CAPITOLO DEI DEFINITORI DOMENICANI
COME ESSERE
PREDICATORI OGGI
Uno sguardo alla situazione presente dell’ordine
conferma il buon momento che esso sta attraversando, nonostante non manchino
anche zone d’ombra. Ma è necessario trovare nuove risposte ai problemi nuovi
che si pongono soprattutto in riferimento alla predicazione del vangelo.
L’ordine
dei domenicani, nonostante le inevitabili difficoltà che riguardano tutta la
vita consacrata oggi nel mondo, continua a godere di buona salute. I cardini su
cui poggia questa sicurezza sono solidi: le vocazioni, in numerose parti del
mondo, sono in aumento e l’impegno per la missione soprattutto nel campo della
predicazione e della cultura in pieno rilancio. Accanto a tante luci non
mancano naturalmente anche delle ombre, ma l’ordine, o meglio la famiglia
domenicana, può ragionevolmente guardare avanti con rinnovata fiducia.
È questa
l’impressione che si ricava leggendo la Relatio
de Statu Ordinis, tenuta dal maestro generale, p. Aspiroz, al capitolo
generale dei definitori che ha avuto luogo in Polonia, a Varsavia, dal 27 luglio
scorso al 17 agosto. Nella relazione sono stati passati in rassegna i punti
essenziali su cui si basa il carisma e la missione domenicana, alla luce delle
nuove sfide a cui oggi l’ordine intende far fronte. In particolare: la
predicazione, la vita intellettuale, la vita comune, la vocazione e la
formazione.
LA “GRAZIA
DELLA PREDICAZIONE”
Anzitutto la predicazione, o meglio “la grazia della
predicazione”, tanto importante e irrinunciabile, dal momento che l’ordine
domenicano «è stato istituito specificamente fin dagli inizi per la
predicazione e la salvezza delle anime». Si tratta di un argomento su cui più
volte l’ordine è tornato a riflettere in questi ultimi anni e di cui oggi, ha
sottolineato p. Aspiroz, i figli e le figlie di san Domenico stanno riscoprendo
fruttuosamente la specificità e le relative sfide. Questo rinnovato interesse è
avvertibile si può dire in tutta la famiglia domenicana: tra le religiose
domenicane che in questo modo aiutano i frati a comprenderlo meglio e ad
assumerlo più profondamente; nelle fraternità laicali che stimolano i loro
membri a fare propria questa missione e nelle stesse comunità monastiche, oggi
sempre più coscienti delle radici apostoliche della loro vocazione come monache
dell’ordine dei predicatori, nella fedeltà alla loro missione contemplativa
nella Chiesa.
Parlare della
predicazione nell’ordine è un compito pieno di sfide difficili da sintetizzare.
Tuttavia, ha sottolineato il maestro generale, in questi tre anni si è potuto
costatare che in quei luoghi dove si sviluppano progetti di collaborazione tra
frati e suore dei diversi rami della famiglia, l’ordine ha maggiore vitalità e
presenza. Ciò infatti apre nuove e insospettate possibilità.
Purtroppo, ha
rilevato, spesse volte la presenza in determinati luoghi viene determinata
semplicemente in base a criteri numerici, ossia su quanti frati si può contare.
Questa prospettiva a volte è l’unica che induce a chiudere case, a ridurre i
conventi in case o a stabilire come casa filiale una comunità autonoma. In questo
modo «in molte occasioni la nostra presenza in luoghi che sono prioritari in
base alle priorità e alle frontiere segnalate dai capitoli generali (o
provinciali) è minacciata. Di conseguenza si privilegia di fatto una presenza
in determinati luoghi perché “abbiamo sempre fatto così” o “perché lì siamo di
più”. Facciamo appello alla tradizione forse perché non vogliamo rischiare».
Presentando un
sintetico spaccato delle opinioni emerse al riguardo nel vari capitoli
provinciali, il padre ha detto: tutti i frati sono del parere che è necessario
ripiantare le nostre province nel territorio dove esistono; molti con timore e
tremore sono del parere che ci sono presenze che dovrebbero scomparire per
renderci presenti in altri luoghi; pochi infine (nessuno?) ritengono che la
comunità dove vive dovrebbe essere “soppressa” o semplicemente “ripiantata”.
Riguardo ai luoghi
della predicazione, p. Aspiroz, ha segnalato l’importanza che nell’ordine ha
assunto l’internet. Attraverso questo
strumento si sono moltiplicate le pagine dedicate alla predicazione, sono stati
diffusi sussidi e omelie e promosse molte altre iniziative. Ormai ogni
provincia ha la sua pagina e attraverso quella dell’ordine si può accedere a
quasi tutte le altre.
Il secondo argomento
toccato nella relazione riguarda la vita intellettuale e il suo rapporto con la
predicazione. Molte province, non senza grandi sacrifici umani ed economici,
attribuiscono molta importanza ai centri di studio; altre li stanno
sviluppando, nonostante i pochi mezzi di cui spesso dispongono. Varie province
inoltre hanno predisposto programmi di insegnamento a distanza attraverso l’internet. La crescita delle nuove
vocazioni, inoltre, offre la possibilità di rinnovare il corpo professorale e
la vita. accademica.
Nell’ordine quindi
tutto un fervore di iniziative per la promozione della vocazione intellettuale
del domenicano. È una strada su cui proseguire poiché, ha rilevato p. Aspiroz,
l’evangelizzazione nel campo intellettuale è un servizio alla Chiesa e al mondo
e costituisce una «vocazione a cui siamo stati chiamati in modo speciale».
VITA COMUNE
E FORMAZIONE
Nella relazione una
parte molto importante è dedicata alla vita comune e soprattutto al problema
della formazione. La vita comune, ha affermato p. Aspiroz, continua a essere
l’elemento forte dell’ordine, uno dei suoi doni più apprezzati. Infatti, la
maggior parte dei giovani che desiderano entrare nell’ordine, almeno in
occidente, segnalano questo aspetto come una delle ragioni principali del loro
ingresso. E anche le uscite, molto spesso dovute a difficoltà in questo campo,
sono una prova dell’importanza della vita fraterna in comunità.
Secondo il padre,
esiste un rapporto importante tra il buon governo e la buona atmosfera nella
comunità locale o provinciale. «Il nostro governo – ha detto – deve essere
comunitario, in cui i superiori assumono le loro responsabilità. In caso
contrario perdiamo il nostro “sale”, la nostra anima, e mancherebbe qualcosa al
nostro modo di vivere il modo di essere domenicano. Il nostro modo di vita si
incarna nel nostro stile di governo che suppone ascolto, dialogo, assunzione
delle responsabilità, collaborazione fraterna, ecc. La mancanza di impegno
comunitario, l’individualismo, ecc. si spiegano molte volte in base alla
mancanza di governo e viceversa».
Purtroppo, benché i
capitoli generali insistano sul cosiddetto progetto
comunitario, sono poche le comunità che si prendono il tempo necessario per
riflettere sui principali aspetti della vita comunitaria, i suoi apostolati,
ecc. Ma dove ciò viene fatto, si nota un miglioramento e una maggiore qualità
della vita comune».
Altrettanto
importante è scoprire nella vita comune il ruolo
del superiore, il quale «non è il responsabile di tutto né solamente un
animatore sociale o capo infermiere. Parlando dei giovani, soprattutto, nel
momento della prima assegnazione, la sua responsabilità è vitale per
accoglierli e accompagnarli».
Un punto chiave della
vita fraterna è la liturgia. Il modo con cui viene celebrata, sottolinea p.
Aspiroz, rivela lo stato della comunità. A volte questa è ridotta al minimo,
data la molteplicità delle attività: «È vero che dobbiamo armonizzare i momenti
di preghiera con il lavoro quotidiano, ma questi momenti continuano a essere i
tempi forti della vita spirituale della comunità». Di qui l’interrogativo: la
liturgia è un nutrimento spirituale o si risolve in un espediente in un tempo
minimo per adempiere ad un obbligo? È certamente un tema delicato poiché tocca
la fibra profonda di ciascuno e di tutti; tocca lo stesso rapporto con Dio!… ma
tutte e ciascuna comunità devono parlare del tema e avere il coraggio di
intraprendere i cambiamenti necessari.
Il padre attira
quindi l’attenzione sui ricchi testi dedicati dall’ultimo capitolo generale di
Providence (USA) alla vita contemplativa e domanda: «li abbiamo tradotti nella
vita concreta dei frati? siamo stati capaci di parlarne in comunità?». E
risponde: «alla luce delle visite alle comunità non pare tanto evidente».
VOCAZIONI
E FORMAZIONE
L’ordine domenicano,
ha sottolineato p. Aspiroz, continua a essere benedetto da un’abbondanza di
vocazioni. Ce n’è un buon numero in Africa, Asia-Pacifico e in America latina
dove quasi una quinta parte dei frati professi sono in formazione. In alcuni
luoghi le vocazioni sono più numerose come in Vietnam, nelle Filippine, a
Taiwan, nei Caraibi ecc. mentre sono poche in altri, come in Italia, Francia e
Stati Uniti. Ciò che sorprende è tuttavia un buon numero di vocazioni in
Francia e negli Stati Uniti, e altre vocazioni vengono dal sud del Belgio, dall’Australia,
Giappone, Canada ecc. A queste si possono aggiungere i candidati
dell’Indonesia, Myanmar, Papua Nuova Guinea, Sudan, Singapore.
Queste vocazioni,
secondo il padre, sono un segno dell’attrattiva e attualità del carisma
domenicano. Da tanti incontri avuti con aspiranti e novizi egli ha potuto
rilevare che ciò attrae sono alcuni valori fondamentali come la vita fraterna,
la preghiera comune, la tradizione intellettuale e la vita di predicazione.
Ma, si è chiesto,
quali sono i fattori che contribuiscono a una fruttuosa promozione vocazionale?
A suo parere, sono la testimonianza di vita dei frati, la visibilità della vocazione apostolica in determinati luoghi e
la fiducia di ciascun frate nell’invitare altri ad aggiungersi. Ha sottolineato
anche che dove è stato nominato un
promotore vocazionale a tempo pieno vi sono maggiori opportunità di ricevere
dei candidati. Evidentemente, ha precisato, «non è il promotore vocazionale ad
attirare le vocazioni; è lo Spirito Santo che continua a soffiare, ispirare, chiamare… a suscitare
frati predicatori. Da parte nostra, dobbiamo saper preparare il terreno, farci
strumenti di questa ispirazioni, renderci visibili».
Non bisogna tuttavia
dimenticare che i candidati che oggi desiderano entrare sono figli del loro
tempo, sono molto diversi da quelli di ieri. Ciò pone nuovi problemi nel campo
della formazione; essa deve rimanere una priorità. Ciò significa che bisogna
riservare i frati migliori per questo compito, anche a costo di grandi
sacrifici in altri campi. Ma non è facile. Molti provinciali hanno fatto sapere
di trovare molte difficoltà nella scelta di persone da destinare a questo
compito, soprattutto al ruolo di maestri dei novizi o degli studenti.
Una questione
cruciale è chiedersi anche: «per che cosa ci formiamo?». La domanda pone di
fronte a un’altra sfida: la formazione per la missione. In effetti, ha
sottolineato p. Aspiroz, «l’ordine non esiste per se stesso, ma per la sua
missione di predicare il Vangelo. Ne consegue che la nostra formazione è per essere
fedeli a questa missione». Si tratta quindi di riscoprire e consolidare la
formazione in questo senso missionario. Di qui una serie di domande: siamo in
contatto con i frati che operano nella formazione e li aiutiamo a porsi nel
contesto in cui vivono le società dove ci si trova a operare? facciamo
conoscere ai nostri fratelli della
formazione la realtà sociale, economica, politica, culturale e religiosa del
popolo che serviamo? il nostro modo di essere domenicani è veramente
contestualizzato e inculturato, in dialogo e risposta alle situazioni e ai
bisogni della società e delle chiese locali? quali sforzi facciamo per
inculturare i nostri programmi formativi? incoraggiamo i nostri candidati a studiare e ad amare la
loro cultura e la loro storia? Attribuiamo sufficiente importanza allo studio
delle scienze sociali? Riserviamo la stessa attenzione alla formazione
missionaria e pastorale e a quella umana, religiosa e intellettuale dei nostri
frati?
L’ultima parte della
relazione sullo stato dell’ordine termina con uno sguardo ai problemi relativi
al governo e all’economia. Ma prima di concludere, p. Aspiroz, invita a non
chiudersi nel guardare solo ai problemi interni all’ordine, ma a rivolgere lo
sguardo anche verso l’esterno per scoprire quali sono i bisogni del mondo
contemporaneo. «Viviamo in un momento, ha affermato, in cui ogni giorno
accadono episodi di inaudita violenza. Ai tempi delle guerre mondiali si diceva
“il mondo è in guerra”. Era vero, l’Europa era lo scenario principale. Ma ora
mi domando e lo chiedo ai miei fratelli: forse il mondo non è in guerra anche
oggi? E quindi, come essere predicatori del Vangelo di pace in questo mondo e
attraverso le nostre comunità»?
Dalla relazione di p.
Aspiroz emerge quindi un ordine pieno di vitalità, consapevole della sua
ricchezza interiore, ma desideroso di rimanere aperto al mondo per annunciare
ad esso il vangelo.