L’AMORE DI DIO È AMORE CREANTE
Il molto frutto che Gesù attende da noi è di qualità caritatevole e sulla linea
della creatività: è ciò che dobbiamo vivere per essere Chiesa fedele al suo
Signore.
Sulla creatività dell’amore noi cristiani possiamo e
dobbiamo essere i più esperti del mondo, perché ci è dato – e a tutti vogliamo
comunicarlo – di collaborare con la prima azione in assoluto, quella della
Carità creatrice.
Del Verbo divino si dice con precisione che «senza di lui
niente è stato fatto di tutto ciò che esiste» (Gv
1,3) e che anzi «tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di
lui» (Col 1,16). Con queste due sole frasi tutta la logica divina (poiché il
Verbo è Logos, e di logica qui si ragiona) è sintetizzata ed esposta per noi.
Sappiamo infatti che il Verbo è «Dio presso Dio» (Gv
1,1) e che tale vicinanza è nella realtà origine d’amore e unione d’amore.
La carità, divina agape, regge intimamente e costituisce
nell’eterno il divino esserci; ciò sapendo, e leggendo poi nella Parola quelle
frasi sull’essenza della creazione, ci è elementare dedurne che lo stesso amore
ha provocato anche il mondo e tutto ciò che esso significa, contiene ed è.
Che sia stato l’amore a far essere il mondo, e non il
mondo a far essere l’amore, è verità antica; ma le conseguenze di una tale
impostazione dell’intero problema dell’essere siamo invece ben lontani, proprio
noi che la ammettiamo per fede, dall’averle adottate come educazione familiare,
saperi scolastici, fondamento etico, anima di consuetudini sociali, ossia
civiltà precisa di un popolo, quello che appunto siamo.
La vera «regola d’oro» dell’esistenza infatti sta qui:
che il primo dialogo in assoluto fra uno e un altro, dovunque e comunque essi
si trovino di fronte in un qualsiasi momento, suoni: «Non è perché tu ci sei,
che io ti amo; è perché ti amo che tu ci sei». L’esatto contrario dell’incontro
che distrugge l’altro, l’emblematico «Caino alzò la mano contro il fratello
Abele e lo uccise» (Gen 4,8).
L’amore è tutto meno che pura considerazione, perché la
sua è energia unitiva per eccellenza e perciò non è
racchiudibile in nessun pensiero positivo, sebbene conosca e usi ogni pensiero
positivo che gli schiuda l’unione.
Il molto frutto che Gesù, la
vera Vite, la Verità fatta espansiva fecondità, si attende non è di qualità
illuministica ma caritatevole, ciò che sempre la Chiesa ha saputo e ha vissuto
nella misura della fedeltà al suo Signore. Inoltrarsi nell’umano dunque, con
quel tipico movimento che Gesù ha espresso
ripetutamente con semplicissime parole essenziali rivolte all’esistente: «Vuoi
guarire?» (Gv 5,6); «Non piangere!» (Lc 7,13); «Fanciulla, io ti dico, alzati!» (Mc 5,41); «Sento compassione di questa folla» (Mt 15,32). È questa la penetrante creatività dell’amore,
ciò che distingue il cristiano, ancor prima che dinanzi a chiunque, dinanzi a
se stesso, ossia nel suo riconoscersi cristiano, oppure non cristiano, nella
propria coscienza testimone.
Va da sé che tale consapevolezza o è dominante, o
rapidamente diviene, sotto i colpi dell’egoismo che la detesta, una miserevole
cenerentola. Va ancora da sé che qui vi è in gioco una potenza diversa e
sovrumana, «la potenza di Dio che ha risuscitato Cristo dai morti» (Col 2,12).
Si tratta di vivere per quelli che siamo, piccole persone
coinvolte dalla vita di ben più grande Persona che è lo Spirito; per noi questa
è nozione catechistica elementare, ma quanta trasformazione in realtà implica,
trasformazione che non finiamo di perfezionare! Perché il battezzato e
confermato nello Spirito, il nutrito di eucaristia sa di non aver più diritto
di rinchiudersi nella sua personalità storica, quella che gli sarebbe propria
anche se egli non credesse in Dio.
Il cristiano vive sottoposto allo Spirito ed elevato nel
cambiamento.
Soggetto di un amore creante che è quello di Dio.
Non c’è rischio di esagerare, quanto a ciò che ci si può
attendere da lui, e i santi e le sante del popolo di Dio ne sono prova
inesauribile. È però tale serena autointerpretazione,
che spesso ci viene a mancare.
Sicuri e convinti nel pensarci e presentarci a tutti con
i nostri dati anagrafici, professionali, sociali, i quali pure ci convengono
meritatamente in questo mondo, diveniamo incerti, quasi reticenti nel
manifestare che il nostro fine più proprio è vivere un amore creante che ha per
obiettivo ogni altro attorno a noi, secondo il grado di incontro che possiamo
stabilire con lui.
Giuseppe Pollano
da Per una nuova
cultura di carità, Ed. Studium
2003