GIOVANI MONACI E MONACHE A CONVEGNO
TRA PERSONA E COMUNITÀ
Il convegno ha
sottolineato l’importanza di armonizzare nella vita comunitaria gli elementi di
autonomia ed eteronomia facendo sì che l’autonomia personale interagisca al
positivo con la comunità e che la comunità, a sua volta, promuova la persona
sollecitandola verso l’alterità, l’amore reciproco e l’amore dono.
«Il cammino tra persona e comunità. Rapporto tra
autonomia ed eteronomia»: su questo tema si è tenuto dal 13 al 16 luglio scorso
presso il monastero di S. Vincenzo Martire, a Bassano Romano, il biennale
incontro dei giovani monaci e monache delle congregazioni benedettine italiane,
a cui quest’anno si è aggiunta anche la partecipazione dei monaci cistercensi.
Il convegno è stato organizzato dalla CISB-OC, Conferenza dei superiori
maggiori benedettini e cistercensi.
I relatori per tutte e tre le giornate sono stati don
Giuseppe Sovernigo, sacerdote della diocesi di Treviso e docente presso la
Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale, sezione di Padova, e la dott.ssa
Maria Grazia Smajato, specialista in psicoterapia. L’iniziativa, che si tiene
ormai da diversi anni, è stata realizzata grazie alla collaborazione tra la
commissione per gli studi della congregazione cassinese e della congregazione
sublacense, ma è stata rivolta, come sempre, oltre che a tutte le altre
congregazioni maschili, anche ai diversi monasteri femminili.
Il tema di quest’anno ha avuto come obiettivo quello di
sottolineare l’importanza del cammino monastico come interazione dialettica tra
persona e comunità: parlare di vita monastica significa porre come necessità,
per una piena e matura realizzazione, l’armonia tra queste due realtà. I
relatori hanno poi strutturato il convegno in modo da alternare i momenti delle
relazioni con altri di laboratorio, in cui ciascun gruppo doveva confrontarsi
per trarre poi delle riflessioni da riferire in assemblea. Il primo di questi
incontri si è basato sull’individuazione dei cosiddetti “territori” di cui
ciascuno di noi è formato: «Ogni persona può essere vista attraverso il tipo di
territorio vitale cui dà luogo e in cui si esprime. Questo territorio traduce e
quasi rende visibili i tre elementi basilari della persona: la sua identità da
attuare, le sue relazioni vitali da stabilire, la sua vocazione/missione da
realizzare». Esistono diversi tipi di territorio:
– territorio prateria: corrisponde a quel genere di
persone che è aperto a tutto e a tutti, che non sa mai dire di no, che pur di
far piacere agli altri rinuncia a quel sano amore di sé. Manca un recinto
preciso e determinato che delimita chiaramente lo spazio vitale, portando come
esito a una più o meno manifesta compiacenza, dipendenza affettiva, ricerca di
un consenso condizionante, di una strumentalizzazione che a lungo andare
soffoca la personalità;
– territorio trincea: riguarda quelle persone che sono
caratterizzate da un perdurante stato difensivo, per cui si sono costruite
delle “trincee” in cui si rifugiano e si pongono al sicuro in caso di pericolo,
reale o presunto che sia. In genere in questa tipologia rientrano coloro che
non accettano correzioni, a meno che non siano proposte in un modo elegante,
che tengono gli altri a debita distanza, mostrando gelosia e ossessività verso
cose e persone vicine;
– territorio prigione o fortezza: questo è un territorio
simile al primo, ma si caratterizza per la presenza non di una trincea, bensì
di una torre avente funzione autoprotettiva, che a lungo andare finisce per
imprigionare la persona stessa. Prevalgono perciò in questa tipologia forme di
autocostrizione più o meno inconsce e tenaci, per cui la persona si chiude in
un perfezionismo tale da non godere più della vita per quella che è, ma vive
sempre alla ricerca di una perfezione tanto sognata quanto impossibile;
– territorio rattrappito: è costituito da un’area ristretta
e da un’ altra area in parte disabitata e in parte lasciata all’abbandono. Si
tratta di un territorio in cui la persona ha lasciato quasi completamente il
territorio agli altri, costringendo se stessa a ricavarsi un piccolo cantuccio
in cui ripararsi e sopravvivere;
– territorio debordante: si caratterizza per la tendenza
a essere invasivi nei confronti degli altri e può essere manifestata sotto
forma di dominio, manipolazione, intromissione, curiosità indebite;
– territorio intasato: riguarda coloro che sono
iperattivi al punto che non hanno tempo da dedicare a se stessi, conservando
delle priorità stabili. In questo territorio emerge perciò un forte senso di
affaticamento e di ingolfamento, cadendo in una forma di generosità quasi
eccessiva;
– territorio arcipelago: questo territorio riflette quel
tipo di persona in cui ci sono diverse isole che si collegano tra loro solo di
tanto in tanto e che costituiscono pertanto tante piccole realtà. L’individuo
sarà caratterizzato da una frammentazione all’interno del proprio io con
l’immediata conseguenza di mancanza di chiarezza, di idee incostanti, dettate
dall’intenzione di conservare sempre una buona impressione agli occhi degli
altri;
– territorio fruttifero: finalmente giungiamo all’ultimo
territorio che rappresenta per così dire il modello, il punto verso cui
tendere. La persona appartenente a questo tipo manifesta una sana fiducia in se
stessa, esprime uno spazio vitale proprio, conserva un buon equilibrio nelle
relazioni interpersonali evitando, da una parte, di lasciarsi troppo invadere,
ma costruendo anche ponti di contatto e collegamento dall’altra. È in questo
territorio che si realizza l’habitare secum, tanto caro ai Padri, quella
libertà interiore a vari livelli, la manifestazione del dono di sé e
l’accoglienza del dono altrui, pur incontrando le difficoltà che la vita
comporta. Ciò che caratterizza questo genere di persone è il senso di sana
responsabilità, di fiducia, di dialogo, di sincerità, di comunicazione
profonda, una tensione verso la pienezza della vita. È evidente che questo tipo
di territorio rappresenta veramente un modello, un punto di arrivo lungo un
costante processo di crescita, ma ciò non significa che sia solo un modello
ideale, ma che può essere raggiunto da ciascuno di noi.
È importante altresì ricordare che anche se abitualmente
in ognuno prevale un tipo particolare di territorio, spesso capita che questo
può avere elementi complementari di altri territori, e ciò fa parte della
bellezza e del mistero di ogni persona che è insieme ricchezza e debolezza.
FRA AUTONOMIA
ED ETERONOMIA
Il convegno ha poi sottolineato l’importanza di
armonizzare in una vita comunitaria gli elementi di autonomia ed eteronomia,
anche se queste non sono sempre facilmente conciliabili. L’obiettivo formativo
sarebbe quello di far sì che l’autonomia personale interagisca al positivo con
la comunità e che la comunità, a sua volta, promuova la persona sollecitandola
verso l’alterità, l’amore reciproco e l’amore dono, fino al raggiungimento del
“totalmente altro”, di Dio, dentro una sinergia effettiva, una dialettica
costruttiva per entrambi. Ciò richiede che ogni monaco maturi una adeguata
dipendibilità, ossia la capacità di dipendere costruttivamente per sé e per gli
altri da una persona o dalla comunità, occupando attivamente il proprio posto,
fiorendo e fruttificando secondo la propria identità e missione.
La dipendibilità è uno dei segni distintivi della persona
adulta che ha assunto la sua vita responsabilmente e la vive in modo
realistico, fiducioso, collegato con altre persone e comunità. Essa è
evidentemente frutto di un lungo cammino personale di crescita, spesso in
salita, ma non per questo impossibile.
Per poter qualificare poi il proprio cammino monastico,
sempre nella sua duplice dimensione di autonomia ed eteronomia, occorre
innanzitutto precisare chi sono io e come mi colloco e interagisco in
monastero. Ogni persona si situa come è e come funziona dentro, a livello sia
conscio che inconscio. È evidente che ognuno di noi rappresenta da un lato un
mistero inesauribile sia per se stesso che per gli altri, un insieme di luci e
ombre, e dall’altro è un sistema complesso in cui si alternano libertà e
creatività. L’identità si costruisce nello spazio e nel tempo, nelle relazioni
e interazioni della persona, dando luogo a un esserci nello spazio-tempo come
territorio vitale. Il mio essere in relazione, in altri termini, dipenderà da
come sono o funziono e la possibilità di cambiare è possibile soltanto a
partire dalla realtà effettiva, riconosciuta e assunta.
Due sono gli assi o poli della crescita: l’esistere
(crescere verso la pienezza rieducando i meccanismi distorti) e il guarire
(trasformare le ferite in feritoie di salvezza e non in piaghe purulente).
PUNTO DI PARTENZA
SIAMO NOI STESSI
Nei vari lavori di gruppo è stato poi messo in evidenza
che il punto di partenza su cui iniziare a lavorare siamo proprio noi stessi,
come singoli e come comunità, il nostro modo di relazionarci, la nostra
capacità e le nostre difficoltà a riconciliarci e a lasciarci riconciliare
secondo l’insegnamento evangelico. Dai relatori invece è stato sottolineato un
principio base che governa la crescita che non deve passare inosservato: «Di
ciò che è successo di gioioso e di duro, a volte di colpevolizzante, nella mia infanzia
e in parte nella mia fanciullezza, io non sono responsabile. È successo e va
gradualmente accettato come un dato della realtà, così come si accetta che
l’acqua sia umida.
Invece io sono responsabile di ciò che faccio oggi di
quello che è avvenuto allora. Oggi sono chiamato a prendere posizione
responsabilmente di fronte a questi dati della mia vita davanti alla mia
coscienza, a Dio e agli altri di cui sono responsabile, direttamente o
indirettamente. La vita allora prende un andamento diverso, costruttivo e
impegnato secondo un progetto di vita vivo e lievitante».
Un altro fattore importante di cui bisogna tener conto è
rappresentato dai ritmi della crescita personale: la mente solitamente corre
veloce come una lepre, mentre l’affettività cammina come una tartaruga. Ciò
complica non poco le cose e frena le ambizioni e le impazienze personali. Di
conseguenza, per crescere è necessario che tutte le componenti costitutive
della persona (mente/cuore, volontà/corpo) avanzino, in particolare l’affettività.
Questa spesso va guarita e snellita nei suoi elementi emotivi appesantiti e
feriti. Per crescere realmente nei vari settori, occorrono pazienza, tenacia e
lungimiranza.
Nessuna crescita si può realizzare per strattonate o a
strappo. Anzi ogni strappo o si rammenda subito o altrimenti ingenera un’area
traumatizzata. È importante nei diversi giorni bui e momenti difficili che
capitano nella vita di chiunque non distruggere quanto si è faticosamente
costruito nei giorni di luce. Allora la festa della vita a poco a poco prenderà
corpo.
A conclusione di queste giornate di convegno, i giovani
monaci con i propri educatori si sono dunque interrogati su ciò che costituisce
uno dei punti nodali della vita monastica, ciò che la rende feconda e la
manifesta, assumendo la speranza e l’impegno di riportare e vivere nelle
proprie comunità i frutti seminati durante questi giorni.
L’augurio che ci si rivolge è che nei prossimi anni i
partecipanti possano essere sempre più numerosi, perché questi incontri oltre a
costituire un momento di crescita per quanto riguarda la formazione,
rappresentano un momento privilegiato per potersi confrontare con le altre
realtà monastiche italiane e per poter aprire lo sguardo verso nuovi e ampi
orizzonti.
Luigi Maria Di
Bussolo osb
monaco di
Montecassino
* Bibliografia essenziale: A. CENCINI, Dalla relazione
alla condivisione. Verso il futuro, Dehoniane, Bologna 2001; A. MANENTI, Vivere
insieme. Aspetti psicologici, Dehoniane, Bologna 1991; G. SOVERNIGO, Amare con
tutto il cuore, 1. Chiamati, Dehoniane, Bologna 2004; G. SOVERNIGO, Amare con
tutto il cuore, 2. Le relazioni, Dehoniane, Bologna 2004; G. SOVERNIGO, Vivere
la carità. Maturazione relazionale e vita spirituale, Dehoniane, Bologna 2002.