SEMINARIO DELLA FONDAZIONE ZANCAN

LE AREE DELLA POVERTÀ

 

La povertà è un fenomeno complesso. Non si riduce solo a un problema di reddito e di consumi. Oggi si tende a collegarla con l’esclusione sociale. Per la Chiesa è tempo di ripensare il suo impegno, di passare dall’ambito assistenziale a quello preventivo e profetico.

 

Il tema della povertà è diventato, nel corso degli ultimi anni, oggetto di interesse crescente e di dibattiti nei mass media, a mano a mano che le difficoltà economiche coinvolgevano non più solo le categorie tradizionali dei poveri – anziani con pensione sociale, disoccupati, senza fissa dimora – ma anche altre fasce insospettabili della popolazione. Oggi in Italia cresce sempre più il numero delle persone e delle famiglie impoverite. Le informazioni più significative in proposito possono essere attinte dagli osservatori e dai centri di ascolto Caritas, come pure dai centri comunali di assistenza, che sono a contatto quotidiano con le persone in difficoltà economica o di altro genere.

La Fondazione Zancan ha organizzato durante l’estate a Malosco (TN) su questo tema un seminario con la collaborazione della regione Toscana, tendente a enucleare gli indicatori della povertà, vale a dire gli elementi che consentono di scoprire nel nuovo contesto storico l’esistenza e lo spessore delle povertà, superando se necessario i criteri consolidati, che forse sono eccessivamente appiattiti sulla dimensione economica.

Dall’analisi dei dati, presentati sia dai centri Caritas sia da quelli comunali, sono emerse due indicazioni significative. Anzitutto che esiste un rapporto stretto tra instabilità familiare e povertà. L’onda lunga delle separazioni e dei divorzi alimenta un’area di povertà che riguarda molte donne con figli a carico, che pur avendo un lavoro, non sono in grado di coprire le spese ordinarie.

L’altra indicazione riguarda la crescita registrata, negli ultimi anni, della cosiddetta povertà nascosta e dignitosa, propria di famiglie che in passato godevano di un relativo benessere e ora, trovandosi in difficoltà, non manifestano, o nascondono a ragion veduta, la loro condizione e nel contempo riducono i consumi alimentari e altri consumi legati ai bisogni primari. Ad esempio evitano interventi sanitari, pur necessari, cure dentarie, ecc... Non sono rari i casi nei quali le famiglie acquistano a credito, spostando in avanti il problema di come pagare, sperando in tempi migliori. Molti ricorsi all’usura trovano qui la loro radice: sono tentativi di mantenere un tenore di vita apparentemente buono, salvo il non sapere quanto esso potrà reggere.

 

POVERTÀ,

FENOMENO COMPLESSO

 

Oggi tuttavia si tende a collegare la povertà con l’esclusione sociale. Si avverte infatti che la povertà non si riduce solo a un problema di reddito e di consumi. Ad esempio un’analisi realizzata dai centri di ascolto Caritas del nord-est ha messo in evidenza che la forma di povertà che pesa maggiormente sulle persone anziane è costituita dalla solitudine, e con essa dalla scarsità di relazioni umane.

Neppure si può ignorare il dilatarsi dei vari fenomeni di dipendenza dalla droga, dall’alcool, dal fumo, dal gioco...

Molti ricercatori tendono a separare queste situazioni dal fenomeno povertà, collocandole invece nella categoria del disagio e dell’autoemarginazione. Non si deve tuttavia dimenticare che molto frequentemente le carenze economiche sono strettamente collegate con le varie forme di disagio sociale e con la privazione di casa, di salute, di lavoro, di cultura, di relazioni sociali.

Una conferma di questa affermazione viene da una ricerca presentata al seminario della Fondazione E. Zancan, sopra ricordato,1 nella quale viene evidenziato il carattere multi-dimensionale della povertà. La povertà si presenta sempre più come un processo dinamico, nel quale interagiscono componenti economiche (salario insufficiente, disoccupazione, pensione inadeguata a coprire i bisogni primari) e componenti collegate alla personalità dell’individuo, alle fragilità familiari, alla scarsità di salute, a fasi di stress, alla scomparsa di legami sociali, alla dipendenza di vario genere.

In sintesi lo stato di povertà è il risultato di una serie di fattori, non sempre evidenti, talvolta volutamente occultati, dipendenti solo in parte dall’individuo e per lo più scaturenti dal contesto sociale.

 

VULNERABILITÀ

SOCIALE

 

L’attenzione alla povertà come risultato di un processo di degrado ha indotto i ricercatori del sociale ad approfondire, accanto al fenomeno della povertà – assoluta e relativa –, la particolare situazione di pre-povertà chiamata vulnerabilità sociale. Il fenomeno riguarda un numero non ben precisato di famiglie, che sono a rischio di povertà: non sono ancora diventate povere solo perché supportate da particolari aiuti forniti dai servizi sociali, pubblici o privati.

Gli elementi di fragilità e di debolezza sono, in parte, di carattere economico: queste persone non dispongono di risorse economiche, pur piccole, che consentano loro di affrontare situazioni di emergenza. In parte, invece, si tratta di fattori di carattere personale soggettivo, quali ad es. l’incapacità delle persone di affrontare gli eventi negativi della vita e di impedire che essi compromettano l’equilibrio in cui si trovano.

Questa situazione è più frequente in contesti economicamente più sviluppati, nei quali l’organizzazione socio-economica richiede livelli sempre più alti di efficienza e di resa, difficilmente perseguibili dai soggetti deboli, che quindi si autocondannano all’emarginazione.

I fattori che incidono maggiormente in questo processo di destabilizzazione e creano di conseguenza rischio di povertà sono tre:2

 

– la flessibilità del lavoro: viene chiamata anche più propriamente precarietà di lavoro. Si tratta di una situazione che crea insicurezza, impedisce ai giovani di progettare la propria vita, costringe a un impegno di formazione permanente che diventa particolarmente problematica per le persone di una certa età. La flessibilità diventa in alcuni casi perfino fonte di nuove malattie di tipo psicologico;

– l’indebolimento del tessuto familiare. Pesano soprattutto le rotture e le separazioni coniugali e la riduzione delle reti familiari e parentali. La famiglia svolge sempre meno la funzione di cura, di protezione e di ricupero delle persone, nei momenti di crisi;

– l’attenuazione delle politiche sociali, che ormai è di esperienza comune. Il welfare è in crisi progressiva, soprattutto per ragioni economiche e risponde sempre meno alla domanda sanitaria e assistenziale dei cittadini. Di conseguenza l’onere di assicurare i necessari servizi viene scaricato sulle famiglie e sulle persone.

Oggi il numero dei poveri, in senso stretto, è in Italia più o meno stabile – circa sette milioni di persone – ma il numero dei vulnerabili e di coloro che sono stati costretti per limiti economici a modificare abitudini e stili di vita è notevolmente aumentato.

Secondo una ricerca dell’I.S.A.E. (Istituto di analisi economica governativa) di luglio c.a., gli italiani che si sentono poveri raggiungono il 60,7% della popolazione, ossia quasi il 10% in più rispetto ad un anno fa. Si tratta ovviamente di “povertà soggettiva”, cioè di una percezione personale di uno stato di disagio, ma essa rivela quanto sia diffuso il senso di incertezza e di ansia per il futuro, confermato da un dato – questo sì oggettivo – riguardante il crollo delle vendite nel commercio (-3,2% rispetto all’anno precedente).

 

UN SERIO

IMPEGNO POLITICO

 

Tutti questi dati aiutano a capire che la povertà dev’essere affrontata nel quadro di un serio progetto politico e va combattuta più con la prevenzione che con la beneficenza. Non si tratta infatti di dare qualcosa di più ai poveri, quanto di garantire a tutti – quindi anche ai poveri – uguali diritti di cittadinanza. Prevenzione significa: garanzia di un posto di lavoro, casa, sanità, istruzione scolastica, assistenza...

Nella legge 328/2000 – la legge quadro sui servizi sociali – era stato previsto il diritto per tutti a fruire di livelli essenziali di assistenza, così come analogamente tali livelli essenziali vengono assicurati nell’ambito della sanità (pronto soccorso, ricovero gratuito ospedaliero, ecc.). Il governo però non ha ancora voluto definire questi livelli essenziali che creerebbero dei doveri precisi da parte dell’amministrazione: essi perciò sono rimasti, per i cittadini, diritti solo “virtuali”. Di conseguenza, chi ad esempio, ha bisogno di assistenza a domicilio, perché non autosufficiente, o paga di tasca propria o ne rimane privo.

Nella passata legislatura, la lotta alla povertà era stata affrontata attraverso la sperimentazione del Reddito minimo d’inserimento che comportava un sostegno economico temporaneo, accompagnato dall’impegno a facilitare il reinserimento della persona interessata in un lavoro che le garantisse una dignitosa autonomia. La sperimentazione comportava un costo per la comunità ma offriva la speranza di uscire dalla povertà. Negli ultimi anni la sperimentazione è stata cancellata e sostituita con un vago intervento “di ultima istanza”, che concretamente si riduce a una forma di assistenza, riservata ai casi gravissimi, da elargire da parte dell’amministrazione pubblica, in rapporto alle risorse disponibili. Con queste scelte forse si pratica la beneficenza, ma non si contrasta la povertà, né, tanto meno, si costruisce l’uguaglianza prevista dalla Costituzione.

Esiste naturalmente per ogni forma di contrasto alla povertà il problema del reperimento delle risorse. La Costituzione indica, allo scopo, la strada maestra della solidarietà, realizzata attraverso il criterio della progressività: «Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche, in ragione della loro capacità retributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività» (art. 53). La strada indicata dalla Costituzione è praticabile, a condizione che vengano realizzati un serio sistema di controllo e una costante educazione alla legalità.

Il nodo quindi non sta nelle risorse – l’Italia è tra i sette paesi più ricchi del mondo – ma nella loro equa distribuzione. L’agenzia nazionale delle entrate ha stimato a 200.000 miliardi di vecchie lire l’evasione fiscale annuale nel nostro paese. Quanti posti potrebbero essere creati con questa somma? Quale rete di servizi a domicilio per anziani e per persone disabili? A monte della povertà ci sono evidenti problemi etici e una scarsa maturità culturale democratica. Tali ostacoli saranno sperabilmente superati solo con un impegno congiunto dello stato e della società.

Anche la Chiesa, che è componente viva della società, è dunque chiamata in causa. L’amore per i poveri fa parte del suo DNA, e i servizi di carità caratterizzano l’intero arco della sua storia bimillenaria.

Forse però alla luce dei rilievi sopra riportati, la presenza caritativa della Chiesa va ripensata in termini nuovi in prospettiva di una maggiore efficacia e significatività. Tre sembrano le attenzioni da coltivare:

 

– anzitutto coniugare l’educazione alla carità con una complementare educazione alla giustizia e con il rispetto della legalità. La tradizione biblica in tal senso ci aiuta: “Ecco, nel giorno del digiuno voi curate i vostri affari, angariate i vostri operai...: questo è il digiuno che io voglio, sciogliere le catene inique... rimandare liberi gli oppressi, spezzare ogni giogo” (Is 58,6);

– l’ispirazione evangelica ci sospinge inoltre a vivere la carità più in termini di condivisione che di elemosina. Non è sufficiente riservare ai poveri le briciole che cadono dalla mensa, è doveroso invitarli alla nostra tavola, Solo la condivisione del benessere potrà strappare l’aiuto ai poveri dalla collocazione marginale nella quali oggi si trova;

– infine i segni dei tempi ci richiamano alla necessità di spostare l’asse della nostra presenza e dei nostri servizi dall’ambito riparatorio e assistenziale a quello della prevenzione e della profezia. Nel settore degli anziani ad es. si potrebbe dire: meno case di riposo e più assistenza alle famiglie. Nell’ambito giovanile: meno comunità terapeutiche e maggiore presenza nei luoghi di aggregazione e socializzazione dei ragazzi.

 

Si tratta spesso di strade nuove da creare e da sperimentare, che esigono fantasia pastorale e tanta passione. L’obiettivo è molto importante: il superamento della povertà e dell’emarginazione e la costruzione di una società che restituisca ai poveri la speranza e la gioia di vivere.

 

sac. Giuseppe Pasini

 

1 Castegnaro A., Bezze M., Povertà e vulnerabilità sociale in provincia di Bergamo, Fondazione Zancan e Provincia di Bergamo, 2004.

2 Vedi Povertà e vulnerabilità, o.c., 19.