PERCHÉ LA PREGHIERA SIA AUTENTICA

COME GESÙ CI HA INSEGNATO

 

Prima ancora di insegnarci il “Padre nostro” Gesù ha spiegato le condizioni per una preghiera autentica, in grado di esprimere il nostro vero rapporto con lui. Sono condizioni a cui spesso si fa poca attenzione, con il rischio di pregare come i farisei o i pagani.

 

Un giorno i discepoli chiesero a Gesù di insegnare loro a pregare ed egli rispose: «Quando pregate, non siate simili agli ipocriti che amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, per essere visti dagli uomini. In verità vi dico: anno già ricevuto la loro ricompensa. Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà» (Mt 6,5-6).

Riflettendo su questi insegnamenti di Gesù nel periodico americano Human development[1], Joel Giallanza, C.S.C, afferma sono due i livelli di interpretazione da tenere presenti: il primo è quello pratico, basato sugli atteggiamenti indicati da Gesù: riservatezza, intimità, parsimonia; il secondo è quello filosofico, o meglio teologico – quello che sarà qui tenuto presente – in cui sono indicati i principi impliciti in questi atteggiamenti che, se sono trascurati, si va incontro a una quantità di difficoltà nella vita spirituale e nella stessa preghiera.

Ma prima di entrare nel discorso sono necessarie due brevi osservazioni. La prima: Gesù inizia le sue istruzioni indicando un presupposto. Dice: quando pregate. Non dice se pregate. Egli suppone che i suoi discepoli siano persone che pregano. Ciò significa che l’atteggiamento fondamentale per sostenere la preghiera è la fedeltà. Se non si è fedeli, allora sorgono numerose difficoltà che intorpidiscono la percezione della presenza di Dio e la stessa nostra attività. Le difficoltà dovute a una mancanza di fedeltà ce le creiamo noi, sono responsabilità nostra.

La seconda: la fedeltà presuppone la regolarità. La preghiera cioè deve essere incorporata nella nostra vita e nel nostro orario quotidiano. Essa esige inoltre  un’apertura a tutto ciò che avviene nella nostra vita spirituale.

 

LA PREGHIERA

NON È ESIBIZIONE

 

Non fate come gli ipocriti, ha detto Gesù. Essi amano farsi vedere, ma la preghiera non è esibizione, non richiede un uditorio. Dobbiamo perciò fare attenzione, sottolinea J. Giallanza, che nel profondo cuore non ci sia questa tendenza a farsi notare e a farsi riconoscere come persone sante. Una tendenza del genere è frutto di orgoglio e può avere un impatto debilitante e distruttivo sul progresso della vita spirituale. Questo orgoglio ha già la sua immediata ricompensa: abbiamo quello che desideravamo, ma ciò non viene da Dio. Così, se viene a mancare questa attenzione da parte degli altri, ben presto la preghiera diventa qualcosa di noioso e pesante e alla fine ci si convince che essa consuma troppo tempo ed energie rispetto ai nostri bisogni.

Una simile tendenza a soddisfare il nostro orgoglio può manifestarsi anche quando un certo numero di persone viene a chiederci di essere loro di aiuto e di guida spirituale. C’è infatti la tentazione di sentirsi un po’ investiti di un carisma messianico, godendo di essere notati e cercati per le nostre vedute spirituali.

In tutti i modi, comunque si manifesti questa tendenza, essa è causa di una grande varietà di difficoltà che ostacolano il nostro progresso spirituale.

Entra nella tua camera. La preghiera è interiore. Non può ridursi alle pratiche; queste in se stesse non nutrono automaticamente la vita di preghiera. Essa è infatti un problema di cuore, poiché è qui il luogo dove Dio abita. Senza dubbio la preghiera ha anche le sue manifestazioni esteriori – suoni, parole, gesti – ma l’integrità e la sincerità di queste espressioni dipendono dal loro radicamento dentro di noi, dalla loro corrispondenza con ciò che siamo come persone, e dalla verità dei motivi del nostro cuore.

La principale “camera” in cui entrare per pregare è la conoscenza di sé. Conoscendo infatti noi stessi, noi giungiamo a conoscere Dio.  Per il fatto di essere stati creati a sua immagine e somiglianza, ogni sforzo per conoscere noi stessi è sempre strettamente correlato a quello per conoscere Dio. Cercare Dio esclusivamente fuori di se stessi conduce inevitabilmente alla frustrazione e alla delusione. Anche nel contesto della comunità cristiana noi portiamo il nostro unico io nell’adorazione, nell’ascolto e nella ricerca della volontà di Dio. Ignorare la verità del proprio essere in quanto persone create e battezzate – la verità di Dio in noi –  vuol dire cercare invano.

Ma la conoscenza di sé non è una realtà statica, bensì dinamica, è una disciplina che dura tutta la vita ed è legata alla nostra crescita nella vita spirituale. È una disciplina che ci impegna su un triplice fronte: anzitutto dobbiamo conoscere la verità di noi stessi – forze, debolezze, aspirazioni, attese, zone di resistenza, potenziale di crescita; in secondo luogo, dobbiamo accettare questa verità senza negarne la realtà e l’impatto che hanno in noi quegli aspetti che non apprezziamo o di cui ci sentiamo imbarazzati; terzo: dobbiamo agire in base a ciò che abbiamo scoperto, facendo tutto ciò che può facilitare la nostra crescita continua in quanto persone che cercano di rafforzare il loro rapporto con Dio. Questa, sottolinea J. Giallanza, è la “camera” in cui dobbiamo entrare.

 

CHIUDERE

LA PORTA

 

Gesù aggiunge: e chiusa la porta…. Per tenere chiusa la porta occorre una notevole disciplina. La preghiera esige distacco. Molte sono infatti le cose che cercano di entrare attraverso la porta e di attirare la nostra attenzione. Nella vita spirituale si parla delle difficoltà con cui è necessario fare i conti. Sono difficoltà non per il loro contenuto, ma perché occupano lo spazio che cerchiamo di salvaguardare nel nostro rapporto con  Dio e la nostra attenzione a lui.

Un esempio caratteristico sono le cosiddette distrazioni, causa spesso di frustrazione perché ci danno l’impressione di  sciupare il tempo dedicato alla preghiera e di renderla inefficace. Ma non sempre il contenuto delle distrazioni è la principale difficoltà da tenere presente. La difficoltà di fondo è costituita dalle energie che si spendono nel cercare di vincerle. Gli sforzi compiuti non fanno altro che tenere fissa l’attenzione su di esse. Bisogna invece esercitarsi a metterle da parte soavemente per riportare così l’attenzione su Dio.

Chiudere la porta e tenerla chiusa richiede un esercizio di distacco. Ora, noi siamo distaccati non perché neghiamo il valore a qualche cosa, ma perché attribuiamo maggior valore a una cosa piuttosto che ad un’altra e quindi, alla luce di quella priorità, assegniamo ad essa un valore prioritario rispetto a qualsiasi altra cosa nella vita.

Per pregare, è necessario uno spazio sufficiente per essere attenti a Dio. Le preoccupazioni riguardanti i nostri doveri quotidiani e le nostre responsabilità, che vengono a galla durante la preghiera, non sono prive di valore: esse possono essere molto importanti per il nostro benessere e per quello di quanti ci sono vicini. Sarebbe pertanto imprudente bandirle in maniera sommaria. Ma durante il tempo delle preghiera, noi chiudiamo la porta; mettiamo da parte le preoccupazioni poiché in quel momento la priorità è il nostro rapporto con Dio. Esse quindi sono messe da parte per un certo tempo, non destituite di valore. Questo è il distacco.

Se si vuole giungere a questo distacco, sottolinea J. Giallanza, dobbiamo essere decisi nello stabilire il tempo quotidiano da riservare alla preghiera, l’ambiente in cui pregare e lo stile di preghiera da usare. Tutte queste cose devono riflettere  la realtà della nostra vita quotidiana. In caso contrario sarà impossibile mantenere lo spirito di preghiera e il nostro rapporto con Dio.

 

PREGARE

NEL SEGRETO

 

Prega il Padre tuo nel segreto. Per pregare è necessario concentrarsi in Dio. Mantenere questa attenzione richiede generosità di sforzi e un impiego di energie. Molto utili a questo scopo sono alcuni esercizi durante la giornata: richiamare la presenza di Dio, ricordare a noi stessi l’amore che Dio ha per noi, rivolgersi a lui nella preghiera, chiedergli aiuto e luce, ripetere una frase della Scrittura o una preghiera che ci sta particolarmente a cuore: nessuno di questi esercizi richiede più di pochi secondi e ognuno di essi costituisce un mezzo efficace per incentrarsi in Dio.

Gesù raccomanda di pregare nel segreto. L’espressione indica che la nostra preghiera deve essere personale e intima, lontana da ogni esibizione; inoltre, che deve essere semplice: bisogna cioè andare davanti a Dio senza pretese, così come siamo. La semplicità della preghiera non ha niente a che fare con le forme di cui possiamo servirci, ma riguarda la limpidezza e la sincerità che devono caratterizzare il rapporto con Dio.

E il Padre tuo, che vede nel segreto… Nella preghiera noi non incontriamo una realtà impersonale; incontriamo il Dio vivente. La preghiera è interattiva: noi preghiamo e Dio risponde. Ovviamente noi non possiamo controllare quale sarà la sua risposta e non c’è alcuna garanzia per dire che la nostra domanda sia secondo il suo beneplacito. Ma questa reciprocità è necessaria se si vuole che la relazione sia viva e sostenga la nostra crescita.

Dio desidera la nostra presenza e la nostra volontà di risponedere a lui allo stesso modo con cui noi desideriamo la risposta dalle persone che amiamo. La Scrittura afferma che Dio è geloso quando il popolo rivolge la sua attenzione altrove, ma anche che egli è un Dio che compassionevole e perdona quando questi si pente; ci parla di un Dio che danza di gioia al solo pensiero del popolo prediletto, scelto per essere suo popolo. Per comprendere il genere e la profondità della relazione che Dio vuole stabilire con noi basta pensare ai  momenti in cui abbiamo fatto l’esperienza della gelosia, della compassione e della vera gioia.

Siccome la preghiera è una relazione, essa deve essere anche una decisione. Dobbiamo cioè decidere se vogliamo rimanere in questa relazione e se siamo disposti a compiere gli sforzi necessari per alimentarla. Una decisione del genere deve nascere dal cuore. Dio che vede “nel segreto” risponderà ai nostri sforzi e ci ricompenserà; egli vede se i nostri sforzi vengono veramente dal cuore.

 

NON CONTA

LA QUANTITÀ

 

Gesù continua: Pregando, non sprecate parole come i pagani i quali credono di venire ascoltati a forza di parole. La preghiera non consiste nella quantità. Una delle più grandi tentazioni è di credere che il più sia anche il meglio. Quello che ha invece valore è la sua qualità e questa dipende dalla profondità della relazione con Dio e dalla nostra particolare attenzione. Si può dire perciò che il carattere e la qualità di questa relazione costituiscono le componenti principali dell’orientamento da prendere per poter progredire nella vita spirituale.

Il rischio di una preghiera basata sulla quantità è di annettere ad essa delle aspettative che sono separate dalla nostra vita quotidiana, sono distruttive del nostro rapporto con Dio e pregiudicano il progresso spirituale. La preghiera e il tempo che vi dedichiamo devono piuttosto riflettere la nostra attenzione a Dio, il nostro amore verso di lui, la priorità data al rapporto con lui e la verità della nostra vita di tutti i giorni. Qualcunque cosa facciamo nella nostra vita spirituale, sottolinea J Giallanza, essa deve basarsi sul significato e non in una formula matematica.

E il Padre tuo… ti ricompenserà. La preghiera è personale. La verità che Dio conosce i nostri bisogni si fonda sul fatto che siamo creati a sua immagine e somiglianza. Con la preghiera noi permettiamo a Dio di entrare nella realtà della nostra vita.

Quali sono le qualità che riflettono la convinzione che Dio conosce i nostri bisogni prima ancora che glieli esponiamo?

In primo luogo, avere fede; essa è il fondamento di tutta la vita spirituale e rende la preghiera un vero incontro con Dio che ci ama  e non ci abbandona. In secondo luogo, accettare che Dio conosce i nostri bisogni richiede la fiducia che Dio risponderà ad essi attraverso vie che sono per il nostro bene. La fiducia quindi è fondamentale. In terzo luogo, se crediamo che Dio conosce i nostri bisogni, allora dobbiamo collaborare con l’opera che egli sta compiendo nella nostra vita e facilitarla; dobbiamo desiderare di compiere la sua volontà. Questa è una componente essenziale della trasformazione che deve  attuarsi in noi: la volontà di Dio deve diventare anche la nostra.

Un’altra disposizione è l’umiltà. L’apostolo Paolo non dice che noi non sappiamo come pregare, ma che noi non sappiamo pregare per poter pienamente rispondere alla volontà di Dio. In effetti, Paolo osserva che non sappiamo pregare a partire dal cuore. Egli inoltre non dice che la Spirito pregherà per noi, ma che egli intercederà per noi. La responsabilità della preghiera quindi è nostra, ma lo Spirito ci assiste e ci accompagna pregando nel profondo del cuore, in quello spazio dove le parole diventano più un limite che un aiuto. Da questo spazio lo Spirito intercede per noi “secondo la volontà di Dio”. Questo, in definitiva, è lo scopo di ogni preghiera: condurci all’unione con Dio in ogni cosa e in ogni dimensione della vita.