SULLE RIVE BENEDETTE DEL TEMPO

 

Nell’intenzione divina il tempo dei credenti è un tempo ritmato, un tempo altro

e santo da vivere altrimenti, da santi, perché il Signore nostro Dio è santo.

 

Ci sono stagioni in cui il normale succedersi degli anni si colora di accenti inediti, facendo riscoprire la novità che può abitare persino il più consueto dei giorni.

Il cristianesimo, radicato fin dalle origini in quella sapiente architettura del tempo che è la storia di salvezza narrata già nell’Antico Testamento e celebrata nelle festività ebraiche, è da sempre attento a considerare lo scorrere del tempo non come un ciclico succedersi di eventi e stagioni, ma come la rinnovata opportunità per l’irruzione dell’eterno nella storia.

In Gesù Cristo, la parola di Dio fattasi uomo, il tempo è diventato una dimensione presente in Dio, il Dio vivente ed eterno; il tempo è stato totalmente santificato.

Ora, che significa “santificare il tempo”?

Dio, prima ancora di indirizzare a Israele l’invito «Siate santi perché io, il Signore Dio vostro, sono santo» (Lv 19,2), già nell’«in principio» della sua opera creazionale, a compimento dell’opera in sei giorni, chiamò, rese santo il tempo facendo di un giorno, il sabato, il giorno “altro”. Sta infatti scritto: «Dio benedisse il settimo giorno e lo fece santo» (Gen 2,3).

Questo, commentano i rabbini, è avvenuto per ricordarci che la santificazione del tempo è possibile innanzitutto grazie e una intenzione del Creatore, e che la santificazione dell’uomo inizia con il rendere santo, altro, il tempo. «Siate santi», allora, significa «siate altri», siate capaci di sottrarvi alla seduzione idolatrica quotidiana, quella che impedisce di vedere oltre, di essere “altrimenti”, di sentire l’inenarrabile, di credere all’indicibile. E, di conseguenza, santificare il tempo significa viverlo altrimenti, vivere quel tempo nell’intenzione voluta da Dio, significa soprattutto affermare che non solo c’è un giorno che sta alla fine del tempo ma che il fine, lo scopo del tempo è questo: vivere in comunione con Dio.

Il tempo ha dunque un senso preciso, perché il settimo giorno è il destino dell’uomo e di tutta la creazione: anticipazione escatologica per tutta l’umanità, il settimo giorno è liturgia di tutta la storia, trasfigurazione del cosmo intero.

Nell’intenzione di Dio, il tempo del credente è un tempo ritmato, un tempo altro e santo: scandito da un giorno santo ogni settimana, il sabato, da un anno santo ogni settimana di anni, l’anno sabbatico, da un anno santo ogni sette settimane di anni, il giubileo.

In questo modo Dio ha voluto porre un impedimento a relegare nello spazio mitico, inaccessibile, la santità, l’essere “altrimenti” dell’uomo.

È questo il senso profondo delle festività cristiane e, attorno ad esse, del semplice scorrere dell’anno liturgico: dall’Avvento che trasforma la memoria della venuta del Signore nella carne in invocazione del suo ritorno nella gloria, al tempo del Natale, in cui questa presenza di Dio in mezzo agli uomini si fa “epifania”, manifestazione culminante nella danza trinitaria sulle acque del fiume Giordano; dai quaranta giorni della Quaresima – in cui i cristiani sono invitati a convertirsi al loro Signore, ritornando a lui nei semplici gesti di ogni giorno: il mangiare, il parlare, il lottare, il condividere... – fino alla settimana di Passione che sfocia nella veglia madre di tutte le veglie, la santa Notte della Risurrezione; dai successivi quaranta giorni che conducono all’Ascensione, fino al compimento della Pasqua nell’effusione dello Spirito al mattino di Pentecoste e alla successiva celebrazione della comunione d’amore trinitaria.

Attorno a questi misteri della nostra salvezza, illuminati dalla luce del Risorto, e in attesa della trasfigurazione di ogni creatura, noi ritroviamo la Vergine Maria e Giovanni il Battista, coloro che hanno unito nelle loro vite Antica e Nuova Alleanza, incontriamo Pietro e Paolo e tutti i santi, memorie viventi della buona notizia del Vangelo di Gesù.

Così, plasmati alla fede da questi misteri liturgici, accompagnati per mano da questa nube di testimoni, giungiamo nella pace a riscoprire le nostre umili radici, il nostro non essere migliori dei nostri padri, il nostro sereno ritornare a quella terra da cui siamo stati tratti e che abbiamo tanto amato.

Enzo Bianchi

da Dare senso al tempo, Qiqajon/Bose, 2003.