MADELEINE DELBRÊL A 100 ANNI DALLA NASCITA

SENZA DIO TUTTO È MISERIA

 

Giunta alla fede all’età di vent’anni, sente di essere chiamata a vivere una donazione totale a Cristo. In un ambiente ateo comprende che per vivere bisogna evangelizzare. «Una volta che abbiamo conosciuto la parola di Dio, scrive, da quel momento apparteniamo a coloro che l’attendono».

 

Il 24 ottobre prossimo si festeggeranno i cento anni dalla nascita di Madeleine Delbrêl (1904-1964), poeta, assistente sociale e mistica. Si tratta di una delle grandi figure spirituali del XX secolo.

Nata e vissuta in Francia, dopo la morte la sua figura ha cominciato a essere sempre più conosciuta anche all’estero, attraverso le traduzioni dei suoi scritti in moltissime lingue. Teologi di grande valore – come Fessard, Congar, De Lubac, Bouyer, Balthasar, Neufeld, Moioli – hanno attirato l’attenzione sulla ricchezza e originalità del suo pensiero. Tesi di laurea e studi scientifici le sono stati dedicati in Francia, in Germania, in Italia. Nel gennaio 1995 è stata introdotta a Roma la causa di beatificazione presso la Congregazione per le cause dei santi. I vescovi francesi, nel rapporto sulla fede di qualche anno fa, la citano insieme a santa Teresa di Lisieux, segnalando la straordinaria attualità della sua testimonianza nella prospettiva della nuova evangelizzazione. In questo anno del centenario sono state avviate molte iniziative per farla conoscere, soprattutto in Francia e in Germania.

Ma chi era questa donna che affermava: «Credere in Gesù Cristo è stato tutto per me dal momento che ho creduto in Dio. A lui ho donato la mia vita e non me ne sono mai pentita».

 

L’INCONTRO

CON LA FEDE

 

Alla fede Madeleine arriva a vent’anni (1924). Dopo il suo incontro “violento” e “abbagliante” con Dio, si è sentita chiamata a vivere la propria totale donazione a Dio in Cristo tra la gente delle strade, per testimoniare in pieno mondo, in una vita di semplice Vangelo, l’indivisibile unità del duplice comandamento dell’amore.

La sua intuizione spirituale, condivisa da altre amiche, ha dato vita a piccole comunità (Carità oggi équipes Madeleine Delbrêl). La loro vocazione è quella di vivere insieme nella verginità, da semplici figlie della Chiesa, una vita di Vangelo integrale, nella linea ordinaria dell’esistenza, senza specializzazioni apostoliche, desiderose di essere disponibili senza restrizioni alle esigenze del Vangelo nelle varie circostanze della vita.

Nell’ottobre del 1933 si stabilisce con due compagne a Ivry-sur-Seine, alla periferia sud di Parigi, dove rimane trent’anni fino alla morte. «Quello che noi cercavamo, quello che io volevo, era la libertà di vivere gomito a gomito con gli uomini e le donne di tutta la terra, con i miei vicini di tempo, gli anni degli stessi calendari e le ore degli stessi orologi».

In questo sobborgo prevalentemente operaio, trasformato in quegli anni in città-laboratorio del comunismo francese, scopre l’ingiustizia sociale, le grandi speranze di liberazione poste da molti nell’ideologia marxista e la coraggiosa dedizione di tanti militanti comunisti. Verso tutti si sente in debito del Vangelo, soprattutto verso coloro che insieme alla povertà economica sperimentano la grande miseria di una vita senza Dio.

«Il nostro cammino a Ivry ci ha condotte verso i “senza Dio” ed essi sono troppo soli perché noi vogliamo abbandonarli. È a nome loro oltre che a nome nostro che andiamo alla nostra parrocchia che dovrebbe essere la loro. Ma la loro solitudine è così grande che noi aspiriamo con tutta l’anima che altri cristiani cessino di vivere fra cristiani come se essi non esistessero, o di vivere in mezzo a loro senza donare ad essi il loro cuore e la loro carità».

Madeleine, che a 17 anni aveva scritto sul suo diario Dio è morto, viva la morte, ora sente che «senza Dio tutto è miseria», perché «per chi non crede è la vita stessa che è colpita a morte. Ogni cosa strappata a Dio è votata alla morte. Tutto è invaso dal nulla e dall’assurdo». Perciò si chiedeva: «Dio resterà morto per tutti quelli che sono accanto a noi?». Da qui il bisogno fortissimo di evangelizzare, sentito come un frutto dal tutto naturale di una vita di fede autentica e come un improrogabile dovere di giustizia.

«In un ambiente ateo per vivere bisogna evangelizzare. Evangelizzare diviene una sorta di necessità organica, un dovere prioritario del nostro stato. L’evangelizzazione è frutto di una vita, effetto normale della vita normale. L’evangelizzazione è un’esigenza dell’amore.

Noi non cerchiamo l’apostolato; è l’apostolato che cerca noi. Dio, amandoci per primo, ci rende fratelli e ci fa apostoli. Come divideremmo pane, tetto, cuore con questo prossimo che è la nostra carne, senza essere traboccanti per lui dell’amore del nostro Dio, ignorato proprio da questo prossimo? Senza Dio tutto è miseria. Per colui che amiamo, non tolleriamo la miseria, la più grande meno di ogni altra. Non essere apostoli? Non essere missionari? Ma cosa sarebbe allora l’appartenenza a questo Dio che ha inviato il suo Figlio perché il mondo fosse salvato da lui…e come?

Come non evangelizzeremo, se il vangelo è sulla nostra pelle, nelle nostre mani, nei nostri cuori, nelle nostre menti? Di fronte all’ateismo, il cristiano credente, per il fatto che egli è credente, pone attraverso la sua vita un’ipotesi vivente di Dio, proprio là dove non c’è più ipotesi di Dio».

 

NON SOLO TESTIMONIANZA

MA ANCHE ANNUNCIO

 

Ma la testimonianza della vita non è sufficiente per lei. Pur consapevole che «noi non possiamo dare la fede. È il Signore che chiama e che dà la fede», Madeleine insiste sull’importanza di annunciarla e di esprimere con chiarezza il primato di Dio.

 «Senza riferimento a Dio – che è per noi il solo bene assoluto e grazie al quale tutti gli altri beni sono buoni perché vengono da lui – la nostra testimonianza è una contro-testimonianza; senza bontà realista e smisurata fino alla carità, è come se non ci fosse testimonianza, perché è fuori dalla portata degli occhi, delle orecchie, delle mani, del cuore degli uomini. Nei due casi e in modi opposti, ma equivalenti, ci sarebbe rottura con l’insieme della testimonianza evangelica.

Per Madeleine in un ambiente ateo «vi è necessità assoluta di un annuncio (esplicito), necessità sperimentata in maniera evidente perché di ciò che solo noi possiamo dare, essi non provano né il bisogno, né il desiderio, né il gusto». Quando si è cristiani, scrive la Delbrêl, «rifiutarsi di fare tutto il possibile, ognuno al suo posto, perché il Vangelo di Cristo venga annunciato, significa rubarlo, significa rubare il suo sangue, perché è a prezzo del suo sangue che Cristo ha conquistato di forza il suo diritto di prendere la parola fino alle estremità della terra, per sempre, fino alla fine del mondo».

Il suo stile di carità fraterna, vissuta con lucidità di riflessione e ascesi del cuore, collaborando con i comunisti su obiettivi parziali senza legami organici e senza mai rinunciare a precisare le proprie motivazioni evangeliche, le guadagna la stima e l’amicizia di molti militanti del partito.

L’esperienza di Ivry modifica progressivamente la stessa fisionomia della sua comunità, sempre più preoccupata di inserirsi come semplice fraternità evangelica in mezzo alla gente, condividendo la vita e le difficoltà di tutti, attenta ai bisogni di ciascuno.

 

LA CRISI

DEI PRETI OPERAI

 

Quando negli anni ’40 si assiste a un fiorire di nuove forme di evangelizzazione – tra le quali la Mission de France, la Mission de Paris e quella di padre Loew a Marsiglia – Madeleine Delbrêl è provvidenzialmente coinvolta nelle loro ricerche iniziali, in un clima di arricchimento reciproco, e la sua comunità di Ivry viene guardata come un modello ispiratore per una presenza più efficacemente evangelizzatrice negli ambienti scristianizzati. Ella è ben consapevole della sfida e dei rischi che comporta un tale impegno missionario:

«La missione è il contatto dell’amore di Dio e del rifiuto del mondo. Il cristiano è attraversato dall’uno e dall’altro che si incontrano in lui. Non può non soffrirne come di una tentazione viva. Ma questa prova è partecipazione alla prova apostolica della Chiesa; la Chiesa è armata per superarla; la Chiesa ha la forza che può resistere e trionfare.

È così impegnativo e pericoloso essere con il Cristo in mezzo a loro [i marxisti atei]. È così difficile amarli non per quello che hanno, ma a causa di ciò di cui mancano, e altre volte di non sfuggirli fuggendo il male. Hanno un tale bisogno che li si ami senza amare ciò che essi amano, un tale bisogno che il Vangelo sia loro portato sia con ciò che ci rende amabili, che con ciò che ci fa odiare e con ciò che ci fa ridicolizzare».

Negli anni 1950 la Chiesa francese vive la grave crisi dei preti operai. Madeleine Delbrêl si adopera per aiutare i sacerdoti e i laici “missionari” a rimanere in comunione con la Chiesa e nello stesso tempo per far maturare all’interno della comunità cristiana, insieme a una corrente d’amore per i non credenti, la coscienza che il Vangelo è fatto proprio per essere testimoniato là dove non è conosciuto o accettato. «Se qualcuno ha il senso della storia, questi è Dio. Se della gente pensa che la prova attuale farà il gioco del passato, noi siamo realisti non credendo che attraverso questa prova Dio ci indica il gioco di domani? Crederlo sarebbe senz’altro per noi la condizione per ottenere il “genio” soprannaturale necessario per questa nuova tappa. Duemila anni di Chiesa ci hanno insegnato che solo questa Chiesa è adatta nel senso forte del termine a vivere il Vangelo. Ogni rinnovamento di linfa evangelica porta in sé una tentazione di evasione. Non lascia mai la Chiesa identica a ciò che era prima: o la lacera o la vivifica... e la vivifica nella misura in cui esso si fa vivificare da essa».

 

AL CUORE

DEL SUO MESSAGGIO

 

«Solo nella e attraverso la Chiesa il Vangelo è Spirito e Vita. Fuori di essa è solo spirito e non Spirito Santo. L’evangelizzazione del mondo e la sua salvezza è il mestiere stesso della Chiesa, che tende incessantemente verso il mondo, come la fiamma tende alle stoppie. Ma questa tensione sarebbe sproporzionata a chiunque volesse sostenerla da solo. Occorre tutto l’impegno possibile per rendere la Chiesa amabile. Occorrerebbe tutto l’impegno possibile per evitare tutto ciò che in essa, senza necessità, rende il suo amore indecifrabile. Occorre tutto l’impegno possibile per renderla amante. Il suo amore dipende in gran parte da noi».

Il suo pensiero e i suoi discernimenti sono rintracciabili nelle varie meditazioni tenute alla sua comunità, nelle sue numerose conferenze e lettere, e soprattutto nel suo volume del 1957: Città marxista, terra di missione, che però invita significativamente a considerare solo appunti provvisori, perché – scriveva – «eccetto quello che Gesù Cristo ci ha domandato di credere, io mi sento incapace di avere delle idee che non evolvono e con la vita e con me stessa».

Al cuore del suo messaggio vi sta la convinzione che la carità del Cristo non può rassegnarsi a lasciare i non credenti nel loro “inferno” e che d’altra parte solo una fede amputata e atrofizzata è in pericolo. Infatti, se il contatto con gli ambienti atei e secolarizzati costituisce una tentazione per il credente, quando però questi vive la sua fede con autentico realismo soprannaturale, quella prossimità non solo evangelizza gli altri, ma diventa evangelizzante anche per lui, perché gli permette di riscoprire la natura costitutivamente “violenta” della fede e lo spinge a una continua conversione.

 

«La violenza, uno stato violento, è inseparabile dalla condizione cristiana. È lo stato violento della grazia all’assalto del mondo, è innanzitutto l’assalto della grazia contro quella fibra del mondo che attraversa interamente noi stessi».

In una conferenza sulla fede tenuta a Parigi nel 1961 a 1.500 giovani del Centro Richelieu, riuniti all’Unesco in preparazione del pellegrinaggio di Chartres, confida: «Questa convinzione si è formata in me durante i lunghissimi anni che ho passato in uno stesso ambiente di non credenti. Se questo ambiente è generalmente comunista, questo non significa che la mia convinzione sia valida solo per esso. (...) ho trovato in questo ambiente non credente delle condizioni favorevoli a una nuova conversione, a una conversione a una fede più autentica, più vera, più sana. (...) delle condizioni particolarmente favorevoli per l’evangelizzazione di questo ambiente.

 

I contatti con l’ateismo attuale o con la non credenza o con l’indifferenza, non debbono essere solo generatori della carità missionaria: debbono essere generatori di una fede vitalizzata, di una fede dilatata per ricevere più luce.

In effetti tali contatti ci conducono a non considerare più il dono della fede, la capacità che essa ci offre di contemplare Dio, come un fatto abituale, ma come un tesoro straordinario e straordinariamente gratuito.

Questi contatti ci insegnano a essere abbagliati dalla grazia. Ci conducono a percepire poi a vivere lo stato d’animo del neofita che noi siamo stati spesso in maniera troppo inconsapevole. Ci rivelano una profondità di ringraziamento che non avremmo altrimenti conosciuto. Normalmente, se ci fanno penetrare in una ansietà, in un certo dolore missionario, chiariscono i veri fondamenti della gioia cristiana».

 

IMMERGERE NEL TEMPO

L’AMORE DI DIO

 

Per Madeleine Delbrêl il cristiano, chiamato a innestare nel tempo che cambia l’amore eterno di Dio per ogni uomo, può compiere tale missione solo se, nella piena docilità al soffio dello Spirito, costantemente radicato nel Cristo del Vangelo e incessantemente innestato sull’asse della Chiesa, fa della croce il perno indispensabile della propria vita, che conduce all’essenziale del dinamismo teologale.

«Noi siamo “caricati” di energia senza proporzioni con le misure del mondo: la fede che solleva le montagne, la speranza che nega l’impossibile, la carità che fa ardere la terra. Ogni minuto della giornata, non importa dove esso ci voglia o per che cosa, permette a Cristo di vivere in noi in mezzo gli uomini.

La fede non è l’impegno temporale della vita eterna? Per vivere della nostra fede nel nostro tempo e nel nostro mondo oggi e qui; per poter realizzare la nostra vocazione alla fede, essere davvero in questo mondo e in questo tempo, siamo forzati ad accordare la nostra vita cristiana a tutto ciò che è, attualmente, accelerato, momentaneo, immediato, siamo forzati non a credere diversamente, ma a vivere diversamente, non ad adattare la fede a questa realtà temporale movimentata fino all’eccesso; ma ad adattarci a questo movimento, adattarci a riconoscere, scegliere, fare la volontà di Dio in questo movimento. Dobbiamo imparare ad adattare rapidamente alla fede noi stessi e le circostanze. Ora noi non siamo preparati al rapidamente. Lo status quo, quando lo si guarda da vicino, sembra essere l’atteggiamento più micidiale per noi; forse perché in rapporto alla fede è – se lo si può dire! – contro-natura!».

Madeleine Delbrêl muore il 13 ottobre 1964, il giorno in cui un laico prende la parola al Concilio, ma la sua testimonianza è di estrema attualità. Questa donna, che su molti punti ha anticipato profeticamente il rinnovamento conciliare, può essere un riferimento ispiratore nel nostro tempo di cambiamenti rapidi che esigono una profonda conversione di tutta la vita ecclesiale in senso missionario. Possiamo applicarle quanto lei stessa scriveva a proposito dei santi: «A ogni tornante della storia sembra proprio che il Signore abbia voluto fare a certe vocazioni il dono di vivere il suo Vangelo alla lettera, affinché la loro carne e il loro sangue ne siano come l’edizione provvidenzialmente destinata agli uomini del loro tempo».

 

don Luciano Luppi