UN RITORNO

E UNA SPERANZA

 

L’icona della Vergine di Kazan, dopo aver peregrinato per oltre un secolo in varie parti del mondo, seguendo itinerari, che gli stessi storici non sono in grado di identificare con precisione, è tornata a casa. Giunta in Vaticano, da Fatima, nel 1993, è stata custodita nello studio privato del papa fino all’agosto scorso, quando con un gesto di grande significato ecumenico è stata restituita alla chiesa ortodossa russa e alle terre da dove era un giorno lontano partita.

La restituzione ha avuto luogo il 28 agosto scorso quando una delegazione ufficiale guidata da card. Walter Kasper, presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità, di cui facevano parte anche il card. Edgar McKarrick, arcivescovo di Washington, il nunzio apostolico per la Russia, Antonio Pennini, e altre personalità, si è recata a Mosca dove è stata ricevuta dal patriarca ortodosso russo, Alessio II. La consegna è avvenuta, nel contesto di una solenne cerimonia molto partecipata, durata tre ore, nella cattedrale della Dormitio, all’interno del Cremlino, una chiesa in cui in passato venivano intronizzati gli zar e i patriarchi.

Come forse si ricorderà, a restituire l’icona, davanti alla quale il papa ha pregato quotidianamente in tutti questi anni, avrebbe voluto essere lo stesso Giovanni Paolo II. Il gesto era infatti previsto per l’estate del 2003, durante il programmato viaggio in Mongolia, poi cancellato. Nel ritorno, il papa aveva stabilito di fare tappa a Kazan, capitale della repubblica dei tatari, per compiere questa consegna che gli avrebbe consentito anche di mettere piede in terra russa, cosa che poi non avvenne per la ferma opposizione dello stesso patriarca Alessio che considerava quella eventuale sosta non un gesto di cortesia, ma di ostilità.

Ora la tensione si è un po’ stemperata, anche se le difficoltà rimangono. Ma il gesto compiuto apre certamente uno spiraglio di speranza nel dialogo ecumenico tra le due chiese.

Della delegazione ufficiale inviata a Mosca faceva parte anche il priore di Bose, Enzo Bianchi, il quale così commenta il significato di questo gesto, sulle colonne del quotidiano francese La croix del 22 settembre scorso.

“L’icona è una “finestra sull’invisibile”, come afferma la tradizione cristiana d’oriente: sta qui, io credo, una delle definizioni più appropriate e più forti per queste immagini che mettono spiritualmente in comunione con il cielo e la terra. Ed è alla luce di questa convinzione che si può ugualmente comprendere il segno dato dal papa Giovanni Paolo II restituendo alla fine dello scorso agosto l’icona della Madre di Dio di Kazan alla chiesa ortodossa russa nella persona del suo patriarca Alessio II.

In un momento difficile per il dialogo ecumenico, in cui da diverse parti si cerca di stare ai calcoli o alle strategie, in un periodo definito da molti di inverno per le relazioni fraterne tra le chiese, la convinzione tenace del successore di Pietro, che considera la preghiera di Gesù per l’unità dei discepoli come un mandato imprescindibile per i cristiani del terzo millennio, ha compiuto un gesto gratuito d’amore che non esige nulla di ritorno e apre un varco sull’invisibile, su quell’unità che non ci è ancora dato di vedere oggi ma che sta alle radici e al cuore della vita della Chiesa.

Anni di incomprensione e di diffidenza non svaniscono certo in un istante; tutto un cammino resta ancora da compiere per giungere alla conoscenza e al rispetto reciproco, per credere veramente che le nostre chiese sono sorelle, e soprattutto, per agire di conseguenza.

Tuttavia, quando queste tensioni per un momento si sciolgono come la nebbia del mattino, si giunge a pregare insieme i vespri della Dormitio della Vergine Maria, in una magnifica cattedrale, restituita soltanto da poco al culto cristiano, con al centro della liturgia un’icona che ricorda interventi prodigiosi in difesa della fede di un popolo e rende soprattutto attuali una quantità di preghiere rivolte a Dio, attraverso la Madre del Signore, da parte dei semplici credenti i quali non potevano riporre la loro speranza che nel Signore, e non trovavano rifugio che tra le braccia di Maria.

Sono queste le sensazioni quasi fisiche che si provavano nella cattedrale della Dormitio nel Cremlino; sono questi i sentimenti che ardevano nel cuore dei celebranti e che si leggevano negli occhi della folla emozionata e fervente: tutti meravigliati di ritrovarsi così insieme, nella gratuità dell’amore, pieni di sorpresa per il fatto che lo Spirito del Signore avesse reso così semplice un gesto considerato audace, per non dire impossibile, tutti affascinati dalla riscoperta di com’è bello che i fratelli vivano insieme.

Il patriarca Alessio ha espresso i suoi sentimenti in un messaggio di riconoscenza a Giovanni Paolo II:

“La restituzione di questa santa icona è da tutta la chiesa ortodossa come un atto di ristabilimento della giustizia e come un gesto di buona volontà… Sono convinto che questa decisione esprima il desiderio sincero di superare le difficoltà esistenti tra le nostre due chiese… è questo un passo nella giusta direzione”.

Accogliendo anche noi le parole pronunciate dal patriarca nel momento del congedo della delegazione, possiamo dire che qui c’è davvero “un nuovo inizio” del dialogo, segnato da una maggiore fiducia come era stato già significato dalla visita al papa, nel giugno scorso, del patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I: si prepara una nuova primavera dell’ecumenismo?

Noi tocchiamo qui con mano il fatto che l’unità dei discepoli di Cristo dipende certo dalla nostra obbedienza al Vangelo, ma che essa è più grande delle nostre miserie e delle nostre disobbedienze. Essa non sta davanti a noi, in un futuro indeterminato, come un orizzonte impossibile da raggiungere: appartiene all’origine stessa della Chiesa, è nella preghiera di Cristo, si trova nel soffio dello Spirito nella Pentecoste. Pertanto, il nuovo miracolo dell’icona della Madre di Dio di Kazan non è altro che l’invocazione della misericordia di Dio sulle nostre divisioni. Essa ci apre come di nuovo gli occhi su quell’unica verità che non finisce mai: l’amore”.