coraggio di ammettere che «spesso non
intercettiamo più le domande spirituali, ma rincorriamo bisogni sociali.
Rischiamo di imbalsamare la nostra identità intorno alle cose che facciamo,
piuttosto che approfondirla e rinnovarla costantemente intorno al carisma.
Siamo poco allenati alla flessibilità e rischiamo di dare risposte per noi e
non per il mondo».
L’ATTRATTIVA
DEI
NUOVI MOVIMENTI
Invece
di «macerarci dentro i nostri problemi», si dovrebbero responsabilmente
riscoprire i fondamenti teologici dell’ecclesiologia di comunione da una parte
e della missione dall’altra, sui quali si fonda l’urgenza e la ineludibilità di
un confronto con le nuove forme di vita evangelica e con i movimenti
ecclesiali. «Siamo in un’epoca di secolarizzazione così ampia che la realtà dei
religiosi e dei consacrati per molti, soprattutto per i giovani, sembra quasi
non avere alcun significato. Per certi aspetti rischiamo di scomparire
dall’immaginario e dai significanti delle nuove generazioni». Se si vuole che
la fede torni ad incidere positivamente sulla vita di tutti i giorni, se sulla
scia degli insegnamenti di Paolo VI e di Giovanni Paolo II si vuole
“evangelizzare la cultura”, non è più assolutamente possibile attestarsi su
posizioni di autoreferenzialità o di autosufficienza.
Da dove
nasce, si è chiesto ad un certo punto don Aldegani, la notevole attrattiva e la
capacità aggregativa presenti nei movimenti ecclesiali e nelle nuove forme di
vita evangelica, una attrattiva che invece spesso «appare affievolita o poco
convincente nelle forme carismatiche tradizionali?». Per quanto il problema si
presenti molto complesso e suscettibile di sempre nuove e più ampie
interpretazioni, la risposta è stata immediata: questa maggiore attrattiva
nasce dalla freschezza del fenomeno, dalla presenza autorevole dei fondatori
ancora viventi, dall’agilità di strutture organizzative, dalla familiarità
immediata con alcune sensibilità proprie del mondo contemporaneo, dalla
chiarezza della loro proposta.
Cercando
di evidenziare ulteriormente le differenze più significative tra i modelli di
spiritualità dei nuovi soggetti ecclesiali e quelli sostanzialmente più tradizionali,
è fuor di dubbio che nei primi prevale una spiritualità più esperienziale e
meno dottrinale, una spiritualità di cammino più che di
posizione-perfezione-imitazione, una spiritualità non per categorie ma
trasversale che riguarda preti e laici, bambini e adulti, donne e uomini, una
spiritualità spesso anche più ecumenica, una spiritualità che si nutre in modo
forte, primario, letterale, e spesso anche fondamentalista, della Bibbia, una
spiritualità che sa leggere, anche qui a volte in termini fondamentalistici,
«la presenza di Dio come filigrana della propria esistenza».
Perché
non riconoscere onestamente, ha osservato don Aldegani, come questa rilettura,
anche se molto parziale ma non necessariamente unilaterale, di alcune
caratteristiche dei nuovi soggetti ecclesiali, possa «darci qualche lume nelle
nostre proposte di animazione delle comunità, nelle nostre strategie di governo
e, soprattutto, nella cura che siamo chiamati ad avere degli ambienti e dei
percorsi formativi»? Perché non interrogarsi più a fondo sulla riconosciuta
“fecondità vocazionale” di questi nuovi soggetti ecclesiali, una fecondità che
forse «si potrebbe dire proporzionale alla loro capacità missionaria»?
Ma
allora, ci si potrebbe chiedere, “tutto bene” nei nuovi movimenti ecclesiali?
Non proprio, ha risposto don Aldegani. È innegabile a volte un certo
esclusivismo. Mentre «noi abbiamo superato il concetto e il problema della
doppia appartenenza quando un religioso fa parte di un movimento, non credo,
per esempio, che sia possibile per un cristiano essere focolarino e ciellino
nello stesso tempo». È quindi possibile che una certa interpretazione del
cristianesimo, in questi movimenti, assuma le forme prima di una invadenza e
poi quelle di una esclusività vera e propria. E tutto questo può essere
favorito anche da un frequente atteggiamento con cui ci si accosta ai testi dei
propri fondatori, ritenuti di fatto più importanti del testo biblico stesso. Il
movimento che si professa ufficialmente come una mediazione verso il cristianesimo,
di fatto «ne diventa il sostituto», confondendo quindi il fine con i mezzi. Ma
il limite più grosso anche per questi nuovi soggetti ecclesiali, più ancora che
per gli istituti di vita consacrata, è forse quello della autoreferenzialità, e
a questo riguardo, «i conti si cominceranno a fare con la scomparsa dei
fondatori e della prima generazione».
MENO
ENFASI
E PIÙ
CORAGGIO
Al di là
comunque di questi e di altri limiti, è importante chiedersi cosa fare. Ora il
problema per un istituto di vita consacrata non è tanto quello di riciclarsi in
termini movimentistici. Più semplicemente si tratta di convincersi che «in
queste nuove realtà c’è dentro il meglio della nostra storia e della nostra
tradizione, forse anche qualcosa di quello che noi abbiamo perduto e che, se ne
siamo capaci, potremmo utilmente recuperare». In questo senso viene
inevitabilmente ridimensionato anche il problema della “doppia appartenenza” di
un religioso al proprio istituto e a un eventuale movimento ecclesiale. «Se un
rapporto con una determinata realtà ecclesiale nuova è autentico, ha osservato
don Aldegani, esso non potrà che suscitare un sincero entusiasmo anche per il
proprio carisma e tener vivo un desiderio di fedeltà e di rinnovamento anche
per il proprio istituto». Una testimonianza spontanea, autorevole e
significativa in tal senso si è avuta con l’intervento di p. Raniero
Cantalamessa, seguito da un uditorio attentissimo e raddoppiato per
l’occasione, essendo stati invitati anche i consacrati e le consacrate della
regione umbra.
Pur
consapevoli delle tensioni e delle difficoltà che un confronto e l’eventuale
adesione di un consacrato a un movimento ecclesiale può comportare, «oggi però,
ha insistito don Aldegani, siamo chiamati a un passo avanti e a domandarci,
positivamente: come possiamo crescere nel dialogo, nella collaborazione, nella
comunione con le nuove forme di vita consacrata?». Piuttosto che lasciarsi
guidare da prevenzioni o perdersi in sterili polemiche «occorre avere il
coraggio di un’autentica comunione fraterna, piena di stima e di fiducia
reciproca».
A questo
scopo e in questa stagione della Chiesa «è forse opportuno ridurre un po’
l’enfasi sul carisma e sulla spiritualità propria per formare e formarsi in
modo più insistito e convinto a una spiritualità di comunione». Senza lasciarsi
condizionare dalla paura di perdere tempo e di sprecare energie in ordine
all’approfondimento della propria identità, è sempre più urgente oggi
«predisporre percorsi formativi che abbiano a cuore la conoscenza, l’incontro,
l’esperienza degli altri carismi».
È una
strategia questa da recuperare anche a livello di governo, non lasciando nulla
di intentato in tutto ciò che può aiutare gli istituti di vita consacrata a
«maturare progetti, elaborare decisioni in relazione e dialogo con gli altri
soggetti ecclesiali, con i laici, con la Chiesa locale, con il territorio».
Certo,
ad Assisi il confronto è stato tutto a senso unico, senza la presenza degli
interlocutori. Quanto sia stata recepita la spinta venuta dai lavori
dell’assemblea a rapportarsi in termini decisamente più propositivi nei
confronti dei nuovi soggetti ecclesiali è tutta da verificare. Il rischio di
dimenticarsene in fretta è reale, anche perchè forse i problemi che stanno più
a cuore a tanti superiori provinciali sono altri. A cominciare, ad esempio, dai
due possibili temi per la prossima assemblea: la collaborazione fra i vari
istituti, che potrebbe rivelarsi non meno problematica del dialogo con i nuovi
soggetti ecclesiali, oppure il tema non meno scottante del ruolo del superiore
maggiore e del suo consiglio. Oltretutto la prossima assemblea sarà anche
elettiva.
Una
occasione in più, questa, per interrogarsi a fondo sulla reale consistenza,
sulla visibilità e sugli obiettivi di un organismo sempre più accreditato, anche
istituzionalmente, presso tutte le più significative realtà ecclesiali
italiane.
Angelo Arrighini
1 “Vita
consacrata e nuovi soggetti ecclesiali in dialogo” (don Mario Aldegani),
“Conference’s day” (p. Fidenzio Volpi), “Vita consacrata, nuove forme di vita
evangelica, movimenti ecclesiali in una ecclesiologia di comunione: prospettive
di collaborazione” (mons. Libero Gerosa), “Per una crescita nella vita dello
Spirito: l’esperienza all’interno del Rinnovamento dello Spirito”
(testimonianza di p. Raniero Cantalamessa), “Nuove forme di vita evangelica e
movimenti ecclesiali: quali provocazioni alla vita consacrata?” (prof.
Salvatore Abruzzese), “Intercettare la domanda di senso del nostro tempo: quale
risposta da movimenti e aggregazioni ecclesiali?” (testimonianza del dott.
Orazio Petrosillo).
2
Presenza da ridefinire, in Testimoni 20/2003, 4.
3 Cf.
Testimoni 18,/2004, 21-22.