I FRATELLI MARISTI DELLE SCUOLE
UN ANNO VOCAZIONALE
Tutto l’istituto è invitato a impegnarsi nell’animazione vocazionale. In
ogni ambiente bisognerà cercare di creare una cultura delle vocazioni, dove
queste possano sbocciare e crescere. Ma altrettanto decisivo è saper cogliere
le domande che vengono dal mondo giovanile d’oggi.
L’animazione vocazionale è per tutti
gli istituti uno degli impegni prioritari inseriti con grande evidenza nel loro
programma. Ma come tradurla in atto?
I Fratelli maristi delle scuole,
l’istituto fondato da san Marcellino Champagnat nel 1817, di cui oggi è
superiore generale fr. Seán Sammon, hanno ritenuto di dedicare ad essa un anno
intero, un Marist Vocation Year (anno vocazionale marista), ricordando quanto è
scritto anche nelle costituzioni: «La vitalità del nostro istituto si manifesta
nella nostra fedeltà personale, la nostra fecondità apostolica, nel risveglio
delle vocazioni».
L’anno ha avuto inizio l’8 settembre
scorso e ad aprirlo è stato lo stesso fr. Sammon con una lettera inaugurale dal
titolo programmatico Rekindling the fire!, (riaccendere il fuoco) in cui
sostiene che l’animazione vocazionale è importante poiché anche oggi il Signore
continua a toccare il cuore dei giovani e a chiamarli a una grande varietà di
vocazioni nella Chiesa, compresa quella di fratello marista.
VOCAZIONI
PER LA MISSIONE
Ma perché promuovere vocazioni verso
l’istituto? Certamente, afferma fr. Sammon, non per la sola sopravvivenza. Il
problema vocazionale non può ridursi a una semplice questione di numeri, tanto
più che «il numero elevato dei membri di un istituto non è necessariamente un
segno di efficacia e nemmeno l’età è sempre la miglior misura della sua
vitalità». Piuttosto «la ragione per cui vogliamo risvegliare le vocazioni è il
nostro zelo per la missione». Così infatti è stato fin dagli inizi. San
Marcellino, infatti, nel fondare la comunità dei fratelli aveva chiara in mente
la missione.
Per dare un senso pieno a questo anno e
fare in modo che la promozione delle vocazioni sia realmente una priorità, fr.
Sammon chiede che la maggioranza dei fratelli, o meglio tutti, abbiano a
rivedere i loro impegni così da riservare il 20% del proprio tempo migliore a
questa grande opera. È una richiesta esigente. In sottofondo, scrive di sentire
già le ragioni di chi non intende coinvolgersi più di tanto: la mancanza di
tempo, le esigenze del ministero, l’età. È una litania già sentita, sottolinea
fr. Sammon, ma, precisa, «se voi e io vogliamo un futuro per la missione e la
vita del nostro istituto, dobbiamo evitare di avanzare delle scuse e impegnarci
invece con entusiasmo durante quest’anno per la promozione delle vocazioni».
Si rivolge quindi ai laici, chiedendo
loro di unirsi a questa iniziativa, sia per far conoscere ai genitori, ai
giovani e, in senso più ampio, alla Chiesa il significato della vocazione, sia
per far conoscere loro la natura e il servizio dell’istituto all’inizio di
questo nuovo millennio.
Ma, in un istituto presente in 77 paesi
del mondo e molto diversificati tra loro per condizione sociale, religione,
sistemi politici, è possibile, si domanda fr. Sammon, parlare in modo
convincente su questo argomento al mondo dei giovani?
radicalità
nell’annuncio
A suo parere, tutto dipende dal genere
di discorso che viene loro proposto. Uno sbaglio sarebbe quello di edulcorare
il senso della vocazione credendo di renderla più attraente. In realtà è
proprio ciò che i giovani rifiutano.
Fr. Sammon racconta a questo proposito
un episodio che gli è capitato durante un viaggio in Australia. Mentre visitava
una scuola, incontrando i giovani osservò che anche in questo paese, come in
tanti altri, sono pochi coloro che scelgono la vita religiosa e chiese loro di
aiutarlo a comprenderne le ragioni. Uno di loro, di nome George, rispose:
«Seán, il problema in parte sta nel fatto che la vostra generazione non parla
più alla nostra di sacrificio». Era una risposta del tutto inattesa. «La vostra
vita, continuò George, è una vita di sacrificio, tutti lo possono vedere. Ma i
fratelli continuano a dirmi che è così in qualsiasi genere di vita. Ma se è una
vita come tutte le altre, perché dovrei dedicare ad essa la mia esistenza?».
Che insegnamento se ne può dedurre? Che
non dobbiamo presumere, osserva fr. Sammon, di sapere già in partenza, magari
prigionieri dei nostri schemi mentali, ciò che i giovani pensano, specialmente
quando vengono alla vita religiosa. È triste, ma spesso capita così. Peggio
ancora, a volte accettiamo acriticamente ciò che dicono i media riguardo ai
loro atteggiamenti e ai loro punti di vista. Ma se provate a parlare
direttamente con dei giovani e delle giovani, spesso ne ricaverete
un’impressione del tutto diversa, come appunto rivela l’episodio appena
descritto.
Stando con i giovani, inoltre, si
scopre che gli elementi che a loro modo di vedere costituiscono la struttura
portante della vita religiosa sono la missione, la comunità e la preghiera. La
generazione passata, osserva fr. Sammon, pur non ignorando gli ultimi due
elementi, metteva maggiormente l’accento sul primo, ossia la missione.
La conseguenza è che la generazione di
mezzo dei fratelli, che ha dedicato la propria vita al servizio, si sente preoccupata
di queste domande circa la spiritualità, Gesù, la preghiera, la fede. Ha
l’impressione che questi giovani vogliano prendere le distanze dalla missione
per rifugiarsi in una spiritualità concentrata sul binomio “Dio e io”. Ma,
osserva fr. Sammon, gli interrogativi che questi giovani ci pongono possono
condurci a un risultato diverso: possono aiutarci a orientarci verso una
spiritualità capace di parlare alle menti e ai cuori della gente di oggi. Forse
il risultato del loro disagio verso lo status quo può costituire per noi la
scoperta di un nuovo modo di lodare il Signore.
CHIAREZZA
DI IDENTITÀ
Invitando un giovane ad abbracciare il
nostro genere di vita, prosegue fr. Sammon, dovremmo essere in grado di dirgli
che cosa ci caratterizza e cosa ci rende diversi dagli altri gruppi nella
Chiesa. In una parola, la nostra identità deve essere chiara e la nostra
missione ben definita. Ma per giungere a tanto dobbiamo fare delle scelte per
quanto riguarda il nostro stile di vita e la nostra missione nell’istituto.
Molti giovani oggi desiderano dedicare
la propria vita a qualcosa che richieda passione e impegno. Così anche per
coloro che manifestano interesse per la vita religiosa: desiderano qualcosa che
vada oltre il loro piccolo mondo, cercano un modo di vivere che faccia la
differenza. In concreto, ciò significa voler servire Dio in maniera radicale, e
assieme ad altri.
Essi non hanno difficoltà ad ammettere
che la comunità possa essere vissuta in una varietà di modi, ma, allo stesso
tempo, vogliono vivere insieme ad altri, non in maniera puramente casuale, ma
per condividere con loro la stessa visione e i medesimi valori. Desiderano far
parte di una comunità in cui il reciproco interesse e il sostegno vicendevole e
la vita di preghiera siano il fondamento del loro servizio.
Più ancora, questi giovani desiderano
parlare di Gesù, della preghiera, della vita di fede e di ciò che significa
avere un rapporto con Dio che esige sacrificio. Rimangono invece confusi quando
trovano qualcuno di noi stranamente silenzioso su questi argomenti. In modo
speciale, essi desiderano una vita religiosa che sia esigente.
Continuando il discorso sui giovani
d’oggi, fr. Sammon sottolinea che essi sono convinti che Dio desideri da loro
una vita autentica e abbiano a essere felici. Non bisogna pertanto credere
troppo in fretta che questa ricerca di felicità non sia altro che una chiusura
in se stessi. Dopo tutto, il contrario della felicità non è la tristezza, ma il
disanimo.
IMPEGNO DEFINITIVO
E CASTITÀ
Le vite dei santi non ci insegnano che
la sofferenza rende felici? Ci aiutano a capire che incamminandoci sulla via
della santità facciamo anche noi un’esperienza di felicità in cui la sofferenza
non costituisce necessariamente un ostacolo.
La vita religiosa è perciò più adatta
per coloro che desiderano fare della vita una sfida, abbracciandone i sacrifici
e gli impegni. Se un giovane manifesta poco interesse a questi aspetti, è
meglio consigliarlo di guardare altrove. La vita religiosa attuale non deve mai
diventare un rifugio per coloro che cercano una vita comoda.
Ma, prosegue fr. Samon, ci sono altri
due aspetti da tenere presenti per la confusione che può nascere nei giovani
che manifestano interesse per il nostro genere di vita. Il primo riguarda
l’impegno definitivo e il secondo la castità celibataria e la sessualità.
Anzitutto l’impegno definitivo. La
pastorale vocazionale richiede che si metta in questione il modo di pensare
comune a questo riguardo. In diverse parti del mondo, come ad esempio in
Europa, nord America e Pacifico, sappiamo che molti giovani sono restii a
radicarsi. La loro ritrosia è dovuta, in parte, all’esperienza vissuta negli
anni della loro crescita: la disintegrazione della famiglia e il crollo di
alcune istituzioni venerande. Molti inoltre pensano di sentirsi più liberi se
tengono aperte le loro opzioni. Si tratta di un’idea sbagliata. Dobbiamo
rassicurare questi giovani che gli impegni definitivi sono del tutto
compatibili con la libertà. La vera libertà, dopo tutto, significa
autodeterminazione. Non c’è modo migliore per raggiungerla.
In secondo luogo, la castità
celibataria. In passato se uno chiedeva a un fratello perché avesse scelto una
vita di castità celibataria avrebbe forse ricevuto questa risposta: «Per il
regno di Dio; per amare tutti e non solo una persona; per essere più
disponibile». Il più delle volte la discussione finiva qui. Ma i tempi sono
cambiati. Oggi queste risposte del passato, per quanto valide, difficilmente
saranno in grado di soddisfare i giovani contemporanei. In più si sono aggiunti
i recenti scandali della pedofilia e degli abusi sessuali da parte di preti e
religiosi. Tutto ciò ha indotto un certo numero di persone a chiedersi se la
castità celibataria è un modo sano di vivere la sessualità.
Sotto questo punto di vista, occorre
tenere presenti due aspetti, sottolinea fr. Sammon. Il primo è che gran parte
della gente si interessa della castità celibataria per curiosità. Infatti sono
pochi coloro che scelgono di vivere questo genere di vita.
Il secondo è che nel rispondere a queste
domande, bisogna ricordare che noi non siamo persone asessuate. La castità
celibataria è uno dei modi di vivere come persone sessuate. Al cuore della
nostra vita di castità celibataria c’è la vita spirituale, ci sono la
disciplina, l’ascesi, la solitudine e il senso di umorismo, elementi
indispensabili per vivere in pienezza questo genere di vita.
Ci sono poi persone che sono curiose di
sapere che posto ha l’intimità nella nostra vita. Si domandano: è possibile una
vera intimità nella vita religiosa? La miglior risposta a questa domanda è la
presenza nell’istituto di persone equilibrate e di veri amici e la capacità di
essere in relazione gli uni gli altri.
Nell’ultima parte della lettera fr.
Sammon invita a favorire lo sviluppo di una cultura delle vocazioni, ossia far
crescere un ambiente in cui la vocazione possa mettere radice e fiorire.
Inoltre esorta a definire, o a rivisitare, qualora già esistesse, un piano
vocazionale a livello di province o distretti, che aiuti a mettere in atto
tutto ciò che è possibile fare per suscitare vocazioni desiderose di
condividere lo stato di vita e di servizio dell’istituto.
L’anno vocazionale aperto lo scorso 8
settembre si offre quindi come un’occasione favorevole per attendere a questo
importante impegno.
A.D.