UN CONCETTO DA CAPIRE BENE (10)
LIBERTA’ AFFETTIVA E SUO DINAMISMO
È uno dei concetti
più universali e noti, senza frontiere o distinzioni di sorta: tutti ne parlano
e la rivendicano, molti la intendono come vogliono e pensano di possederla,
pochi s’interrogano su di essa e ne fanno il punto d’arrivo d’un cammino di
crescita. Quale il suo significato e il suo dinamismo?
Libertà significa possibilità di realizzarsi secondo la
propria natura e vocazione: è libero chi può esser se stesso portando a
compimento il piano di Dio. Ma l’aggettivo “affettiva” aggiunge qualcosa
d’importante al concetto di libertà. Sta a dire che l’individuo libero crede
nella propria vocazione e l’ama, non solo la realizza, ma vi si sente attratto,
non la vive come costrizione o imposizione dall’esterno, ma come qualcosa di
bello e che dà gioia al cuore, è il suo tesoro, lì è nascosta la sua identità.
Vi sono due aspetti sostanziali, dunque, nell’idea di
libertà: uno riguarda la modalità (=l’attrazione invece della costrizione),
l’altro i contenuti (= l’attuazione della verità), o – diversamente detto – il
come esser liberi e il cosa è possibile fare come esseri liberi. In sintesi c’è
libertà affettiva laddove il cuore ama e attua la verità.
Se la libertà affettiva implica l’attrazione-attuazione
della verità, un individuo è libero nel cuore nella misura in cui la sua
affettività vive di fatto tale attrazione, o quando, più in concreto, le sue
energie e impulsi, il bisogno d’amare e d’esser amato, la sua sessualità e
genitalità… s’ispira a quella verità che è al centro della vita, in cui
riconosce la sua propria identità e vocazione.
È il concetto dell’integrazione affettiva, un tempo
bandiera e simbolo d’un modo un po’ ambiguo d’intender la stessa verginità, ma
che, ben capito, può aiutarci a individuare il dinamismo della libertà
affettiva nella vita del vergine.
La via dell’integrazione
Attraverso questa via il vergine:
– raccoglie e riunifica attorno a un centro (=la verità
dell’io “nascosta con Cristo in Dio”) tutte le proprie energie
affettivo-sessuali, senza rimuoverne stoltamente alcuna, ma anche senza
lasciarle girare, altrettanto stoltamente, attorno a se stesse, cioè a vuoto (è
l’idea di sessualità pasquale);
– lascia che questo centro (che è la croce quale verità
dell’amore) le giudichi e dia loro non solo un senso ma un orientamento molto
concreto di vita e condotta;
– dunque valorizza tali energie in se stesse e come modo
di testimoniare ciò in cui crede, quell’amore di Dio che sta al centro della
sua vita.
Rigorosamente parlando, allora, “quello che si deve
cercare non è la nostra integrazione affettiva; è piuttosto la nostra
integrazione religiosa, l’integrazione cioè di tutto ciò che siamo e sentiamo,
di ciò che rende la nostra vita lieta e anche di ciò che la rende triste, di
ciò che ci “realizza” e anche di ciò che invece ci “mortifica”, nella
prospettiva di quello che crediamo. La nostra vita infatti non celebra se
stessa, ma Colui che vale più della vita (cf Sal 63,4)”.1
Tanto più la nostra verginità non celebra se stessa né
tanto meno è in funzione della nostra gratificazione affettiva: è segno della
centralità di Dio nel cuore umano, e diviene bella e buona, attraente e vivibile
quando riesce a esprimere tale centralità, ovvero quando ogni energia
affettivo-sessuale, gesto o pensiero, del vergine s’ispira a quel centro e a
quell’amore, si lascia illuminare e riscaldare da esso. Allora c’è libertà
affettiva. Perché c’è coerenza tra verità e libertà, tra attrazione e
attuazione.
“ama e fa quel che vuoi”2
Il secondo passo nel dinamismo della libertà affettiva è
ben espresso dalla nota frase di Agostino, letta nella sua duplice scansione.
All’inizio d’una opzione verginale c’è la scoperta
dell’amore, dell’amore divino ricevuto in abbondanza, scoperto, cioè, come
fonte della propria identità e vocazione, come ciò che dà verità e mette ordine
anche nella propria vita affettivo-sessuale. “Ama” significa, in questo caso,
soprattutto l’invito a sperimentare l’attrazione di questo amore, ad avvertire
il fascino dello stile amante di Dio, che fa sorgere il suo sole su buoni e
cattivi e ama per primo, che vuol bene anche a chi non sembra amabile e chiede
d’amare i nemici e chi non può ricambiarti.
Non è cosa da poco quest’attrazione, poiché in realtà
implica una conversione dei gusti e un’evangelizzazione della sensibilità. Suo
vertice è la progressiva sintonia tra sentire divino e umano, al punto che
quanto è gradito e piace a Dio, lentamente piacerà anche all’uomo amante, e lo
porterà a realizzare al massimo la sua libertà affettiva: un cuore umano capace
di vibrare di battiti eterni, all’unisono con Dio, libero di desiderare i suoi
stessi desideri, un cuore di carne aperto sull’infinito.
Che differenza tra la libertà (pagana) di chi, poveretto,
fa solo quel che gli pare e piace, e la libertà (credente) di chi sta imparando
i gusti di Dio! Sul piano della qualità e pure della quantità e intensità dei
desideri.
Fascino e attrazione non possono restare astratti e
teorici, ma diventano fattori di libertà quando determinano un cambio anche
d’atteggiamenti e comportamenti nella linea dell’attrazione stessa, cioè dello
stile amante di Dio. Potremmo allora tradurre il detto agostiniano così: “ama e
vivi secondo quel che ami”, ovvero secondo il cuore e la libertà di Dio perché
diventi anche il tuo modo di voler bene. Che significa: libertà affettiva non è
fare ciò che pare e piace a me, ma neppure unicamente ciò che piace ed è
gradito a Dio, bensì ciò che piace a entrambi, ovvero esprimere con la vita e
in modi molto concreti la progressiva sintonia tra quel che piace a Dio e quel
che piace a me (tra verità oggettiva e verità soggettiva).
In tal modo i due aspetti della libertà (modalità e
contenuti) coincidono, e colui che ama non solo è libero da ogni obbligo e
costrizione, ma vive una profonda attrazione e secondo quell’attrazione. Solo
allora, quando l’attrazione evangelizzata è tradotta in gesti coerenti, la
libertà affettiva è piena e il processo d’integrazione religiosa
dell’affettività è compiuto.
Il principio agostiniano ci fa passare un passo avanti
nella definizione della libertà affettiva: cuore libero vuol dire non solo
amare la propria vocazione, ma secondo la propria vocazione.3 Al punto che
l’oggetto dell’amore diviene anche la modalità dell’amare. Allora la verginità
diventa stile di vita e il vergine manifesta in tutto quel che fa l’amore che è
al centro della sua vita.
CON UNO STILE
SUO TIPICO
Lo stile è l’impronta di quel uno è in ciò che uno fa o,
in termini più a noi vicini, è l’impronta di quel che uno ama nel suo modo di
voler bene. Non è un giochino di parole poiché dice un principio importante e
nient’affatto scontato: ogni essere umano è chiamato ad amare, ma ognuno nello
stile proprio della sua vocazione, e non copiando, con esiti spesso maldestri e
ridicoli, modi e gesti che appartengono ad altri progetti o situazioni di vita.
Il coniugato, ad es, ami da coniugato, il fidanzato da fidanzato, il padre da
padre, l’adolescente da adolescente, il vergine da vergine. Con la convinzione
che il proprio progetto verginale gli detta un preciso e corrispondente stile
relazionale verginale: se ama quel progetto e lo riconosce fonte della propria
identità, dovrà anche voler bene secondo lo stile suo tipico. Allora sarà lui
stesso vero e libero, e chiaro e credibile nella testimonianza.
Se invece adotta nel suo relazionarsi uno stile che non
esprime abbastanza la centralità e il primato di Dio, che può riempire un cuore
umano fino a render possibile la rinuncia all’amore pur desideratissimo e bello
d’una donna, o se usa nel suo approccio in modo confuso e pasticciato parole,
gesti o atteggiamenti che sono tipici d’un altro stato di vita, costui non solo
non è vergine, ma neppure libero, perché si pone in contraddizione con se
stesso e con la sua verità, per testimoniare solo il caos e la schizofrenia che
ha dentro di sé.
PARADOSSO
E MISTERO
Normalmente si pensa alla libertà come autonomia e
indipendenza, ma anche questa è idea antidiluviana oltreché banale e alla
radice pagana, soprattutto se comprendiamo il ruolo centrale della libertà
affettiva nell’idea e nel dinamismo della libertà in quanto tale.
Libertà e responsabilità
Anzitutto per una motivazione generale. Il problema della
libertà non può esser posto in termini di indipendenza, poiché nessuno può
pensare d’esser libero per conto suo o di ritenere, al massimo, che la sua
libertà finisca ove inizia quella degli altri. Chi lo pensa sembra rispettoso
dell’altro, in realtà è un violento. Perché si cresce solo con gli altri e
grazie agli altri, e la propria libertà inizia ove inizia anche quella
dell’altro, finisce quando essa è menomata o negata; o si è liberi assieme, o
non lo è nessuno.
Ciò significa che il vergine non può intendere il suo
esser privo di famiglia e solo come un fatto deresponsabilizzante, perché è
esattamente il contrario: chi ha rinunciato alla paternità/maternità fisica per
il regno dei cieli vive un’altra misteriosa capacità generativa, che lo rende
responsabile di tutti e padre/madre di chi è povero d’amore. Questo vergine è
una benedizione.4 Quel celibe o nubile, invece, che non è libero di farsi
carico del peso e destino degli altri, è un essere miserabile; non è vergine, è
solo sterile e incapace di dare vita, è libero degli altri, ma schiavo di se
stesso. A costui potremmo applicare la maledizione della Scrittura per il
grembo che non ha partorito (cf. Nm 5,21).
Libertà e dipendenza
Ma il paradosso scoppia quando si riflette con
attenzione, anche a livello psicologico, sulla natura essenzialmente
relazionale della natura umana e dunque anche della libertà, e si comprende che
l’uomo è libero non quando non dipende da niente e nessuno (cosa, in realtà,
impossibile), bensì nella misura in cui sceglie di dipendere da ciò che ama e
che è chiamato ad amare. È paradossale pensare che la libertà nella sua
espressione più matura chieda il coraggio di dipendere, ma non c’è più
contraddizione se si pensa che è l’intensità dell’amore alla radice della
libertà di dipendere, e soprattutto che l’oggetto di quest’amore è la propria
identità e verità, è il piano del Creatore sulla creatura, la sua vocazione.
È la definizione completa dell’idea di libertà: è libero
chi è innamorato della verità (o della propria vocazione), non solo chi la
conosce e apprezza e neppure chi semplicemente l’esegue, ma chi l’ama
perdutamente, perché solo l’innamorato conosce quanta libertà vi sia
nell’abbandonarsi incondizionatamente tra le braccia dell’amato, nel
consegnarsi totalmente all’altro, nell’appartenere a un tu. Questa è la libertà
affettiva del vergine: la libertà di chi consegna per amore la propria libertà
all’Eterno, a quel Dio sommamente libero che per amore s’è consegnato nelle
nostre mani, o che ha fatto, da innamorato, la stessa cosa nei nostri
confronti.
Qui non c’è più solo un principio psicologico, ma un
mistero d’amore che si compie, e che determina molto concretamente una vita
verginale attenta, persino gelosa, a dipendere in tutto, non solo nei gesti, ma
anche nei pensieri, desideri, sogni, progetti, parole… da quell’amore, che è
poi una persona, che è al centro della vita. Come farebbe un innamorato…
CURARE
LE PROPRIE RADICI
Curare la propria libertà affettiva significa per un
vergine curare le proprie radici. Che sono due essenzialmente.
Radici mistiche
La prima è di natura mistica, e vi abbiamo fatto cenno
commentando il detto di Agostino, che comincia proprio con quell’“Ama”, che
significa: lasciati amare, lasciati conquistare…, perché la libertà non si
conquista, ma si riceve in dono da colui che ci ama e amandoci ci libera dalla
paura di amare ed esser amati, dal timore di non esser stati benvoluti o di non
meritare affetto. Per questo la verginità è espressione dell’aspetto mistico
della vocazione del consacrato, e sempre per tale motivo il consacrato che non
possiede il “cromosoma mistico” sarà solo un celibe tecnico o un insaziabile
dongiovanni, uno che resta fuori del mistero e che non sa godere di Dio e
d’appartenergli.
Radici psicologiche
Dal punto di vista psicologico alla radice della libertà
affettiva vi sono quelle due certezze di cui abbiamo già parlato nei precedenti
interventi: la certezza d’essere stato già amato, da sempre e per sempre, e la
certezza corrispondente di saper amare, per sempre.
Aggiungiamo ora che tutta la vita dell’uomo è acquisire
sempre più queste due sicurezze (per le quali si potrebbe dire che “più ce n’è,
meglio è”), che sono certo di natura psicologica, ma che solo il credente
nell’eternamente amante può possedere in modo pieno e definitivo. Se siamo
stati amati dall’Eterno, allora siamo stati amati da sempre, e chiamati ad
amare per sempre.
La verginità ha sapore d’eternità!
Amedeo Cencini
1 G. Angelini, “Meditazioni su Ezechiele. II. Il mutismo
del profeta”, in La Rivista del clero italiano, 6(1997), 444. Ecco forse il
motivo della confusione d’un tempo: l’oggetto (dell’integrazione) non può esser
anche il soggetto o il criterio (=il centro) dell’integrazione stessa. Quando
ciò è avvenuto a proposito dell’affettività-sessualità, la confusione non ha
creato libertà, ma semmai una nuova schiavitù.
2 Agostino, In epistolam Joannis, PL XXXV, VII, 8.
3 Si potrebbe anche dire che l’oggetto materiale diventa
anche oggetto formale.
4 A questo tipo di vergini, liberi nel cuore, si può
applicare la frase di C. Bukowski: “L’anima libera è rara, ma quando la vedi la
riconosci soprattutto perché provi un senso di benessere quando le sei vicino”.