CHI HA VISTO IL FRATELLO

HA VISTO DIO

 

Se ci diciamo cristiani dobbiamo rivelarci in modo che chi ci incontra

possa fare l’esperienza di un bagliore della gloria divina.

 

Per ciascuno si pone una domanda: nel corso della vita che ho vissuto, che sia stata breve o lunga, ho mostrato di essere un uomo, molto semplicemente un uomo? Ho mostrato di essere un cristiano? Io affermo di essere un uomo, di essere un cristiano, ma è proprio vero?

Uno dei primi padri della Chiesa, Ireneo di Lione, dice che l’uomo è chiamato a essere lo splendore della gloria di Dio; un uomo autentico deve presentarsi in modo tale che, vedendolo, gli altri percepiscano in lui lo splendore dell’eterna vita divina; dovrebbe esprimere una rivelazione di Dio.

Uno dei padri del deserto ha detto: “Colui che ha visto il proprio fratello ha visto Dio”. È proprio così? Si può davvero dire che il primo che passa, vedendo uno qualunque di noi e fissando su di lui lo sguardo si porrebbe la domanda: “Ma chi è veramente? Che cosa c’è in lui che non abbiamo mai visto prima? In lui arde una luce che non ho mai incontrato sulla terra; in lui sento una dolcezza e una umiltà infinite e una dedizione a tutta prova”.

Sì, è così che siamo chiamati a rivelarci, affinché, quando ci incontriamo, le persone possano fare l’esperienza di un bagliore della gloria divina, possano percepire l’immagine di Dio non fatta da mani d’uomo, e questo non attraverso i nostri tratti fisici, ma tramite quello che si trasmette da un’anima all’altra, sia pure un’immagine imperfetta, benché già irradiante la bellezza senza declino del mondo eterno e di Dio stesso.

Allora soltanto ci sarà possibile dire che siamo diventati uomini; non semplici esseri creati ma uomini quali Dio li ha voluti creandoli a sua immagine, una immagine piena di vita e di dinamismo, sulla quale chi osserva può cogliere una sorta di riflesso divino, sentirsi trasportato dalla terra al cielo, dal tempo all’eternità, dall’uomo incontrato in tal modo al Dio che la sua anima cerca, al quale essa aspira.

E affermiamo di essere cristiani: “Io sono cristiano”.

Lo dicevano anche i martiri dei primi secoli del cristianesimo: pronunciavano queste parole testimoniando che Dio e Cristo erano per loro più preziosi della vita, e con queste parole si consegnavano agli oltraggi, alla tortura, alla morte. Queste parole decidevano del loro destino.

È ad Antiochia che i discepoli del Salvatore ricevettero il nome di cristiani (cf. At 11,26), non solo per la loro appartenenza a una nuova piccola setta a malapena conosciuta e desiderosa di attirare su di sé l’attenzione, ma perché la gente riconosceva in loro i discepoli di Cristo.

Nei primi due secoli diversi scrittori cristiani si rivolsero ai pagani per cercare di far loro comprendere che cos’era un cristiano; così ad esempio Tertulliano scrisse che quelli che vivevano nelle vicinanze di una famiglia cristiana o di una comunità cristiana, la cui consistenza allora era ridotta, dicevano spesso: “Guardate come si amano!”.

Un amore vibrante, improntato a dolcezza e lucidità, animato da uno spirito creativo, l’amore all’interno di una coppia, tra due famiglie, tra due comunità, tale era il segno caratteristico dei cristiani di quel tempo.

È terribile pensare che nessuno potrebbe sapere che siamo cristiani se non lo proclamassimo sui tetti, suscitando poi molto spesso una reazione di stupore: “È veramente questo, un cristiano?”.

A che serve essere cristiani se non c’è nulla che ci distingue dagli altri? Né l’assenza di paura davanti alla sofferenza, alla malattia, al pericolo, alla morte; né l’assenza di avidità nei confronti di ciò che si può ricevere o strappare alla vita – e quindi anche al prossimo – mettendo in gioco la propria anima, il proprio corpo o i beni materiali; né l’amore, cioè il rifiuto della freddezza, dell’indifferenza, dell’oblio, di una relazione apertamente ostile, o addirittura di un odio corrosivo, tenace e doloroso.

Ciascuno di noi deve costantemente sottomettersi all’interrogativo: sono cristiano? C’è qualcuno che può riconoscere attraverso di me il volto di Cristo, sentire l’amore di Cristo nei battiti del mio cuore, conoscere la sapienza e la giustizia di Dio a partire dalle mie parole e dai miei pensieri, conoscere le vie di Dio a partire dalle mie azioni, dal mio modo di comportarmi nei confronti della vita, di ogni uomo, di Dio?

 

Anthony Bloom

da Ritornare a Dio, Ed. Qiqajon, Bose 2002