CONVEGNO ECUMENICO A BOSE

 

UN GESTO

DI SPERANZA

 

Il convegno ha visto la partecipazione di numerose rappresentanze delle chiese ortodosse. Ha sviluppato due importanti temi di vita spirituale: sant’Atanasio e il monachesimo al Monte Athos; la preghiera di Gesù nella spiritualità russa del XX secolo.

 

Il 28 agosto 2004, festa della Dormizione della Vergine, il patriarca di Mosca Alessio II, ricevendo l’icona della Madre di Dio di Kazan’ dalle mani del cardinale Walter Kasper, esprimeva la “profonda gratitudine” della chiesa ortodossa russa al papa e alla chiesa cattolica per il dono della preziosa immagine, e insieme la speranza che questo atto fraterno testimoniasse “il fermo desiderio … di ritornare a relazioni sincere, improntate alla reciproca stima, tra le nostre chiese”.

Il gesto di Giovanni Paolo II si poneva infatti sotto il segno della gratuità e della fraternità. Questa icona, aveva detto il papa affidandola alla delegazione che l’avrebbe portata a Mosca, “ci parla di una unità profonda tra oriente e occidente, che perdura nel tempo malgrado le divisioni storiche e gli errori degli uomini”. Per una felice coincidenza, proprio nel corso dell’incontro con la delegazione della Santa Sede, sua santità Alessio II mi aveva confermato l’invio di una rappresentanza del patriarcato di Mosca al XII Convegno ecumenico internazionale di spiritualità ortodossa del monastero di Bose (12-18 settembre 2004). Il gesto del papa e l’accoglienza calorosa riservata dal patriarca Alessio alla delegazione pontificia avrebbero effettivamente trovato rispondenza nelle parole con cui l’arcivescovo Maksimilian di Vologda, rappresentante del patriarca, avrebbe concluso i lavori del convegno di Bose: “Sono profondamente grato per questi convegni dedicati alla spiritualità ortodossa … essi offrono un esempio di come noi dobbiamo costruire le relazioni tra le nostre chiese, sulla base della reciproca stima e della conoscenza gli uni degli altri. Il vostro interesse per la chiesa ortodossa russa fa nascere un analogo interesse presso gli ortodossi per la vita della chiesa cattolica. Io spero che questo piccolo lievito faccia fermentare tutta la pasta”. A volte l’eloquenza dei piccoli gesti, poveri ma ricchi della disarmata audacia evangelica, apre vie insospettate all’incontro tra i fratelli, divisi da mille anni di incomprensioni, e da un decennio di contenziosi sul modo della presenza della chiesa cattolica nei paesi tradizionalmente ortodossi dell’ex-blocco comunista.

 

I MESSAGGI

DELLE CHIESE

 

Per questo riveste un particolare valore la presenza a Bose di numerose rappresentanze ecclesialii che hanno potuto incontrarsi e dialogare in armonia e fraternità, approfondendo due importanti temi di vita spirituale: Sant’Atanasio e il monachesimo al Monte Athos e La preghiera di Gesù nella spiritualità russa del XIX secolo.

L’apertura dei lavori era stata segnata dalla triste notizia della morte del patriarca di Alessandria Petros VII, precipitato sabato 11 settembre con l’elicottero che lo portava al Monte Athos. Nel messaggio augurale al convegno, il compianto patriarca Petros VII rilevava come la scelta di dedicare un convegno a Sant’Atanasio e il Monte Athos, fosse non solo “significativa da un punto di vista scientifico, ma anche straordinariamente attuale, poiché il contributo offerto degli athoniti a tutti i cristiani, come anche ai popoli musulmani, e le relazioni tra di essi intercorse, necessitano di uno studio urgente”. Anche il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I, nel messaggio letto dal metropolita Emilianos Timiadis, si rallegrava del-l’“ininterrotta consuetudine degli incontri spirituali di Bose, che si prefiggono una conoscenza più approfondita dello spirito e dell’esperienza ortodossi: essa apporta certamente un grande profitto spirituale a tutti quelli che vi partecipano con spirito di umile desiderio di apprendere”. Nel suo messaggio, il cardinal Walter Kasper insisteva sul “costante interesse e attenzione vigile” che devono caratterizzare ogni vero “incontro nell’amore” tra cristiani impegnati nella ricerca della piena unità visibile. Lo strumento più importante che i cristiani hanno per mantenere desta questa attenzione amorosa verso il fratello è proprio la preghiera, che è stata al centro delle riflessioni della seconda sessione del convegno. “Io sono profondamente persuaso”, ha scritto ai convegnisti il patriarca Alessio II di Mosca, “che la grazia dell’esperienza di preghiera dei santi asceti russi sia capace di arricchire qualsiasi tradizione cristiana che voglia attingervi, mantenendo il legame con la vita della chiesa indivisa del primo millennio. L’interesse dei cristiani d’occidente, che cresce di anno in anno, verso i tesori della spiritualità ortodossa russa testimonia il sincero desiderio di comunicare all’eredità dell’attività della preghiera, che la nostra Chiesa ha custodito come il suo tesoro più caro”.

 

DALLA SANTA MONTAGNA

ALLA PREGHIERA DEL CUORE

 

La prima sessione del convegno ha permesso di approfondire le origini monastiche dell’Athos, dai primi eremiti all’arrivo di Atanasio, e le diverse presenze nella sua storia millenaria (greci, georgiani, russi, serbi, bulgari, romeni, amalfitani), fino ai ritmi e le forme della vita quotidiana negli eremi e nei cenobi della santa Montagna oggi.

Come ogni organismo vivente, anche la colonia monastica della santa Montagna ha conosciuto momenti di fioritura e di stagnazione, di diminuzione e di rinascita, a cui le relazioni hanno dedicato una particolare attenzione, illuminando anche i molti volti della rinascita athonita contemporanea.

Dai lavori è soprattutto emerso come il monachesimo possa e debba essere una “memoria evangelica” per la Chiesa: il monachesimo, “segno” per sua stessa natura di difficile interpretazione, conosce vicissitudini che lo vedono fiorire e poi diminuire fino quasi a spegnersi, per poi rinascere e nuovamente affievolirsi, secondo una logica tutta cristiana: la logica del seme che muore e poi rinasce, e che nella propria morte non vede il segno della fine, ma la potenza della vera vita.

La comunione fraterna di tradizioni e storie diverse che il Monte Athos ha sperimentato e sperimenta nei mille anni della sua storia può sembrare poca cosa, ma proprio questa ricerca dell’unità nel nome di Cristo dice l’eloquenza di un segno povero, ma che rimanda alla realtà di Dio e alla sua forza di santificazione. Oggi più che mai sentiamo che un monachesimo unito può aiutare le chiese a riconoscersi finalmente sorelle in una quotidiana prassi di ascolto e servizio reciproco. E il servizio più importante che il monachesimo offre alla chiesa e al mondo è forse proprio l’esercizio umile e silenzioso nel discernimento della presenza del Signore, nella preghiera e nel lungo cammino di unificazione interiore.

Dall’adesione alle esigenze del vangelo e dalla capacità di riconoscere la presenza del Signore nelle nostre vite dipende la comunione tra le nostre chiese sorelle e, quindi, anche la carità gli uni verso gli altri, che rimane il segno grande affinché il mondo creda che Gesù è il Signore.

Ecco perché la seconda parte del convegno ha voluto soffermarsi su quella pratica più che millenaria di preghiera, caratteristica soprattutto del cristianesimo d’oriente, nota come “preghiera di Gesù”, o preghiera del cuore.

Dalla santa Montagna dell’Athos intere generazioni di monaci introdussero questa antica forma di orazione nella Rus’ medievale, dove essa trovò un terreno fertile, che avrebbe portato abbondanti frutti in epoca moderna, e soprattutto negli anni terribili delle persecuzioni.

La tradizione ortodossa russa è infatti la tradizione cristiana che forse più di ogni altra ha avvertito l’importanza della preghiera interiore, ha cercato vie e strumenti per acquisire la preghiera incessante, la preghiera del cuore. Nella tradizione spirituale cristiana ci si è sempre domandato come mettere in pratica l’esortazione prima di Gesù (Lc 18,1; 21,36) e poi di Paolo (1Ts 5,17) sulla preghiera senza interruzione.

I padri pneumatofori, fin dai tempi antichi, hanno privilegiato la formula che noi troviamo testimoniata dai Vangeli come grido al Signore Gesù da parte di malati e peccatori: Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me! Ecco la preghiera di Gesù: tutto qui! Poche parole ma densissime, una sintesi delle due invocazioni del cieco di Gerico (Lc 18,38) e del pubblicano nel tempio (Lc 18,13).

Il convegno ha analizzato il particolare contesto storico-religioso in Russia tra XVIII e XIX secolo in cui si innesta la fioritura della preghiera di Gesù, e il momento di svolta rappresentato dall’insegnamento spirituale e dalla riscoperta dell’eredità patristica dello starec Paisij Velickovskij.

Sono stati poi considerati l’irradiazione della prassi di preghiera esicasta nella filosofia e nella letteratura russe, i tempi e i modi dell’arte della preghiera secondo l’insegnamento di autori quali sant’Ignatij Brjancaninov, san Teofane il Recluso e gli anonimi Racconti di un pellegrino russo, e infine la preghiera come cuore della teologia ortodossa della trasfigurazione dell’uomo.

Nell’invocazione incessante del nome di Gesù e della misericordia del Signore, il cristiano conosce il proprio peccato, ma anche l’ineffabile perdono di Dio, e proprio nella preghiera egli può presentare a Dio tutta l’umanità e la creazione intera. Così il cristiano diviene simile al suo Signore, che sulla croce intercede per tutti, anche per coloro che lo hanno crocifisso.

Noi non possiamo dimenticare, anche quando sperimentiamo la gioia della comunione tra fratelli, le sofferenze di centinaia di migliaia di uomini e donne a causa della violenza della guerra e del terrorismo. Ma se i cristiani non sapranno dilatare lo spazio della loro preghiera, allora quell’incontro tra religioni che attraversa ormai la nostra quotidianità, invece di fiorire in dialogo, imploderà in un conflitto irrimediabile, sotto la pressione di opposti fanatismi. Solo conoscendo le profondità della misericordia del Signore, che lo Spirito santo scruta, il cristiano sarà capace di vivere quel segno paradossale, impossibile agli uomini ma possibile a Dio, che è il perdono dei nemici.

Questo è stato anche l’insegnamento dei grandi santi e martiri russi del secolo scorso. “Il nemico perseguita la nostra santa Chiesa” scriveva san Silvano del Monte Athos negli anni Trenta, “come potrei quindi amarlo? A questo io risponderò: la tua povera anima non ha conosciuto Dio! Egli ha donato alla terra lo Spirito Santo che insegna ad amare i nemici e a pregare per loro … Questo è l’amore”.

Sì, “le divisioni storiche e gli errori degli uomini” non potranno mai prevalere sulla carità, che è il volto autentico del Signore Gesù.

 

Enzo Bianchi

priore di Bose

 

 

1 Erano presenti per il patriarcato di Costantinopoli il metropolita Emilianos (Timiadis) di Silyvria; per il patriarcato di Mosca i vescovi Maksimilian di Vologda e Velikij Ustjug, Aleksandr di Dmitrov, Ilarion di Vienna e Austria, padre Ioann Lapidus del dipartimento per le relazioni esterne, l’igumeno Amvrosij (Ermakov), lo ieromonaco Mefodij di Valaam, il professore Aleksej Osipov; per la chiesa cattolica il cardinale Achille Silvestrini, mons. Johan Bonny del Pontificio consiglio per l’unità dei cristiani e numerosi vescovi della Conferenza episcopale piemontese (mons. Gabriele Mana di Biella, mons. Arrigo Miglio di Ivrea, mons. Massimo Giustetti, vescovo emerito di Biella, e mons. Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea).

Hanno partecipato al convegno tre vescovi della chiesa ortodossa di Grecia (Theocletos di Thessalia e Phanariophersala, Amvrossios di Kalavryta e Eghialia, Ioannis di Thermopylai), e qualificate delegazioni delle chiese ortodosse di Gerusalemme (l’archimandrita Theoktistos Samios, esarca del S. Sepolcro), Alessandria, Serbia, Bulgaria, Romania (mons. Irineu di Slatina, delegato del patriarca Teoctist), Ucraina-Patriarcato di Mosca (il prorettore dell’accademia Teologica, p. Mykola Makar, e p. Hlib, bibliotecario della Lavra delle Grotte di Kiev), armena (p. Zadik Avedikian) e della Chiesa d’Inghilterra (can. Hugh Wybrew). Numerosi i monaci presenti dal Monte Athos e dai monasteri del Sinai, di Kalamos, Karditsa, Preveza e Volos.