INTERROGATIVI OGGI PIÙ COMUNI
CAMBIAMENTI CHE CAMBINO DAVVERO
In queste righe vengono indicate delle aree sulle quali
le consulte, i capitoli e le assemblee – o meglio a partire da queste – un
istituto dovrebbe investire molta riflessione. Gli interrogativi più ricorrenti
esposti attraverso domande e risposte.
Di innovazione ce
n’è tanta in corso, ma è improduttiva; si tratta al più di toppe nuove su di un
vestito logoro. Qual è il tipo di cambiamento necessario per poter esserci nel
futuro?
Tenuto presente che la VR più di altre forme societarie è
una specie in mutazione, non rimane che assumere il cambiamento come categoria
irrinunciabile per vivere in situazione. Non sono sufficienti alcune spinte
fatte di quando in quando o a cadenza sessennale, ma occorre il cambiamento
come «elemento diventato strutturale del farsi della realtà».1 Vale a dire che
ogni obiettivo ha significatività se accetta da subito di essere perennemente
evolutivo. Questo concetto lo si trova anche nelle parole del papa: «La vita
carismatica della Chiesa, invece di esaurirsi trova costantemente nuove
forme».2
C’è dunque cambiamento e cambiamento. Il primo tipo di
cambiamento è quello a cui si può applicare il motto gattopardesco «cambiare
tutto per non cambiar niente», in quanto avviene in un gruppo che tende a
conservare immutata la propria situazione, ovvero i propri valori, le proprie
norme e i propri modi di vita, realizzando solo quelle innovazioni che lo
aiutano a risolvere i problemi che di volta in volta incontra nella sua
esistenza. II secondo è invece quello che si realizza all’interno di quei
gruppi che subiscono una profonda innovazione della loro struttura, della loro
cultura e quindi del sistema di riferimento di valori e di norme che orientano
l’identità dei loro membri. Di solito, una istituzione attraverso la prima
forma di cambiamento, giunge a esaurire una fase storica della sua esistenza. Finora
si è lavorato per la prima forma ma è rimasta quasi inalterata la resistenza al
cambiamento di secondo tipo soprattutto per il fatto che, in un gruppo
sufficientemente coeso, le norme divengono una sorta di “super-io attraverso
l’interiorizzazione che viene fatta da parte dei membri.3 Opporsi al
cambiamento significa non essere capaci di distinguere VC e modalità storica
per cui la domanda che molti cristiani si fanno è: l’attuale società ha bisogno
o no della VR per trovare strade di salvezza? I cristiani hanno bisogno del
messaggio cristiano come trasmesso dai religiosi?4
Lo strumento di
lavoro (IL) del prossimo Congresso 2004 dice: «C’è necessità di trovare canali
per vivere il Vangelo in modo autentico e creativo in questa nuova cultura
postmoderna» (n. 36); a chi spetta, o meglio chi è capace di ciò?
Fino a qualche anno fa si sarebbe detto che lo strumento
ideale fosse il capitolo, oggi sono in molti a dubitarne. I momenti
istituzionali “alti” sono soggetti ad alcune sindromi, in modo particolare si
lasciano paralizzare da una identità predefinita. Vi partecipano persone per il
ruolo che hanno o per ciò che rappresentano, che sanno, che hanno un bagaglio
di riferimento solido; tutte cose valide nella trasmissione, in tempi in cui la
tradizione e fedeltà a essa interpellava, ma per il cambiamento occorrono
soprattutto persone che si trovino a proprio agio nel continuo viaggio
dell’apprendimento; che abbiano attrezzi già sperimentati più che esperienze
sedimentate. L’abate trappista Olivera, al ritiro del capitolo dei Clarettiani
disse: «Passate dal buon senso alla follia… I capitolari siedono in aula grazie
al loro buon senso. Il buon senso chiede che tutto sia previsto o prevedibile,
chiede prudenza, tempo... Dare spazio alla follia è lasciare che il sistema si
rompa, vada in tilt». Certamente questo è quanto la situazione attuale
richiederebbe ma in un consesso di vertice non è pensabile l’accoglienza di
questa proposta. La possibilità che ciò avvenga è riposta altrove, in spazi che
permettano di sottrarsi all’eccesso di pressione di conformità che non permette
di sviluppare immaginazione, creatività, criticità e distanza dall’esistente;
in luoghi di incubazione di nuovi significati culturali, a partire dai quali
sia possibile inventare nuove forme di vita individuale e collettiva,5 o,
semplicemente, ridare vita a quelli che l’uso routinario quotidiano ha
svuotato. Il teologo Thaddée Matura ofm scrive: «L’iniziativa, maturata
attraverso esperienze, contatti, riflessioni e discussioni dovrebbe nascere dal
gruppo, non da decisioni, certamente generose, ma teoriche dei capitoli e dei
consigli». Il cambiamento avviene attraverso quei gruppi di ricerca-azione in
cui le persone sono spinte dall’entusiasmo della creatura nuova, del sogno: un
valore circola se c’è un’emozione positiva che lo sostiene. Se il capitolo è il
luogo dei principi questi gruppi sono il luogo della motivazione (da motus,
motivus), cioè che fa muovere, che è origine dell’azione, che ha la possibilità
di diventare grembo in cui quanto pensato possa avvenire. La strada si apre a
chi la intraprende e non a chi la indica.
Tra gli strumenti
inadeguati al cambiamento si possono annoverare anche altre strutture di
governo?
Leggo dallo strumento di lavoro di Congresso 2004: «La VC
ha strutture, organizzazione ed esercizio di governo che rispondono alla sua
storia gloriosa. È il futuro, però, che dobbiamo costruire. Ciò richiede un
cambiamento di mentalità profondo, che renda possibili nuove istituzioni e
forme di governo nelle quali la vita nascente non si veda soffocata».6
Il limite della maggior parte delle attuali strutture di
governo è, paradossalmente, quella di governare piuttosto che di costituirsi in
“unità di crisi”, come avviene quando si presentano emergenze fuori
dell’ordinario. Governare significa pilotare in riferimento a una “norma”.
Dunque chi governa, tendenzialmente è portato a normare, normalizzare: tutte
cose utili, in tempi, appunto, di normalità, ma un’eccedenza di tutto ciò rende
difficoltoso il processo di elaborazione di proposte vere per il futuro: con le
sole norme, in momenti critici, non si riesce ad andare oltre. Già molti anni
fa K. Rahner diceva: «Il futuro della Chiesa non può essere pianificato
attraverso l’applicazione di principi generali riconosciuti».
È difficile vedere nella maggior parte delle attuali
forme di governo, prese da emergenze ineludibili, la sorgente della forza che
invia a fare altre cose. Il governo è guidato da logiche fortemente razionali
mentre i mondi vitali – e tale dovrebbe essere la VR – dalla autenticità,
libertà, espressività, creatività. Alla domanda quali scelte fare, la VR è
portata a pensare un qualcosa che abbia alcune caratteristiche, quali un certo
tasso di definitività, omogeneità, intercambiabilità, tutte cose che rendono
difficile il collocare la VR nelle situazioni critiche a lei contemporanee.
L’eventuale nuovo correda le scelte apostoliche per accumulo, ciò che oggi non
è più possibile. In un tempo in cui i punti di contatto tra la cultura attuale
e le forme storiche di VR sono molto pochi, è impensabile farli interagire con
repertori inattuali. Nel caso, la rinascita domanda la rottura. Questa è una
parola che carica di ansia chi è custode della normalità, perché c’è una errata
equiparazione tra rompere e distruggere. Rottura non è per la non continuità,
ma ricerca di un piano diverso di attuazione: capacità di rottura significa
capacità di far nascere.
A chi governa è richiesto di essere illuminato, che oggi
non significa intravedere con chiarezza il futuro ma piuttosto saper evitare le
trappole storiche che hanno condotto la VR a questo punto, e «accettare di
procedere con soluzioni fragili e provvisorie, senza voler tutto
stabilire».Fragili non significa povere. Le risposte alle grandi sfide, di
quest’ultimo tipo, durano lo spazio di un mattino.
In una festa di
giovani (02.04.04) il papa disse: «Dobbiamo metterci in discussione per
ricuperare i giovani». Che cosa principalmente c’è da rivedere nella VR per
uscire dalla debole legittimazione sociale che abbiamo agli occhi dei giovani?
Il primo campo di indagine è lo stato di vitalità. La
riflessione maggiore in questi ultimi quarant’anni è stata data al termine
consacrata, prevalente sul termine vita, ma il fine dell’esistenza di una
persona non è la consacrazione bensì la vita e se uno sceglie di consacrarsi è
per avere più vita, certamente secondo paradigmi evangelici, che però oggi si
calano su un concetto di persona, evoluto secondo alcune istanze antropologiche
in precedenza misconosciute. In una intervista una giovane claustrale diceva:
lascio il monastero non per deficit di consacrazione ma di vita. Vivere è
diverso dal sopravvivere: è aprirsi a prospettive progredienti, è godere del
vino nuovo, fecondare, creare, osare, sfidare e non sentirsi soltanto
minacciati, sognare. La consacrazione, che fa leva soprattutto sulla volontà,
prima o dopo sperimenta che questa vacilla se non c’è il desiderio scaturito
dal sogno: è questo che rende capaci di rimescolare le carte delle abitudini e
«ci impedisce di trasformarci in meri conservatori di segni ormai
insignificanti o di un mero valore di museo e folcloristico».7 Vocazionalmente
parlando potremo dire che oggi nessun giovane si consacra per tenere vivo il
passato: «i giovani non rifonderanno nulla perché il vecchio appaia nuovo, ma
accoglieranno un nuovo che è segno misterioso e gioioso del veniente».8
L’arte che in questo tempo l’istituzione deve imparare è
di non disperdere le forze e congiungere con saggezza il bene degli individui
con il bene della Chiesa e della congregazione. «La VC in tutte le sue forme
appare nella Chiesa come una serie di energie non sempre sfruttate, a volte
sprecate, e altre volte usate in modo ripetitivo».9 Tra le istituzioni è quella
che meno di tutte le altre mette a frutto il capitale sociale dei suoi membri,
mentre, allungandosi l’età media di vita bisogna prolungare il tempo utile di
produttività apostolica.
C’è chi vede come
ultimo atto di profezia della VR quello di aver spostato l’attenzione
prevalente dal nord al sud del mondo. Tutto ciò è vera profezia oppure è perché
queste aree ci danno la possibilità di continuare a fare quello che sempre
abbiamo fatto?
È profezia se le scelte sono conseguenti al fatto di aver
capito che una cultura può vivere a lungo e in buona salute solo se è un sistema
aperto che si nutre dello scambio vitale con altre culture. Un certo tasso di
ibridazione è vita per i sistemi culturali che le sperimentano.10 A tal fine lo
spazio lasciato a un carisma è quello dell’inculturazione che è diverso
dall’integrazione. Al di là dei proclami e delle intenzioni, gli istituti forti
della propria storia, hanno operato più per la seconda che per la prima.
Personalmente ritengo che neanche l’inculturazione, nel
modo in cui si è fin qui cercato di attuarla, sia in assoluto l’obiettivo
migliore ma che si debba arrivare al riconoscimento delle diversità perché «una
VC nella quale si rispettano e promuovano le differenze di genere, di età, di
cultura, di riti e di sensibilità acquista una considerevole qualità di segno
nel nostro mondo»;11 diversamente c’è «il pericolo che la cultura predominante
nell’istituto si imponga sulle altre, impedendo il processo di inculturazione e
l’espressione dei carismi nei nuovi contesti».12 Il futuro sta nel «riconoscere
l’unità nella diversità».13 Indicativo può essere l’esempio del carisma di
qualche movimento, ispirativo non soltanto di culture diverse ma anche
religioni diverse: questo è possibile soltanto a carismi fortemente tipizzati
in quanto a spiritualità. Oggi è incontrovertibile la crescita della coscienza
di area geo-culturale che esige l’incontro tra la storia (carismatica) e la
geografia della VC.
In futuro non potrà esserci carisma fuori contesto.
Contextus significa tessere insieme, intrecciare, collegare, fino a diventare
cornice normativa; non è dunque riconducibile a un fondale, a uno spazio
dell’agire ma deve essere un elemento che gioca il ruolo principale nella
costruzione dell’azione. Nel passato, fino a oggi, è stato molto grande il
riferimento all’Europa per quanto riguardava l’ispirazione carismatica,
governo, potere economico, impostazione organizzativa, ora l’Europa occidentale
non può più continuare ad avere questo compito-guida predominante.
Come la Chiesa d’Africa ha fatto il suo sinodo e altre
aree culturali lo rivendicano così sarà nella vita consacrata. Le proposte di
principio universali sono costruite su termini quali giustizia, verità, dignità
e diritti della persona, povertà, laicità, reciprocità che hanno significati
diversi da quelli ad essi attribuiti dalla cultura europea e le sfide pur con
lo stesso nome cambiano dal luogo, dal tipo di cultura, dalla possibilità di
alleanze, dal modo di inverarsi.
Rino Cozza c.s.j
1 P. Carballo, Ministro generale dei Minori in
Testimoni n.7 2004.
2 5 ott.1994.
3 M. Pollo, Animazione sociale, n. 1. 04 p. 54.
4 P.F. Scalia s.j in VC n. 3 2004.
5 M. Pollo, Animazione Sociale, n. 1. 04.
6 Instrumentum laboris n. 112.
7 Instrumentum laboris n. 57.
8 Ib. n. 105.
9 P.F. Scalia s.j in VC n. 3 2004.
10 Instrumentum laboris n. 112.
11 M. Pollo, Animazione Sociale. n. 1 04.
12 Instrumentum laboris n. 34.
13 Ib. n. 20.
14 Ib n. 21.