IN ALGERIA
LA CHIESA RINASCE
La chiesa d’Algeria, dopo la bufera
degli anni 1994-96 durante i quali sono stati assassinati 19 religiosi e
religiose, tra cui i 7 monaci di Thibirine e il vescovo di Orano, mons. Pierre
Claverie, si sta ora lentamente riprendendo. Ne è prova l’assemblea
interdiocesana delle quattro diocesi del paese – Algeri, Costantina, Orano e
Laghouat – che ha potuto riunirsi per la prima volta, dal 22 al 25 settembre
scorso, per riflettere sul significato della presenza e della missione della
Chiesa in terra algerina e il suo futuro. La riunione ha avuto luogo nella sede
della diocesi di Algeri e ha visto la partecipazione di 120 delegati venuti da
tutte e quattro le diocesi.
Punto di partenza della riflessione è
stato un interrogativo posto dai vescovi circa un anno fa a tutta la comunità
cristiana: «A quali nuove tappe spirituali e apostoliche siamo chiamati in
quanto chiesa d’Algeria?». All’elaborazione delle risposte hanno preso parte
sacerdoti, religiosi e religiose, laici sia d’Algeria che provenienti
d’altrove, in particolare studenti subsahariani, suddivisi in 80 gruppi di
lavoro. Poi, nell’imminenza dell’estate, i risultati della riflessione erano
stati trasmessi al comitato di coordinamento, da cui è stato ricavato un
dossier di 200 pagine, consegnato poi all’assemblea.
La riflessione si è sviluppata tenendo
presenti vari aspetti. Anzitutto si è riflettuto sulla «paura che si può
provare nell’entrare in una nuova dinamica, con tutte le rotture che essa può
comportare», vale a dire le incertezze che pesano sul domani, la diversità
delle sensibilità spirituali e apostoliche. Si è preso anche coscienza che si
sta profilando un «nuovo avvenire» dopo gli anni bui della crisi, grazie anche
all’arrivo di nuovi cristiani, in particolare studenti subsahariani.
In secondo luogo si è cercato di
ripercorrere la storia del cristianesimo in Algeria per riscoprirne le radici.
I delegati hanno riletto il passato a partire dagli antichi martiri della
Numidia e, passando attraverso l’arrivo delle suore e dei padri bianchi nel
1868, dei Piccoli fratelli e sorelle di Gesù, fra il 1933 e il 1939 e di tutta
la famiglia foucauldiana, sono giunti fino al recente martirio dei 19 religiosi
e religiose dello scorso decennio. Poi con l’aiuto di alcuni universitari
algerini hanno preso in considerazione l’evoluzione attuale della società
algerina, con particolare riferimento al piano ecclesiale, che attualmente è
caratterizzato da due nuovi fenomeni: la presenza dei migranti dall’Africa
subsahariana che attraversano l’Algeria alla ricerca di un passaggio verso
l’Europa e il rapido diffondersi delle nuove comunità ecclesiali non
cattoliche, soprattutto evangeliche, in alcune regioni, soprattutto nella
Kabylia.
È in questo contesto – in cui sono
state evocate anche le conseguenze della mondializzazione – che l’assemblea si
è interrogata sul significato della missione e della presenza della Chiesa in
Algeria. Si tratta di una presenza numericamente debole e spiritualmente
provata dopo i tragici avvenimenti degli anni recenti. Condotta a diventare
semplicemente «segno e serva del dono di Dio per tutto il popolo» e «strumento
di accoglienza del dono che Dio ha fatto all’altro», come ama ripetere spesso
mons. Teissier, arcivescovo di Algeri, la Chiesa non ha altra pretesa che di
«servire la tenerezza di Dio». Percepita come un «segno di contraddizione», e
una «minaccia», essa può essere allora anche «una promessa e un segno di
speranza» per tutti i musulmani.
I delegati all’assemblea hanno
confermato che per essi non c’è altro modo di vivere la loro vocazione e la
loro missione che quello dell’incontro, diventare «sacramento dell’incontro» o
meglio «persone sacramento» come insegna il Vangelo raccontando gli incontri di
Gesù nel suo ministero in Galilea.
Nello scambio in assemblea è emersa la
convinzione che occorre ormai passare a un’altra tappa e che il testimone, poco
alla volta, dovrà essere consegnato a uomini e donne che non hanno
necessariamente vissuto la medesima epoca storica – quella della
decolonizzazione; essendo più giovani e venendo da orizzonti diversi, essi
potranno aprire porte rimaste finora chiuse. Come si legge nel messaggio
finale, i vescovi insistono su questa opportunità: «La molteplicità delle
nostre origini dovrebbe permetterci di mostrare che il cristianesimo non è
riservato solo agli europei».
Un problema nuovo e imprevisto, davanti
al quale si trova ora la Chiesa d’Algeria, è l’arrivo in questi ultimi tempi di
comunità missionarie non cattoliche, provenienti da oltre oceano, derivazione
delle chiese americane indipendenti, soprattutto evangeliche e pentecostali, di
tendenza fondamentalista, molto aggressive dal punto di vista del proselitismo.
Il fenomeno è presente soprattutto nella Kabylia dove trova un terreno adatto
nel senso che qui la popolazione nutre un’avversione profonda e congenita
contro l’islam. In questa regione, nel solo 2004 si contavano 200 di queste
comunità, ma il fenomeno è diffuso anche nel vicino Marocco e in altre parti
dell’Africa.
Commentando questo fenomeno, mons.
Teissier ha detto che il ritorno alla competizione religiosa è un fatto molto
grave. Da parte sua, la Chiesa cattolica in Kabylia intende avere come parola
d’ordine la non ostilità tra cristiani. «Noi crediamo, ha detto il vescovo,
agli elementi della gratuità della testimonianza».
Guardando alla situazione della Chiesa
in Algeria e confrontandola con la storia passata, non si può non sentirsi
stringere il cuore. A partire dal 42 dopo Cristo fino al termine dell’XI secolo
il cristianesimo era stata una realtà importante della società algerina. Nel IV
secolo, al tempo di sant’Agostino, quindi ben prima dell’avvento devastante
dell’islam, vi erano 700 arcivescovadi (espressione da non intendersi tuttavia
necessariamente come diocesi nel senso attuale). Molti algerini ancor oggi
considerano questa eredità come un patrimonio comune della loro identità. In
ambiente berbero esso è a volte anche più profondo di quello derivato dalla
conquista musulmana del VII secolo.
Fino agli inizi del 1960, al tempo
della lotta per l’indipendenza, la comunità cristiana era ancora numerosa e
aveva fatto causa comune con i musulmani. Poi, nel 1962, si è assottigliata con
la partenza di un milione di europei, quasi tutti cristiani, e alcune migliaia
di algerini, anch’essi cristiani. Circa 700 chiese sono state allora
trasformate in moschee, centri culturali e scuole. Durante la crisi tra il 1993-1996,
che ha mietuto più di 100.000 vittime, i cristiani ancora presenti a titolo di
cooperazione e la metà delle comunità religiose femminili hanno lasciato
anch’essi il paese. Ora la comunità cattolica è costituita in tutto da 2.000 a
3.000 fedeli, assistiti da 110 preti e 170 religiose, distribuiti nelle quattro
diocesi sopra nominate. Abbastanza numerose sono anche le comunità religiose
sia maschili che femminili, oltre ad alcuni movimenti e associazioni.