SCOMPARSA DI FRATEL ETTORE BOSCHINI
UN GIGANTE DELLA CARITÀ
Incaricato di
accogliere i poveri che bussavano alla porta, si rese conto della triste condizione
in cui versavano centinaia di persone, chiamate barboni, terzomondiali,
drogati, vittime dell’AIDS… Trovando insufficiente dare loro un pezzo di pane,
andò a cercarli dovunque si trovassero.
Sono trascorse alcune settimane dalla morte del fratello camilliano
Ettore Boschini, da tutti conosciuto come fr. Ettore.
Durante i giorni che hanno fatto seguito al suo passaggio
all’altra riva ho seguito il susseguirsi di manifestazioni di stima e di
affetto verso la sua persona e di grande apprezzamento dell’opera da lui
compiuta in favore dei più poveri tra i poveri. È stato come se la comunità
ecclesiale e civile, ormai abituata a vederlo agire nel mondo
dell’emarginazione con le sue caratteristiche modalità, prendesse
improvvisamente coscienza della straordinarietà della sua azione,
riconoscendone il grande valore.
In una lettera inviata da Gerusalemme e letta
dall’arcivescovo di Milano, card. Dionigi Tettamanzi, durante le esequie
celebrate il giorno 23 agosto u.s. nella basilica di S. Ambrogio di Milano, il
card. Carlo Maria Martini ha riassunto quanto è stato detto e scritto su fr.
Ettore, definendolo un gigante della carità.
Qual è stato il messaggio che questo religioso
dell’ordine di san Camillo ha lasciato alla società, alla Chiesa e alla vita
consacrata? Ricavo la risposta a questo interrogativo dalle numerose esperienze
di condivisione vissute con lui durante questi ultimi due decenni.
CAMBIATO
DOPO UN PELLEGRINAGGIO
Nato a Belvedere di Roverbella in provincia di Mantova
nel 1928, fu presto costretto dalla povertà a vagare alla ricerca di lavoro in
vari luoghi del mantovano e del veronese. Come tanti altri adolescenti, non
aveva potuto sottrarsi a esperienze negative che l’avevano portato ad
allontanarsi dalla pratica cristiana con atteggiamenti ribelli. Un cambiamento
abbastanza radicale avvenne in occasione di un pellegrinaggio al santuario
della Madonna della Corona, in provincia di Verona, cui aveva partecipato più
per curiosità che per devozione. Più tardi, egli parlerà di quel cambiamento come
di una vera radicale conversione dovuta all’intercessione della Vergine
Immacolata.
Quando entrò nell’ordine camilliano, a Verona, aveva 23
anni. Era stato indirizzato verso quell’istituto dal parroco, che aveva visto
in lui una propensione al servizio dei malati. Durante il periodo del
noviziato, fr. Ettore ebbe modo di approfondire la conoscenza di san Camillo
studiandone la vita, ma soprattutto praticando l’assistenza degli anziani non
autosufficienti in una piccola casa di riposo annessa alla casa di formazione.
Terminato il noviziato, fr. Ettore venne destinato
all’ospedale “San Camillo” di Venezia-Alberoni, dove per poco più di un
ventennio esercitò il servizio agli ammalati. Quel tipo di ministero
corrispondeva alla sua vocazione, ma non esauriva il desiderio profondo del suo
cuore. Fu a Milano che egli poté dare libero sfogo all’ardore caritativo
secondo uno stile molto personale.
Incaricato di accogliere i poveri che bussavano alla
porta della Casa di Cura San Camillo egli si rese conto della triste condizione
in cui versavano centinaia e centinaia di persone, chiamate con vari nomi:
barboni, terzomondiali, drogati, vittime dell’AIDS… facenti parte, tutti, della
medesima categoria, quella degli ultimi. La sofferenza di quegli individui gli
feriva il cuore, per cui, trovando insufficiente dare loro un pezzo di pane,
andò a cercarli: alla stazione centrale, nei quartieri più vulnerabili della
città, creando per loro dei luoghi di accoglienza, prima a Milano – alla
stazione centrale e nel Villaggio delle misericordie – poi anche fuori del
capoluogo milanese: a Seveso, a Roma, in Abruzzo, a Bogotà e Cartago
(Colombia). Nelle sue istituzioni trovano attualmente accoglienza più di
cinquecento persone.
Intorno all’opera di fratel Ettore si è sviluppato un grande
movimento di solidarietà. Persone di ogni ceto sono state coinvolte, in modi
diversi, nella realizzazione del suo progetto caritativo, senza lasciarsi
scoraggiare dal suo stile di animazione certamente originale e, a volte,
discutibile. Ciò che faceva da calamita era la sua passione per gli ultimi.
Passione è il termine giusto per esprimere quello stato d’animo che trascina
irresistibilmente a compiere qualcosa, in questo caso a mettere al centro
dell’attenzione coloro che non avevano voce per proclamare i propri diritti.
Battendosi in favore degli emarginati, fr. Ettore ha
optato di lavorare alla periferia, quel luogo cui le persone consacrate,
secondo il pensiero di John Sobrino, dovrebbero tendere, insieme, al deserto e
alla frontiera. Il luogo della solidarietà con gli ultimi. L’esortazione
apostolica Vita consecrata invita i religiosi a privilegiare, «nelle loro
scelte, gli ammalati più poveri ed abbandonati, come gli anziani, i disabili,
gli emarginati, i malati terminali, le vittime della droga e delle nuove
malattie contagiose» (n. 83).
Ciò spiega gli atteggiamenti polemici da lui assunti
verso le istituzioni civili e religiose, non escluse quelle dell’ordine
religioso cui apparteneva. Il suo era un profetismo a volte espresso in maniera
rude e anche indisponente, ma sempre un profetismo autentico. Attraverso la sua
voce si esprimeva quella di tanti poveri e ammalati lasciati marcire sui
marciapiedi, non accolti negli ospedali perché non in regola con i documenti,
cacciati da un luogo all’altro, mortificati nella loro dignità. La finalità
delle sue prese di posizione è stata bene espressa dalle seguenti parole
pronunciate dal card. Tettamanzi nell’omelia funebre: «Da questo uomo in tanti
hanno ricevuto il bene più prezioso e raro, il ricupero della loro dignità e il
riaccendersi di una rinnovata fiducia nella vita». Proprio per questo il suo
atteggiamento profetico è stato benefico per molti. È quanto intendeva dire
anche l’attuale superiore generale dei camilliani, p. Frank Monks, nel suo
breve ma intenso intervento durante il funerale nella basilica di
Sant’Ambrogio, affermando che fratel Ettore era «per noi una spina nel fianco,
ma una spina di cui avevamo bisogno».
ACCANTO
AI RELITTI UMANI
Il profetismo di fratel Ettore, tuttavia, non si manifestava
solo nel confrontare in maniera forte persone e istituzioni. In lui la
dimensione profetica veniva esercita anche attraverso il prendersi cura con
tenerezza e compassione dei poveri e dei malati. Tante sono le fotografie che
lo ritraggono nell’atto di avvicinare relitti umani negli angoli delle strade.
Ho potuto più volte constatare personalmente questo suo atteggiamento. Una
volta, durante il periodo natalizio, mi ha chiesto di accompagnarlo a visitare
i poveri nella stazione Termini di Roma. Arrivati a destinazione, egli si è
subito diretto con la sicurezza di un esperto verso gli angoli dove sapeva che
c’erano i suoi poveri. Con uno stile ineguagliabile sapeva stabilire con loro
una relazione, accompagnando le parole con un linguaggio non verbale cui i
poveri non sapevano resistere. Attraverso quei gesti, la sua condanna
dell’ingiustizia assumeva maggiore credibilità.
Questo suo atteggiamento non contrastava con la severità
con cui esigeva disciplina, anche ferrea, quando le persone che raccoglieva
nella strada o nelle stazioni entravano nelle sue case.
L’amore misericordioso che fratel Ettore ha saputo
esprimere ai malati e ai poveri trovava la sua sorgente in un cuore che batteva
in sintonia con quello di Cristo, divino samaritano delle anime e dei corpi. Mi
ha sempre edificato la profondità della sua relazione con il Signore, che lo
portava a fare della persona del Cristo il punto supremo di riferimento. Più
volte mi sono sentito preso da ammirazione e anche da invidia nel notare il
coraggio con cui egli esprimeva la sua fede, utilizzando tutte le occasioni per
parlare di Dio e della Madonna. Sapeva essere esplicito dove molti ritenevano
opportuno rimanere generici e sfumati, magari per non urtare la sensibilità
della gente. Ciò che ha confermato in me la certezza della sua profonda vita
nello Spirito è stata la continuità del suo slancio spirituale che si
esprimeva, nei momenti belli come in quelli oscuri e drammatici, nella
preghiera costante, nell’offerta della propria sofferenza, nell’azione di
grazie. Sul suo modo di pregare e di far pregare si poteva anche discutere, e
certe pratiche e manifestazioni religiose si prestavano alla critica. Mai,
però, poteva essere contestata l’intensità e il valore dei sentimenti che lo
muovevano.
La sua carità verso i poveri e gli ammalati non poteva
che nascere da un cuore abitato da un amore ardente verso il Signore. Pensando
a questo mi è venuta in mente l’immagine del razzo che Urs von Balthasar usa
per descrive il duplice movimento spirituale della vita cristiana e che, a mio
parere, ha trovato una bella realizzazione nell’esistenza di fratel Ettore:
«Ripido vola il raggio di fuoco dell’amore verso il cielo, si concentra,
scoppia (nell’attimo dell’estasi), e mille scintille discendono rapide e sempre
più rapide verso la terra: Dio manda te, lacerato a pezzi, ti rimanda ai suoi
fratelli».
LE TRE LUCI
DELLA SUA VITA
Nel cielo della sua vita nello Spirito brillavano tre
luci particolari: il Cristo della misericordia, la Vergine Immacolata e san
Camillo.
La particolare devozione di fratel Ettore al Cristo
misericordioso, promossa da santa Faustina e autenticata da precisi interventi
di Giovanni Paolo II, aiuta a comprendere con maggiore accuratezza un aspetto
della sua spiritualità. Nelle iniziative di carità egli puntava non solo a
salvaguardare la dignità delle persone ma anche a promuoverne la salvezza,
appellandosi alla misericordia divina. La filantropia diventava così carità non
solo perché motivata soprannaturalmente, ma anche perché si dirigeva alla totalità
della persona.
Nel suo amore al Cristo misericordioso vi era anche
quella dimensione riparatrice rintracciabile nella maggior parte delle anime
mistiche, così profondamente unite al Signore da avvertire in maniera acuta
l’ansia di riparare le offese inferte all’oggetto del loro amore.
Per quanto riguarda la devozione alla Madonna, il
pensiero corre subito alla statua che, issata sul suo furgoncino, percorreva le
strade di Milano e a quelle che portava sempre con sé, in Italia e all’estero.
Evidentemente le statue non erano che un segno del suo
profondo amore verso la Madre del Signore che trovava anche molte altre
manifestazioni esterne, come lo sgranare costante di rosari e la melodia di
canzoni ricche di affettività spirituale.
Dopo il Cristo della misericordia e la Vergine
Immacolata, è san Camillo che ha trovato maggiore spazio nel cuore di fratel
Ettore. Ne aveva studiato accuratamente la biografia e gli insegnamenti e
cercava di riprodurne nella propria vita e nel proprio apostolato i tratti caratteristici.
Del fondatore egli ha imitato in modo particolare l’amore verso gli ultimi, la
mobilità che gli consentiva di correre là dove emergevano bisogni urgenti, la
visione di fede che lo portava a inginocchiarsi davanti al malato.
La notevole visibilità di fratel Ettore, che sapeva
utilizzare i mass media, non poteva non suscitare reazioni contrapposte.
Giornali di sinistra lo hanno a volte attaccato, criticando il suo stile
assistenzialista, poco incisivo per la risoluzione dei problemi sociali. Nel
rispondere a tale critica, fratel Ettore echeggiava madre Teresa, da lui
incontrata più volte, sostenendo che non si potevano lasciare marcire degli
esseri umani in attesa di cambiare la situazione sociale.
Più frequenti delle critiche sono stati però i
riconoscimenti. L’amicizia di tante personalità del mondo ecclesiastico,
l’Ambrogino d’oro della città di Milano e la medaglia d’oro della regione
lombarda, le due biografie scritte da giornalisti di spicco non sono che i
segni più appariscenti della stima che la sua persona e la sua opera
riscuotevano a livello civile ed ecclesiale. Il tributo più eloquente, però, è
stato quello della gente comune e dei suoi poveri, accorsi numerosissimi ai
suoi funerali.
La salma di fratel Ettore riposa nella cappella della
Casa Betania dei Cuori di Gesù e di Maria, a Seveso (Milano). Quella tomba
contribuirà a mantenere vivo il messaggio da lui lasciato all’ordine
camilliano, cui apparteneva, e a tutto il popolo di Dio. Uno stimolo a
ricordare che se il cuore di Cristo era sensibile a ogni essere umano, esso
vibrava soprattutto per i sofferenti nel corpo e nello spirito a causa della
malattia e della povertà e, tra di essi, per i più abbandonati. Un richiamo
forte al dovere di contribuire a dare dignità a quanti sono vittime
dell’emarginazione.
Questo dovere, fratel Ettore lo ha attuato con la
tenerezza di una madre e la forza di un profeta. Sull’esempio di Gesù, nel cui
intenso amore trovava alimento la sua ardente passione per l’uomo.
Angelo Brusco