VERSO IL CONGRESSO SULLA VITA CONSACRATA

UNITI NELLA DIVERSITÀ

 

Un coraggioso ventaglio di riflessioni sulla vita consacrata. È il contributo che viene dall’area di lingua spagnola nella rivista Vida religiosa ai lavori del congresso internazionale di novembre. Una onesta autocritica delle tante paure di oggi fa emergere i valori irrinunciabili della vita consacrata.

 

Il 23 novembre si aprirà il congresso internazionale sulla vita consacrata. Gli 800 partecipanti, di cui oltre 500 sono donne, rappresentano 400 congregazioni diverse e provengono da 130 paesi. Suddivisi per continente, troviamo 300 europei, 230 americani (nord, centro, sud), 100 africani e 100 asiatici. Rispetto al precedente congresso internazionale del 1993 organizzato interamente dall’unione dei superiori generali, in vista del sinodo sulla vita consacrata, questa volta si è aggiunta anche l’Unione delle superiore generali. Nel 1993, su 400 partecipanti, quasi tutti europei (meno di una decina gli africani, e meno ancora gli asiatici e i latino-americani), si contavano solo 25 religiose.

Anche questi pochi dati evidenziano i vistosi cambiamenti del prossimo congresso di cui, almeno sulle riviste di vita consacrata, si sta parlando con una certa insistenza.

Una delle riviste che ha prestato maggiore attenzione al documento di lavoro Passione per Cristo. Passione per l’umanità è sicuramente Vida religiosa. Nel numero di maggio-giugno il tema del congresso è stato commentato da alcuni tra più autorevoli autori di lingua spagnola. Rileggendo questi brevi interventi è proprio il caso di dire che il congresso è già iniziato. L’auspicio del segretario generale dell’Unione dei superiori generali nonché segretario generale del congresso, J. M. Arnaiz sm, è quello di poter parlare sia di un “prima” che di un “dopo” della vita consacrata al termine del congresso. Se sarà veramente così è ancora presto per dirlo. E già comunque importante «cominciare ad aprire gli occhi, scoprire il nuovo che alcuni religiosi e religiose hanno incominciato ad attuare sotto l’azione dello Spirito». Non è più assolutamente possibile ridursi a degli “esercizi di sopravvivenza” delle proprie opere e delle proprie istituzioni. È un obiettivo troppo grande? «Non credo, risponde. Dobbiamo solo chiedere al Signore ciò di cui abbiamo bisogno e incominciare a viverlo».

I religiosi e religiose, osserva il presidente dell’Unione dei superiori generali, Á. R. Echeverría, dovrebbero essere «più un grido dell’assoluto di Dio che non dei funzionari». Non basta essere significativi sul piano delle opere e della professionalità, se prima non si è significativi sul piano evangelico. Non avendo interessi materiali da salvaguardare, dai religiosi non ci si attende né potere né organizzazioni di prestigio, ma semmai una «riserva ecologica di umanità, di spiritualità, di compassione».

 

TUTTO

COME PRIMA?

 

La vita religiosa oggi, si interroga J. M. Guerrero sj, ha qualcosa da dire in un mondo globalizzato e come potrà salvaguardare tutte le differenze etniche, culturali e religiose? Tutto questo, risponde, è sicuramente possibile, ma a determinate condizioni. I carismi della via consacrata non sono mai per il singolo ma per la comunità e per la complementarietà. Bisogna prendere sul serio il fenomeno della inculturazione. Un francescano, ad esempio, non potrà più pretendere di incarnare allo stesso modo il suo carisma sia in Giappone che in Spagna. «Una cosa è l’unità nella diversità che è una ricchezza, altra cosa è l’unità nella uniformità, che invece è un impoverimento».

Non sarà mai troppa, allora, l’attenzione a non trasformare la vita consacrata in un museo, a non addomesticarla fino al punto da renderla schiava della situazione, a non rinunciare mai al rispetto e alla valorizzazione dell’altro, chiunque esso sia. Solo così la via religiosa può diventare «una profezia viva in vista di un legittimo e ragionevole pluralismo che non è mai fonte di rottura e divisioni ma di integrazione e arricchimento».

È importante oggi, nella vita di tante comunità religiose, afferma A. Cabré cmf, evitare il rischio «che tutto cambi perché tutto rimanga uguale». Quante conversioni di opere, quanti cambiamenti profondi, quanti vistosi aggiornamenti sono in atto da tempo nella vita consacrata. Troppo spesso, però, «tutto rischia di essere come prima». Ora lo Spirito continua a esigere dalle persone e dalle comunità che la vita consacrata sia veramente “rivoluzionaria” nel senso di essere fedele alla sua definizione: «seguire Cristo, accusato da quelli del tempio, perseguitato da quelli della banca, giustiziato da quelli della spada, disprezzato da quelli del marketing». Si vedono in giro ancora troppe impalcature sociali ingiuste e violente. È ancora troppo diffusa l’immagine della piramide formata, in alto, da quanti detengono privilegi e, in basso, da quanti, invece, sono privati di tutto. «Se la vita religiosa ripete lo stesso schema, non serve a niente. La sua profezia diventa una menzogna, la sua esistenza un fallimento». La vita religiosa è chiamata oggi a essere coscienza critica anche all’interno di una Chiesa spesso condizionata da uno status quo che, incamminata lungo le strade di un “pietismo tranquillizzante”, le impedisce di vedere i problemi reali.

Siamo troppo abituati, commenta il vescovo Pedro Casaldáliga, ad apparire sempre molto discreti, sensati. La profezia sta diventando un evento sempre più eccezionale. «Cerchiamo almeno di non cadere nel ridicolo. Abbiamo paura sia dello scandalo che della follia del Vangelo. Abbiamo paura di perdere sicurezza, personale o comunitaria». Si ha troppa paura di «dispiacere a certi benefattori, a certe autorità, a certe gerarchie». Si ha troppa paura «della croce della persecuzione, inevitabile se si vuole vivere con radicalità la sequela di Gesù».

 

SCENDERE

DALLE CAVALCATURE

 

Se non vogliamo essere trasformati in una “statua di sale”, scrive fr. A. Fernández Barrajón, smettiamola di voltarci indietro e di parlare continuamente del passato come migliore del presente. È questo un atteggiamento frequente nella vita consacrata, e quello che forse è ancora più preoccupante è il fatto di considerare la gerarchia ecclesiastica come «modello e orizzonte di tutta la vita consacrata». È urgente, invece, guardare e camminare in avanti, anche per il bene di tutta la Chiesa. La vita consacrata non può delegare le sue inquietudini e le sue iniziative alla gerarchia, come è stato fatto finora. «Esiste una dipendenza paralizzante che ci impedisce di muovere i nostri passi nella direzione opportuna». In un atteggiamento di comunione profonda e di autentica libertà dei figli di Dio, la vita consacrata oggi è chiamata ad essere fedele a sé stessa, a diventare coscienza critica, a trasformarsi in protesta profetica contro le eccessive istituzionalizzazioni.

Purtroppo però, scrive Aquilino Bocos cmf, citando Ripartire da Cristo, non si può ignorare «che la vita consacrata a volte, non sembra tenuta in debita considerazione, quando non vi è addirittura una certa sfiducia nei suoi confronti» (n. 12). Questa sfiducia, di cui si parla espressamente anche nel documento di lavoro del congresso, se accettata come sfida, senza lasciarsi abbattere più di tanto, dovrebbe spingere però la vita consacrata verso una onesta autocritica.

Non è più possibile oggi non «assumere la sfida della verifica all’interno di una missione profetica, che comporta amicizia con Dio e iniziativa, creatività e impegno per i diritti degli uomini». Si dovrebbe forse imparare qualcosa anche da Galileo secondo il quale «colui che desidera essere stimato dovrebbe essere il primo a stimare sé stesso». Ora, «se riconosciamo con gratitudine il dono che ci è stato dato, il dono della vocazione ecclesiale, faremo di tutto per abbattere il muro della prevenzione, della discriminazione e dell’emarginazione». C’è un solo rischio da evitare, quello di «cadere nella mediocrità e nel conformismo».

Proprio in questo periodo, osserva F. Martínez op, stiamo vivendo momenti cruciali. Nella vita consacrata oggi «non bastano le piccole riforme istituzionali, né gli aggiustamenti estetici. Si impone una nuova rifondazione teologica insieme a una totale riconversione istituzionale». Con sempre maggior urgenza si impongono decisioni improrogabili.I cambiamenti socio-culturali in atto e la “insignificanza di questo modello di vita religiosa” non consentono più illusioni al riguardo. Quanto più saranno ritardate certe decisioni, tanto più saranno privi di significato e di futuro tanti progetti di rifondazione.

Oggi «è in gioco il significato stesso della vita religiosa per le generazioni future». È questa la vera crisi vocazionale. Perché nasca un nuovo modello di vita religiosa veramente evangelica si richiedono due fedeltà irrinunciabili: al mondo (sia pure in costante atteggiamento critico) e a Dio. Solo una autentica spiritualità evangelica «ci permetterà di porre tanto impegno nelle soluzioni provvisorie come se fossero definitive».

Di fronte a un popolo impoverito ed emarginato, a uomini, donne e bambini già affaticati, feriti, depressi, di fonte alla maggioranza della gente in balìa degli effetti negativi del sistema neo-liberale, un sistema che globalizza la miseria dei nostri popoli e aumenta il numero dei “crocifissi della terra”, bisogna avere il coraggio di “scendere dalle nostre cavalcature”. Bisogna avere il coraggio di chiamare con il suo nome, osserva la religiosa V. E. Quintanilla rfsa, il rischio reale di «una vita consacrata condizionata dal sistema, incapace di vivere la passione per Cristo e per l’umanità, demotivata dal seguire il Cristo stesso». Scendere dalle nostre cavalcature significa anche «superare il paradigma della vita religiosa come stato di perfezione, rivedere il linguaggio di cui si è appropriata la vita religiosa per definirsi, per sentirsi in piena comunione con tutti i cristiani».

 

I NOSTRI

COMPAGNI DI VIAGGIO

 

Bisogna “atterrare”, bisogna «andare oltre i principi astratti», le fa eco C. Palmés sj. Si vedono proposte di nuovi modelli di vita religiosa stupendi, ma purtroppo decisamente ancorati a principi astratti, presenti un po’ in tutte le costituzioni post-conciliari. “Atterrare” significa che non basta pensare a una “rifondazione post-conciliare” senza una “intensa esperienza contemplativa” alle spalle, senza una “proposta profetica” e capace di inserirsi realmente nel mondo dei poveri.

Siamo di fronte a un crocevia. Dal contemplativismo dei secoli passati siamo passati all’attivismo dei nostri giorni. Da uno stile di vita comunitario scandito dalla osservanza regolare siamo passati a un nuovo stile di vita contrassegnato dalle relazioni personali, senza però saper andare oltre, spesso, una pacifica convivenza.

Non servono a nulla le numerose équipes di “impresari apostolici” senza una profonda integrazione di tutti gli aspetti essenziali e senza una chiara motivazione che sta all’origine della vita consacrata. “Atterrare” allora non significa altro che porre in primo piano la preghiera personale quotidiana, dar vita a strutture comunitarie che favoriscano la comunione e, infine, programmare una forma di apostolato che sia pienamente integrata con il resto della vita religiosa.

In questa operazione di “atterraggio” i consacrati non sono mai soli. Hanno sempre di fronte a sé i propri fondatori, a condizione però, precisa S. M. Alonso cmf, che siano sempre visti come compagni di viaggio e non come termine del cammino. Oggi indubbiamente, grazie a tutti gli studi storico-teologici, si conoscono i fondatori, la loro vita, il loro carisma e la loro spiritualità molto meglio che non in passato.

Ma anche qui si annida facilmente un grosso rischio: quello di assolutizzare il carisma e la esemplarità dei propri fondatori, «dimenticando invece che Gesù solo è il nostro unico Maestro, la nostra unica esemplarità assoluta, il termine definitivo della nostra sequela e della nostra imitazione». Se prescindere dai fondatori o non tenerli sufficientemente in conto è un grave errore, l’assolutizzazione della loro esemplarità «sarebbe un errore ancora più grave: sarebbe una nuova forma di idolatria».

Nel documento di lavoro, osserva J. Rovira cmf, c’è l’eco di una realtà meravigliosa, a volte sorprendente e in alcuni casi sconcertante. È la proliferazione dei gruppi che stanno sorgendo da molte parti. Basti pensare che la santa Sede – senza contare quello che avviene a livello diocesano – in questo periodo di crisi che va dalla chiusura del Vaticano II fino ad oggi, ha approvato più di duecento nuovi gruppi o istituti.

Ora, mentre alcune di queste nuove e diversificate realtà si vanno consolidando in fretta, altre sono ridotte a ben poche unità e altre ancora rischiano di morire ancor prima di nascere. «Ciò che è chiaro è che lo Spirito non ha abbandonato la Chiesa, ma al contrario sta dimostrando una volta di più la sua divina eterna giovinezza».

Ma che dire, invece, degli istituti e dei gruppi già esistenti, e che formano la maggioranza dei consacrati di oggi? Accanto a esempi stupendi di vita consacrata, ci sono però tante altre realtà che non hanno oggi più ragion d’essere.

Questo significa che è giunto il momento di riaffermare con chiarezza gli aspetti essenziali della vita consacrata anche del futuro. Per Rovira non ci sono dubbi: la centralità di Dio e della sua Parola, la vita fraterna (la realtà forse maggiormente in crisi nella vita consacrata di oggi), la semplicità e l’austerità della propria vita personale e comunitaria, insieme alla vicinanza ai poveri. La certezza che questo sia il percorso obbligato per la vita consacrata del futuro deriva da una semplice constatazione: «così parla il Vangelo», un testo obbligato di riferimento che non invecchia mai.

 

A. A.