APRIRSI A DIO

 

«La preghiera cristiana si configura… come un dialogo personale intimo e profondo, tra l’uomo e Dio. Essa esprime quindi la comunione delle creature redente con la vita intima delle Persone trinitarie. In questa comunione… è implicato un atteggiamento di conversione, un esodo dell’io verso il tu di Dio. La preghiera cristiana rifugge da tecniche impersonali o centrate sull’io, capaci di produrre automatismi nei quali l’orante resta prigioniero di uno spiritualismo intimista, incapace di un’apertura libera al Dio trascendente». Questo passaggio del documento vaticano Alcuni aspetti della meditazione cristiana (1989) ci sembra una sintesi efficace del messaggio che emerge da un fortunato volumetto, ristampato di recente, del gesuita p. Thomas H. Green, missionario nelle Filippine, autore di fama internazionale con notevole esperienza come accompagnatore spirituale in varie parti del mondo.1

Si tratta di una guida di iniziazione alla preghiera in cui l’autore ci offre una fenomenologia della preghiera, con la consapevolezza che essa è avventura personale, offrendo le coordinate essenziali per entrarvi e progredire: «Credo infatti che l’esperienza sia la sola prova per realtà come la preghiera e l’amore. La moglie non può realmente provare a qualcun altro che suo marito la ama. Qualsiasi prova che lei presenti può essere interpretata in un altro modo. Ma lei sa, per esperienza, che egli la ama. Allo stesso modo san Giovanni dice che Andrea e lui per primi seguirono il Signore all’invito di Giovanni Battista [cf. Gv 1,38-39]. Giovanni menziona raramente l’ora del giorno nel suo Vangelo. Ma questo fu il momento in cui egli si innamorò. Se aveste domandato a Giovanni di provare che Gesù è il Signore, io credo che Giovanni avrebbe risposto. “La sola prova è questa. Se voi andate in un certo posto alle quattro del pomeriggio, potreste vedere quello che io ho visto. Se ci andrete, conoscerete che Gesù è il Signore”» (p. 27).

 

DISCERNIMENTO

E TECNICHE DI PREGHIERA

 

P. Green, nella prima sezione dello scritto (il che cosa e il perché della preghiera), parte dalla tradizionale definizione della preghiera come «elevazione della mente e del cuore a Dio», facendo risaltare il rischio semipelagiano di questa visione che sembra supporre lo sforzo personale dell’uomo per raggiungere un Dio che fa da spettatore. Questa è esattamente la visione delle grandi tradizioni orientali (induismo e buddismo), che non conoscono un Dio personale e nelle quali pregare dipende totalmente dallo sforzo per vuotare la mente e raggiungere la pace. Al contrario, proprio la concezione di un Dio personale che incontra le sue creature nell’amore permette al nostro autore di definire la preghiera cristiana come «apertura della mente e del cuore a Dio». In questo modo si accentua l’idea di ricezione e di ascolto: «Il buon orante è soprattutto un buon ascoltatore. La preghiera è dialogo; è un incontro personale d’amore… e poiché Dio è il Signore, egli solo può iniziare l’incontro. Ne segue che ciò che l’uomo fa o dice nella preghiera dipenderà da quello che Dio fa o dice prima di lui» (p. 36).

Pur con questo orientamento, il principiante però si trova di fronte a domande che possono ostacolare il suo cammino. Con lo stile di vita odierno la preghiera è un lusso che il credente medio (laico, prete o religioso) può permettersi? Non è più urgente rispondere ai bisogni di chi ci sta intorno, alle ingiustizie sociali piuttosto che farsi assorbire dalla vita spirituale? P. Green nota anche che è sempre più comune che coloro che entrano in seminario o in noviziato si trovino a loro agio quando si discute su “trovare Cristo negli altri”, molto meno di fronte alla domanda su chi è Cristo per loro. Sotto tali questioni cova un dubbio di fondo sul se e come la preghiera sia strumento utile per vivere. Si tratta di una prospettiva sbagliata perché «amore e amicizia non sono mezzi ma fini, da cui scaturisce la preghiera, che è la nostra relazione d’amore con Dio. Non possono essere rilevanti nel senso che li usiamo semplicemente per cambiare il mondo o per raggiungere la pace del cuore… la preghiera è l’unica tra le relazioni umane che non può essere usata o manipolata dall’uomo, perché è una relazione con Dio, che è indicibilmente l’Uno Santo e dunque rimane sempre il maestro dell’incontro» (p. 47).

La preghiera è rilevante non se misurata nei termini dei nostri scopi sociali o personali, ma piuttosto nei termini del lavoro creativo di Dio nel mondo: la rilevanza della preghiera è dunque legata al fatto che è proprio in essa che ascoltiamo Dio e scopriamo la sua volontà per noi nelle specifiche circostanze della vita. Questo legame tra preghiera e vita è conosciuto nella tradizione cristiana come discernimento. Si tratta di affinare la sensibilità verso ciò che Dio desidera per noi e per il mondo, in modo da evitare il rischio che i momenti di orazione siano in fondo solo dialoghi con se stessi. In questo senso il principiante è invitato a seguire almeno tre regole: a) mettere alla prova le proprie ispirazioni davanti alle Scritture nelle quali Dio si è rivelato a noi attraverso suo Figlio; b) ricordare che Dio lavora sempre nella pace e lentamente per formare credenti maturi e responsabili; c) essere consapevoli che la vera crescita nella conoscenza di Dio richiede normalmente un buon direttore spirituale.

Da queste regole emerge il fondamentale principio che si impara a pregare accettando con umiltà di farsi discepoli di qualcuno più esperto (seconda parte del volume: il come della preghiera). In questo discepolato si possono imparare alcune tecniche di preghiera, ricordando sempre che esse sono pre-condizioni e che l’incontro col Signore è un puro dono: «In primo, possiamo parlare di metodi per raggiungere la pace, per portare noi stessi a quel silenzio nel quale è possibile sentire la voce di Dio. In secondo luogo, possiamo parlare di tecniche che ci dispongono positivamente all’incontro con il Signore» (p. 67). Circa le prime p. Green ricorda i mezzi tradizionali (le giaculatorie come la preghiera di Gesù dell’ortodossia, il rosario e l’ufficio divino), accogliendo con positività anche alcuni metodi yoga o zen per trovare calma interiore e concentrazione. Per quanto riguarda le tecniche di secondo tipo, il loro scopo è quello di portarci a una conoscenza più profonda e onesta di noi stessi, attraverso una purificazione interiore che ci permette di toglierci le maschere che indossiamo: richiamando sant’Ignazio, vengono ricordati la penitenza come forma di preghiera, l’esame di coscienza e la meditazione sulla vita di Gesù.

Poste queste solide basi, la nostra coscienza diventerà sempre più profonda e sensibile, rendendoci disponibili a essere sorpresi dalla gioia dell’incontro con il Signore che farà crescere in noi il frutto dello Spirito (prova principale dell’autenticità del nostro dialogo con lui).

 

M.C.

 

1 GREEN T. H., Aprirsi a Dio. Una guida alla preghiera, Edizioni AdP, Roma 2004, pp. 118, € 10,00. È il primo di quattro volumi espressamente dedicati alla preghiera e precede Quando il pozzo si prosciuga, Buio nella piazza del mercato, Il grano e la zizzania.