COME GESÙ A NAZARET

 

«Non voglio attraversare la vita in prima classe quando colui che amo l’ha attraversata nell’ultima». Questa decisione esistenziale di Charles De Foucauld ha generato una schiera di discepoli che cercano di “vivere Nazaret”, facendosi prossimi di coloro che sono senza nome e non contano niente nel mondo.

Tra questi spiccano i 240 membri della Fraternità dei Piccoli Fratelli di Gesù, fondati da fratel René Voillaume (morto nel maggio del 2003) e presenti ormai in 42 paesi. Essi sono segno di una missione cristiana non legata a una strategia sia pure pastorale, ma a una forma di vita radicata nell’esperienza di Dio che chiama a una presenza fraterna di dono agli altri. Dalla loro prassi di mantenere una rete di solidarietà universale, attraverso diari che il segretariato generale manda a tutte le fraternità, nasce un volume1 che apre uno spiraglio su un prezioso deposito di racconti di vita vissuta, i quali permettono di seguire l’approfondimento dell’intuizione iniziale operatosi nel corso di circa quarant’anni.

Dalle queste storie si vede come i fratelli hanno dovuto reinventarsi continuamente il modo di imitare la vita di Gesù a Nazaret secondo i diversi contesti, anche i più drammatici. Ecco allora la testimonianza del 1960 di fr. Jean che condivide, come manovale tuttofare nella bidonville di Mahieddine (Algeri), una vita povera vissuta per Dio con musulmani. Nella stessa fraternità fr. François, quarant’anni dopo, continua a proporre uno stile di comprensione reciproca e di dialogo per accompagnare una democrazia ancora adolescente.

Fr. André ascolta il grido delle vittime del Camerun a ventidue giorni dall’indipendenza del suo paese (1959) e si butta a condividere la vita di coloro che sono in prigione. Quattro membri della fraternità stabilitasi fra i disprezzati cacciatori pigmei del Congo Belga (poi Zaire), per salvarli dall’estinzione introducendoli all’agricoltura e al Vangelo, rimangono con loro fino al momento in cui vengono uccisi dai ribelli.

Sconvolti i cuori di fr. Bernard e fr. Léodomir, presenti a Kigali all’epoca della morte del presidente del Ruanda e dei massacri che ne seguirono (1994). A loro sembra rispondere fr. Jean-Marie che da Detroit (Usa) medita sulla parabola di Giona, intuendo come la preghiera vera sale dal ventre della balena, quando tutt’intorno si agitano i poteri della morte.

Fr. Humberto, una vita spesa per Cuba, ha assunto lo stile del no hay (non c’è): non c’è il tempo di vivere per se stessi, non c’è cibo, non ci sono medicine… ma testimonia il miracolo della moltiplicazione dei pani che continua attraverso la condivisione. E nel frattempo la fraternità di Santiago del Cile si ritrova a pregare con paura, imprigionata nello stadio e sottoposta a vessazioni dopo il colpo di stato di Pinochet.

 

Religiosi alle prese

con violenza e diversità

 

Dal rapporto dei fratelli del medio oriente per un capitolo del 1984 (pp. 216 e ss.) arriva la riflessione su come vivere da consacrati in una situazione drammatica che può provocare fratture interne: bisogna guardare a Gesù (che compie atti di rottura delle solitudini e che rifiuta di lasciarsi chiudere in un orizzonte puramente politico) per far fronte alla violenza subita, con la qualità della vita fraterna, e alla violenza che è in noi, cercando di dialogare con la massima obiettività e prendendo coscienza della sofferenza che è anche nell’altro.

Fr. Mikail (Karachi, Pakistan) descrive tre amicizie importanti che non si accontentano di formule religiose imparate: due musulmani, uno colto della setta intransigente wahhabita e l’altro devoto ma poco istruito, e un asceta indù fedele all’impegno della preghiera notturna. «Come nel contatto con i primi due ci interrogavamo sul senso della nostra presenza nel mondo, così il contatto con il terzo ci interroga sul posto della preghiera nelle nostre vite e sul posto degli altri nelle nostre preghiere. I legami personali hanno generato il riconoscimento reciproco del vero volto dell’altro, intuito ma rischiarato dallo sguardo di Dio, e la certezza non sradicabile di appartenere a un popolo che Dio guida» (pp. 247 e ss.).

Fr. Giang, rifugiato vietnamita in Giappone, racconta il suo percorso di conversione dall’odio all’amore: prima ragazzino che vive con il solo desiderio di vendicare il padre assassinato nel 1967; quindi discepolo in fuga sul mare con il desiderio di capire l’iscrizione in una cappella che diceva “Dio è Amore”; infine piccolo fratello che coscientemente desidera seguire le orme della madre non cristiana, la quale, rinunciando ai privilegi come moglie di un parlamentare, vendeva gelati nelle strade di Saigon per crescere i sei figli.

 

La parabola

della fraternità universale

 

Dietro queste storie di Vangelo vissuto si intravede anche una specifica evoluzione della vita consacrata nell’ultimo mezzo secolo.

Il gran numero di fratelli negli anni sessanta permette la nascita di fraternità in tutte le parti del mondo. Nel decennio seguente il ritmo delle fondazioni è rallentato: era il caso di vivere e approfondire le grandi intuizioni della vocazione in una duratura condivisione di vita. I fratelli comprendono in maniera sempre più adeguata che la solidarietà con la gente comporta l’impegno di partecipare agli sforzi organizzatori e di ricerca dei poveri affinché la vita trionfi sulle forze di morte. Gli anni più recenti vedono un altro sviluppo: i fratelli originari dei diversi paesi assumono ora la responsabilità di far vivere la Fraternità con le caratteristiche della loro terra. Molte fraternità aperte nei primi anni non potranno ricevere il sangue nuovo di cui avrebbero bisogno: c’è questa consapevolezza nei più anziani che desiderano comunque invecchiare e morire là dove hanno donato il meglio di se stessi, fra coloro che li hanno accolti e continuano a sostenerli.

Nel periodo dell’espansione, la Fraternità era stata innanzi tutto presente nel mondo operaio, nei confronti del quale la Chiesa aveva lasciato che si scavasse un vero e proprio fossato. Ben presto si è manifestato il desiderio di vivere il Vangelo fra popolazioni appartenenti alle grandi religioni del mondo, per camminare da fratelli con persone che cercano Dio su altre strade.

Le fondazioni comunque sono sempre sorte con lo scopo di raggiungere coloro che vivono ai margini della società o della Chiesa: pescatori, camionisti, operai del circo, detenuti in carcere, lebbrosi, senza fissa dimora ecc. Evidenti le scelte vissute sulla propria pelle, eppure i racconti sono narrati non con spirito da eroi ma con quello dell’amicizia che si è coinvolta con passione.

Si può già vedere il volto delle poche fraternità aperte in questi ultimi anni, in quartieri popolari, per esempio in Argentina, in Egitto, in Corea o nelle Filippine, con fratelli di questi paesi. Un’altra sfida sarà quindi quella di mantenere vivi i legami tra questi piccoli gruppi disseminati in ogni angolo del mondo, situazione probabile della Fraternità di domani.

Rimane insomma ben salda l’intuizione anticipatrice di Voillaume, il quale sottolineava come la Fraternità esprimesse un nuovo tipo di vita religiosa «nella quale si tratta meno di mettere al riparo dai rischi mediante separazioni o di aiutare con osservanze aggiunte alle occupazioni quotidiane, che di ordinare la vita intera in uno stesso moto di carità per il Cristo e per gli uomini, imparando a servirsi delle difficoltà della vita come mezzo di spogliazione e di concretissima realizzazione della professione dei tre voti» (dal famoso volume del 1950 Come loro).

 

M.C.

1 PICCOLI FRATELLI DI GESÙ, Come Gesù a Nazaret. Al seguito di Charles de Foucauld, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 2004, pp. 452, € 28,00.