P. FRANK MONKS AI SUPERIORI CAMILLIANI
PROVINCIALIE LORO CONSIGLI
La nomina dei
provinciali e dei loro consiglieri rappresenta un avvenimento di grande
importanza. P. Frank Monks, superiore generale dei camilliani, ha voluto
sottolinearlo con due lettere richiamando il ruolo che essi sono chiamati a
svolgere.
«I nuovi provinciali – scrive p. Monks – iniziano il loro
mandato sull’onda dell’entusiasmo. Hanno idee, piani, visioni, sogni e sfide. È
per questo che li scegliamo. Di solito, sono persone piene di fervore e di zelo
per il lavoro che li aspetta, ed è di questo che abbiamo bisogno nei nostri
leader oggigiorno. Noi tutti desideriamo leadership forti, ma, purtroppo,
questo non sempre significa che siamo pronti ad accettarne le conseguenze, dal
momento che in fondo tendiamo a credere che sono gli altri ad avere bisogno
della scossa che deriva dal trasferimento e la destinazione in luoghi e posti
che non sarebbero necessariamente di nostra scelta personale. È sempre più
facile vedere la pagliuzza nell’occhio dell’altro che non ammettere che il
nostro occhio è quasi chiuso. Non c’è nessuno di così cieco come colui che non
vuol vedere.
Il nuovo provinciale è ben presto messo a contatto con i
propri limiti e la propria vulnerabilità. È posto a confronto in maniera nuova
con la cruda realtà della vita consacrata: grande generosità e strisciante
egoismo, idealismo e cinismo, vita di preghiera e vita mondana, santi e
peccatori, visionari e sognatori oltre a quelli che sono già morti, ma non
saranno sepolti per ancora un buon numero di anni (non mi riferisco ai
confratelli malati).
C’è qualcosa che può preparare il provinciale
all’esperienza della prima visita nelle comunità? Egli è ancora nella luna di
miele. Tutti sono molto accoglienti. È ricevuto con parole piene di
congratulazioni, di incoraggiamento, con consigli, amicizia e l’assicurazione
di preghiere. Dopodiché viene assorbito nei colloqui individuali che richiedono
ore di conversazione e di ascolto. È insieme qualcosa di interessante e
stancante cercare di affrontare una nuova dinamica.
Immancabilmente non mancano sorprese. Il religioso da cui
vi aspettate delle difficoltà per il cambio che state per proporgli, si
dimostra più che disponibile a trasferirsi dove gli è chiesto. Ci sono di
quelli che in tutta franchezza e sincerità reagiscono positivamente a quanto è
loro domandato, ma sono poi felici di lasciare la decisione finale al
superiore. La speranza è che in questo scenario il contributo del soggetto sia
tenuto in considerazione nella decisione finale. Questo tipo di risposta è un
esempio eccellente di ciò che oggi chiamiamo obbedienza responsabile. D’altro
lato, ci si può imbattere in religiosi da cui non vi aspettereste alcuna
difficoltà che si rivelano invece completamente chiusi. Questo tipo di
intransigenza è senza dubbio scoraggiante e lascia perplessi sulla sincerità
dell’impegno religioso. Ma in genere si è sempre colpiti e incoraggiati dalla
disponibilità e dal sostegno della grande maggioranza.
OBBEDIENZA
CHE È SOFFERENZA
Sono sempre stato convinto che il voto di obbedienza oggi
richieda la disponibilità e la volontà a servire la comunità con generosità e
sacrificio. Senza dubbio non è una cosa facile né indolore. Grazie a Dio, siamo
degli esseri molto, molto umani. Fa parte della vita attaccarci al posto, alle
persone e alle cose. La sofferenza che accompagna uno spostamento può essere,
ed è, molto reale. Non posso dimenticare i primi nove mesi trascorsi nel 1989
come consultore generale alla Maddalena. Mi trovai a vivere in una grande
comunità, composta da persone molto motivate, ma mi sentivo perso. Mi mancava
il fatto di essere richiesto un po’ dappertutto, di essere il “gallo del
pollaio”, mi mancavano le chiamate al telefono, e, soprattutto, il diretto
contatto con i malati e il personale nell’ospedale, con i confratelli, gli
amici e i familiari. Ma dovetti affrontarlo, poiché “la sofferenza deve essere
affrontata. Dio nei nostri piacerci sussurra, nella coscienza ci parla, ma nella
sofferenza ci grida. Essa è il megafono con cui egli risveglia un mondo sordo
(C. S. Lewis The Problem of Pain). Alla fine infatti si trasformarono in sei
anni belli, pieni di esperienze istruttive che mi hanno permesso di ampliare i
miei orizzonti. La sofferenza non è sempre negativa e può offrire
un’opportunità radicale. I voti non devono in qualche maniera pungolarci? Non
dovremmo sentirne il pizzicore, il sacrificio?
Il tempo delle nomine è un’eccellente opportunità per
guardarci dentro e per un esame di coscienza. Quanto sono disponibile?
Considero ciò che mi viene chiesto come un’opportunità per servire i miei
confratelli e il prossimo? Perché rifiuto di spostarmi dalla comunità dove mi
trovo? L’ultimo capitolo generale ha trattato a lungo del tema della
testimonianza, suggerendo anche come e cosa dobbiamo fare. Questa è una delle
occasioni che ci vengono offerte per prendere la teoria dal testo dei documenti
capitolari e tradurla nella nostra vita.
ATTENTI
ALLE SCUSE!
Non è difficile trovare delle scuse per non rispondere:
Abramo era vecchio, Geremia, al contrario, troppo giovane; Giacobbe insicuro e
Lia non era attraente; Mosè balbettava ed era un assassino; Gedeone era povero,
Rahab immorale, Davide ebbe una relazione sentimentale che gli provocò tutta
una serie di problemi familiari; Elia aveva tendenze suicide, Geremia era
depresso, Giona riluttante e Noemi una vedova; Pietro era un impulsivo, Marta
si preoccupava troppo, la donna di Samaria aveva alle spalle molti matrimoni
falliti; Zaccheo era molto piccolo, Tommaso dubbioso e Timoteo timido; Paolo,
un assassino, Gerard Vann, il grande scrittore moderno di temi spirituali, ha
dovuto lottare per tutta la vita contro l’alcolismo e la depressione, s. Teresa
del Bambin Gesù ha dovuto lottare contro la tentazione dell’ateismo, Paddy
Kavanagh, poeta cristiano dell’epoca moderna, era uno sfaticato. Tutti costoro
erano un insieme di disadattati, eppure Dio si è servito di ciascuno di loro,
così allo stesso modo egli può servirsi anche di ciascuno di noi se la finiamo
di scusarci.
Siamo persone ferite, ma è stata la contemplazione di
Cristo ferito che ha liberato i discepoli. È stato “il Cristo ferito che li ha
trasformati in predicatori” (T. Radcliffe). È possibile essere dei
predicatori/guaritori senza essere feriti? Possiamo sperare di avere delle
parole che guariscono fin tanto che non saremo capaci di sanare le nostre
ferite? Le nostre cicatrici possono essere delle porte che si aprono verso il
sole.
Ho sempre trovato strano il fatto che l’uomo guardi più
facilmente alla sofferenza e al dolore personale anziché alla sua risurrezione.
Eppure, la risurrezione è l’insegnamento centrale della nostra fede. Cristo è
risorto, e adesso tocca a noi rialzarci.
Qual è la mia scusa per non assumere un impegno maggiore?
Qual è la cataratta congenita che devo rimuovere per poter tornare a vedere un
po’ più con gli occhi della fede? … Che cosa dice di me e della mia fiducia in
Dio il mio rimanere neutrale? Penso alle conseguenze della mia mancanza di
impegno?
Sono convinto che essere medico, professore, teologo,
infermiere od altro professionista del mondo della salute, è molto meno
importante del fatto che io prenda seriamente il mio percorso interiore, che io
sia consapevole della mia vulnerabilità e della mia ignoranza? Ciò che importa
è “credere che nell’area della guarigione non si tratta tanto delle abilità che
posseggo quanto piuttosto della persona che sono” (M. Kearney).
Buona fortuna ad ognuno, mentre iniziamo insieme il
viaggio nel nuovo triennio. Certamente faremo degli sbagli ma speriamo di
imparare da essi e di giungere a essere persone migliori. Possiamo essere
sicuri di una cosa: non saremo soli, poiché l’Emmanuele è con noi».
IL COMPITO
DEI CONSIGLIERI
Padre Monks continua il suo discorso nella lettera ai
consiglieri, in cui sottolinea alcuni aspetti inerenti al loro ruolo e il
compito che ci si aspetta da loro accanto al provinciale per la buona guida
della provincia.
«Il lavoro che siete chiamati a svolgere – scrive – non è
facile, specialmente nel mondo d’oggi, ma non è necessariamente neanche quel
grande peso che alcuni vorrebbero farci credere. Esso vi offre l’opportunità di
fare una quantità di bene. I vostri confratelli s’aspetteranno che siate
creativi nell’aiutarli a essere fedeli alla loro consacrazione a Dio, al bel
carisma che condividiamo, allo spirito delle costituzioni: strumento ideale per
vivere lo stesso carisma.
Non esistono due province uguali tra loro, perciò le
sfide, le gioie e le sofferenze sono diverse dal nord al sud, e dall’est all’ovest.
Tuttavia, in ogni paese e provincia ci sono molte cose in comune. Siamo tutti
motivati da una stessa fede in Gesù Cristo e dal nostro amore per l’ordine, e
questa è la base della nostra spiritualità. Come congregazione siamo invitati
ad assumerci la nostra parte nel diffondere la buona novella.
Mentre iniziate ad animare la provincia, ricordatevi che
la prima testimonianza che darete è la vostra capacità a lavorare insieme e a
formare un’équipe. Un’équipe è invariabilmente composta di individui con
talenti diversi, e il lavoro in équipe non è qualcosa di naturale per nessuno
di noi.
L’équipe di successo è quella che è capace di riconoscere
i talenti presenti nel gruppo e di incoraggiarsi a vicenda a mettere questi
doni a disposizione dell’intero gruppo.
Compito dei consiglieri è di consigliare e di prendere
delle decisioni con il provinciale. A loro è chiesto di dare consigli con
sincerità e coraggio, sempre rispettando i rispettivi ruoli all’interno del
gruppo.
È importante che il provinciale riconosca i doni presenti
nel gruppo e offra spazio per il loro esercizio. La cosa che ho chiesto ai
consultori generali tre anni fa è di non essere degli uomini del “sì”, ma di
essere pronti a esprimere la loro opinione, a parlare francamente e ad
ascoltarsi a vicenda.
I panni sporchi, quando occorre sciacquarli, dovranno
essere lavati in casa (all’interno del consiglio). Di tanto in tanto ci saranno
problemi che richiedono uno stretto riserbo ed è di estrema importanza che
questo sia rispettato.
Le decisioni prese collettivamente non devono mai essere
sconfessate fuori della camera del consiglio. Né dobbiamo diventare dei
pettegoli da cellulare.
Quando ci sono diversità di opinione è importante che
queste non abbiano a degenerare in scontri personali o essere motivo di
divisione. Forse dovremo essere capaci di riconoscere di non essere d’accordo.
Non è sempre facile giungere al consenso ma dobbiamo essere disposti a fare
sempre in modo di giungervi».
Padre Monks termina la lettera augurando ai consiglieri
di essere buoni ascoltatori e di condividere con coraggio i problemi che il
consiglio dovrà affrontare; inoltre a rispettarsi a vicenda dando a ciascuno lo
spazio necessario per riflettere e offrire il proprio contributo.