NELL’ATTUALE CRISI DELLE VOCAZIONI

CHI SONO I NUOVI CANDIDATI?

 

Rispetto al passato è cambiato tutto il contesto da cui provenivano le vocazioni. Oggi i giovani candidati sono abituati a vivere in un mondo postmoderno i cui tratti poco si adattano alle vecchie strutture della vita religiosa. Ciò pone interrogativi e problemi del tutto nuovi nel campo della formazione.

 

La crisi dovuta alla mancanza di vocazioni così come oggi si presenta nelle regioni mitteleuropee ha raggiunto delle punte a dir poco drammatiche. Molti istituti ormai da anni non hanno più alcuna vocazione; in alcuni altri ne entra qua e là qualcuna, ma anche queste poche finiscono ben presto per andarsene. Solo pochi istituti possono ancora contare su un certo numero di novizi e novizie.

In linea generale a soffrire maggiormente di questa crisi sono gli istituti femminili in cui i nuovi ingressi sono ancora più esigui rispetto a quelli maschili. Non sono esenti da questa crisi nemmeno le comunità monastiche soprattutto femminili che fino alla metà degli anni ottanta reggevano ancor bene il passo, ma oggi sono in gran parte senza alcuna nuova vocazione. In Germania, gli istituti maschili che hanno ancora un certo numero di membri sono i benedettini (800 professi e 20 novizi), i francescani (480/13), i salesiani (381/0) i missionari di Styl (336/0) e i pallottini (334/4).

Dal momento che non si intravede alcuna svolta in questa tendenza, è da prevedere che, non solo in Germania, ma in tutta la zona mitteleuropea, gli istituti tradizionali, finiranno con lo scomparire.

In questa difficile situazione ci sono tuttavia ancora alcuni giovani che chiedono di entrare nella vita religiosa. Non è fuori luogo perciò domandarsi che cosa li spinge a compiere questo passo. Entro quale contesto sociale e culturale si sviluppa oggi una “vocazione”? Quale profilo presentano queste nuove vocazioni?

A riflettere su questi interrogativi è Stefan Kiechle, maestro dei novizi dei gesuiti, ma con grande esperienza per i numerosi corsi tenuti a novizi e novizie anche di altre congregazioni.1

 

CONTESTO

CULTURALE

 

Anzitutto, da dove provengono oggi le vocazioni? Secondo p. Stefan, il contesto e il quadro culturale in cui queste sbocciano è quello “postmoderno”. Si tratta di un mondo i cui tratti caratterizzanti sono i seguenti: flessibilità, mobilità, costante adattamento al nuovo, culto dell’immagine personale, della corporeità e creatività, possibilità di effettuare sempre nuove scelte, gestione personale del tempo libero, consumismo e divertimento, ricerca attiva di amicizie e di rapporti in un mondo fatto di anonimato…

Gli istituti religiosi claustrali – e tali sono in parte anche gli istituti di vita “attiva” soprattutto femminili – richiedono invece delle virtù di tutt’altro genere: sottomissione a strutture predeterminate e formalizzate, la stabilitas, il vincolo per tutta la vita mediante i voti, la rinuncia al consumismo e all’individualismo, il distacco dai rapporti, il riconoscimento di forti autorità e istituzioni, l’adattamento a usi che hanno dietro di sé decenni o dei secoli in conventi invecchiati e irrigiditi. Una realtà del genere, sottolinea p. Stefan, tende ad attirare a sé personalità deboli che cercano nel convento rifugio e protezione per fuggire da un mondo pieno di competizione e di richieste. Purtroppo, osserva il padre, diversi piccoli istituti cedono alla tentazione di accogliere queste deboli vocazioni, non adatte alla vita religiosa del futuro. Ed è un grosso rischio.

A tutto questo, nell’attuale contesto, si aggiunge il diverso modo di guardare alla vita religiosa. Diversamente dal passato, oggi non solo essa non è compresa, ma è guardata anzi con sospetto, e spesso persino disprezzata. Per molte famiglie il fatto che qualcuno o qualcuna dei loro figli abbracci la vocazione alla vita religiosa costituisce un abbassamento nella scala sociale; per questo esse cercano in tutti i modi di contrastarla.

 

RAPPORTO

CON I VOTI

 

Un secondo interrogativo riguarda il rapporto con i voti di povertà, castità e obbedienza. In passato – e questo vale per i religiosi più avanti negli anni, provenienti spesso da famiglie cattoliche piccolo borghesi – molti giovani vivevano già a casa loro una vita conforme ai consigli evangelici: le famiglie praticavano la frugalità, dato anche il livello di vita più basso, al punto che coloro che entravano nella vita religiosa trovavano uno standard di vita più alto. Vivevano anche casti, spesso fino al matrimonio; e nelle famiglie patriarcali e in una cultura industriale dovevano sottomettersi e obbedire.

Oggi un ambiente del genere non esiste più. Inoltre i candidati entrano a un’età più adulta e raramente prima del loro ingresso hanno vissuto una vita secondo i consigli evangelici. La maggior parte lavorano e dispongono con libertà di sostanziosi mezzi finanziari; la vita nell’istituto significa materialmente un abbassamento e l’uso del denaro è avvertito come qualcosa di rigido e controllato. Molti inoltre prima dell’ingresso hanno avuto esperienze sessuali. In passato, il noviziato tracciava un taglio netto con la vita precedente; anche oggi in linea generale il noviziato richiede una presa radicale di distanza dai comportamenti precedenti e dai relativi valori. Ma è una scelta che esige una lotta contro l’ambiente sociale, le sue attese e plausibilità.

Anche questo spiega la ragione per cui il numero dei candidati oggi è così esiguo. Forse, sottolinea p. Stefan, sarebbe più esatto dire: è sempre un miracolo quando, in circostanze del genere, uno ha il coraggio di intraprendere la via del dono di sé in un istituto. Come si può spiegare un prodigio del genere?

Ma da dove provengono quelli che entrano? Per gli istituti clericali e monastici, rileva p. Stefan, si possono distinguere grosso modo tre tipi di candidati. Il primo gruppo è rappresentato dai classici operatori ecclesiastici: sono giovani che provengono da buone famiglie cattoliche e che ben presto si sono impegnati nel servizio in parrocchia, come ministranti o guide di gruppi, che hanno avvertito l’attrattiva al sacerdozio e subito dopo gli esami di maturità sono entrati in noviziato come una scelta logica di vita. Questo gruppo tuttavia negli ultimi decenni si è assottigliato, ma continua a costituire ancora una buona parte delle vocazioni.

Il secondo gruppo è quello dei teologi, ossia individui che hanno scelto lo studio della teologia per interesse personale e che alla fine degli studi entrano in seminario e diventano preti. Molti tuttavia preferiscono bussare alle porte delle comunità religiose anche se con poca gioia dei loro vescovi. Ma anche questo gruppo è attualmente diminuito, dal momento che il numero di coloro che studiano teologia è in forte calo.

Il terzo è quello dei neoconvertiti. Sono individui spesso molto convinti e impegnati, ma privi di una mentalità ecclesiale, per cui durante il noviziato hanno bisogno di una catechesi molto accurata. Molto opportunamente perciò il codice canonico chiede un periodo di tre anni tra la conversione e l’ingresso nell’istituto. Questo gruppo negli ultimi anni è aumentato, mettendo però i noviziati di fronte a nuove sfide.

Per quanto riguarda le candidate agli istituti femminili, non esiste una chiarezza di profili come in quelli maschili. L’aspetto che maggiormente emerge è l’età piuttosto avanzata di coloro che chiedono di entrare, spesso al di sopra dei 40 anni. Si tratta in genere di persone ormai mature, inserite nel tessuto della società, abituate a vivere in maniera autonoma e a gestire la propria vita secondo abitudini ormai consolidate. Tutto ciò pone certamente dei problemi nuovi per la formazione in noviziato. È comunque opinione comune che il futuro degli istituti femminili dovrà fare affidamento su queste vocazioni che costituiscono la maggioranza delle nuove entrate.

 

DESIDERIO

DI AUTOREALIZZAZIONE

 

Le ragioni che inducono a entrare in un istituto, osserva p. Stefan, devono comunque essere chiare e forti. In genere, nei nuovi candidati sono quasi sempre presenti le motivazioni spirituali; senza di esse del resto sarebbe impensabile riuscire a superare il grosso ostacolo dell’ingresso in noviziato. Mentre in passato giocavano un ruolo dominante il desiderio di una promozione sociale e l’attrattiva per una determinata attività, oggi invece è sentito più importante il conseguimento di una spiritualità personale, a forti tinte individuali, e il dono di sé. Gli ordini antichi vedono in questo un’opportunità reale e significativa. Ma questo desiderio di spiritualità diventa ambiguo quando un individuo cerca piuttosto un “nido spirituale” in cui fuggire dal mondo o quando questa non ha i piedi per terra ed è disincarnata.

La ricerca di una spiritualità comunque è determinante. Non per nulla gli istituti che hanno una spiritualità ben definita e veneranda, come gli antichi ordini, hanno più vocazioni che non le congregazioni sorte nei secoli XIX-XX in cui è invece predominante il lavoro.

Altri candidati cercano invece una comunità di sostegno. Spaventati dall’isolamento e dal deserto delle grandi città moderne, desiderano vivere e lavorare insieme a persone che hanno i loro stessi sentimenti. Questo motivo, sottolinea p. Stefan, oggi è molto più frequente di un tempo. Bisogna tuttavia domandarsi se questi candidati abbiano delle attese irrealistiche riguardo alla comunità, che questa non è in grado di soddisfare. Ci vorrà pertanto molta fatica a introdurre questi candidati a un tipo di vita comunitaria più malleabile e matura.

Un ostacolo può essere una comunità chiusa in se stessa, anziché essere un luogo di incontro e di scambio verso l’interno e verso l’esterno. Per gli ordini le attese dei nuovi candidati nei riguardi della vita comune costituiscono naturalmente una sfida e una provocazione a ripensare la loro vita di comunità e a rinnovarla nel senso che quella tradizionale oggi non è più sostenibile.

Un altro motivo che induce a cercare la vita religiosa è la realizzazione di sé. Le persone oggi non sono più disposte, come in passato, a “sacrificare” e a “rinnegare se stesse”; al contrario vogliono realizzare le proprie aspirazioni spirituali, pastorali e missionarie. È questa la ragione per cui attraggono oggi maggiormente gli ordini che offrono una buona formazione moderna e nuovi interessanti campi di lavoro che non quelli che si occupano delle attività tradizionali come la cura dei malati, l’insegnamento, ecc., anche perché questo genere di attività si può svolgere con meno stress e una vita più confortevole senza appartenere ad alcun ordine religioso.

 

UN IMPEGNO

PER SEMPRE?

 

Alla base delle nuove vocazioni vi sono anche altre ragioni, osserva p. Stefan. Ciò che comunque è decisivo è che esse poco alla volta siano chiarite e integrate così da rafforzare le vere motivazioni che stanno a fondamento della vita religiosa. Se invece permangono le ragioni basate sulla ricerca di sé, sarà impossibile con l’andare del tempo vivere una vita gioiosa e feconda.

Un tema che nella nostra cultura postmoderna ha assunto una grande importanza è quello della sessualità. Nel modo di pensare comune, il suo esercizio è considerato un diritto umano. Un genere di vita basata sulla rinuncia volontaria ai rapporti esclusivi e all’attività sessuale deve essere particolarmente significativa, vivibile e gratificante, poiché solo così diventa una testimonianza. Purtroppo, sottolinea p. Stefan, soprattutto nelle comunità femminili, c’è poca informazione e l’argomento è spesso un tabù. Nell’esame circa l’idoneità alla vita religiosa occorre fare attenzione che le esperienze dolorose e spesso traumatiche del passato siano fisicamente e spiritualmente superate e che le ragioni che inducono a entrare non siano caratterizzate da tendenze di fuga. Persone che hanno saputo integrare le ferite e le loro esperienze negative possono diventare dei buoni religiosi/e e dei buoni pastori d’anime.

Un altro problema che oggi si pone riguarda l’appartenenza per tutta la vita, richiesta dagli istituti religiosi. Ma il “tutto o niente” suona a molti come qualcosa di anacronistico. Succede pertanto che persone bene intenzionate bussino fiduciosamente alle porte dei conventi, ma dopo un po’ di tempo, prima di impegnarsi definitivamente, se ne vanno.

Diverso invece è la situazione che si riscontra nei nuovi movimenti, dove l’appartenenza è molto più malleabile: uno infatti può legarsi al gruppo con vincoli più stretti, anche di tipo comunitario, oppure vivere in famiglia o abitare per conto suo e fare altre scelte del genere. Inoltre, essendo i gruppi permeabili tra di loro, è possibile nel corso della vita passare senza traumi da uno all’altro cambiando così l’appartenenza.

Di fronte a questi nuovi sviluppi, p. Stefan pone alcune domande: questi movimenti hanno più richieste perché si adattano meglio ai bisogni dei loro membri? Gli istituti religiosi potrebbero sviluppare simili modelli di appartenenza differenziati? È ipotizzabile un’adesione per alcuni anni – sul modello, per esempio, del monachesimo buddista – quale possibile e significativa alternativa? Oppure essi dovranno andare contro lo spirito del tempo continuando a chiedere alle nuove vocazioni un impegno totale e il coraggio di un dono di sé per tutta la vita? Sono domande – conclude – che oggi non si possono più eludere.

 

A. D.

 

1 Mut zur Lebenshingabe. Zur Situation des Ordensnachwuchses in Deutschland, in Herder Korrespondenz, luglio 2004, pp. 336-340.