LA CHIESA IN COREA

UN FUTURO PIENO DI SPERANZA

 

Nonostante le sue origini abbastanza recenti, la chiesa coreana manifesta una straordinaria vivacità. Non solo è pienamente affidata a vescovi e sacerdoti del luogo, ma è presente e attiva in moltissime iniziative pastorali. Anche qui tuttavia

si manifestano i primi sintomi di crisi.

 

Non capita di frequente sentir parlare della Chiesa in Corea. Eppure, come si può dedurre dal dossier pubblicato dall’agenzia EDA (Eglises d’Asie) delle Missioni estere di Parigi nel n. del 16 giugno scorso, si tratta di una delle chiese asiatiche più dinamiche e promettenti. È una chiesa con oltre 4 milioni di fedeli, molto ben strutturata, che può contare su un buon numero di vocazioni sia alla vita sacerdotale che religiosa e su una presenza sostanziosa di istituti religiosi, diversi dei quali di fondazione locale. Numerosi sono inoltre i campi in cui è impegnata, sia nell’ambito sociale sia nel servizio alle missioni ad gentes.

Per conoscerla un po’ più da vicino, è interessante ripercorrere brevemente la singolare storia che ha dietro di sé, diversa da quella delle altre chiese asiatiche. Risalendo alle origini, il dato che maggiormente risalta è che essa è nata quasi per germinazione spontanea, senza il contributo dei missionari stranieri, i quali stranamente nei loro spostamenti avevano sempre trascurato la Corea. I coreani sono entrati in contatto con il cristianesimo per altre vie, ossia durante i loro viaggi in Cina, a Pechino, in occasione delle ambascerie annuali che compivano per rinnovare la loro fedeltà di vassalli all’impero di mezzo.

In quelle circostanze approfittavano anche per visitare la città e rendersi conto di quanto avveniva. Ed è stato proprio qui che nel secolo XVIII alcuni coreani di passaggio incontrarono i missionari e ricevettero dei libri che, portati in patria, suscitarono un notevole interesse intellettuale tra la nobiltà, in un tempo in cui il neo-confucianesimo era praticamente dottrina di stato. Nel giro di alcuni anni, vari di essi scelsero il cristianesimo come loro fede e regola di vita e alcuni si recarono fino a Pechino per ricevere il battesimo. Ma si trattava ancora solo di persone desiderose di prendere le distanze da una società in disfacimento, senza tuttavia alcun impegno per fare chiesa.

 

DATA

DI FONDAZIONE

 

Si ritiene che la data di fondazione della chiesa coreana sia il 1784, anno in cui un gruppo di giovani nobili, dopo che uno di loro aveva ricevuto il battesimo a Pechino, fondano una “comunità di Chiesa”, con tutti i limiti che si possono immaginare, ossia senza i sacramenti, all’infuori del battesimo e senza sacerdoti. Essi cercarono di risolvere il problema dandosi al loro interno dei ministeri, ma s’accorsero che su questa strada non potevano andare molto lontano. Allora chiesero insistentemente al vescovo di Pechino, e successivamente a Roma, di inviare loro dei quadri istituiti.

È interessante notare le caratteristiche della fede di questi primi cristiani, poiché esse segneranno la storia successiva della chiesa in Corea per lunghi anni fino al presente: la scoperta progressiva di Dio al di là del cielo impersonale del confucianesimo, un Dio attivo nella storia degli uomini, un Dio che dà significato alla vita di ciascun essere umano; scoperta di un nuovo tipo di relazioni umane che mette in questione fondamentalmente il tessuto sociale dell’epoca e contesta allo stesso tempo il potere politico e la struttura sociale. In effetti i detentori del potere confinavano la gente in uno stato di servitù giustificato per altro dal neo-confucianesimo che sacralizzava il potere. I nuovi cristiani, al contrario, instaurano una fraternità che libera progressivamente il popolo nel suo insieme e la donna in particolare.

In queste condizioni, la persecuzione non poteva mancare. Spesso, osserva l’agenzia EDA, si sente dire che i cristiani sono stati perseguitati a causa della loro empietà. Ma la vere ragioni stanno altrove: in primo luogo a suscitare diffidenza è l’aspetto sovversivo di queste persone per i loro contatti con il mondo esterno di cui il potere ha paura. Infatti, il primo prete coreano Kim Taegon sarà messo a morte per avere avuto dei contatti con i cinesi e altri stranieri. In secondo luogo, è il comportamento dal tutto inconsueto del tutto in contrasto con gli usi e la mentalità del tempo, che induceva questi giovani nobili a mangiare alla stessa tavola dei loro servi e a insegnare a leggere e scrivere alle donne. Non era raro sentire un giudice domandare a una cristiana «sai leggere?», anziché «credi tu in questa religione straniera?». Saper leggere conferiva alla donna un potere inammissibile in una società dominata dal neo-confucianesimo il cui pilastro portante era costituito proprio dalla sacralizzazione del potere dei loro detentori.

Ma se nella capitale si sottoponeva a giudizio a causa dei questo aspetto rivoluzionario, in provincia le cose andavano diversamente. Siccome nel paese il cristianesimo era bandito, i cristiani si trovavano nella assoluta impossibilità di difendersi, divenendo così facile e mirata preda delle amministrazioni locali. Sembra assodato che numerosi cristiani siano stati eliminati semplicemente perché i loro beni passassero nelle mani dei mandarini e dei loro carnefici. Spogliare o sopprimere un cristiano o un villaggio cristiano non costituiva alcun reato.

Le prime due cause di persecuzione – empietà e carattere sovversivo – rimasero legali fino al 1886, anno della firma del trattato franco-coreano, ma la seconda motivazione rimarrà a lungo praticamente un fatto normale nelle province. È impossibile indicare un numero anche solo approssimativo dei martiri coreani: certamente quelli uccisi furono più di 10.000, ma quanti quegli spogliati o esiliati?

Finita quell’epoca ci si sarebbe potuti attender un po’ di pace. In realtà gli anni che vanno tra il 1890 e il 1950, benché senza persecuzione furono molto difficili. A partire dal 1950, una volta terminata la guerra di Corea (1950-1953), da cui la penisola ne uscì divisa in due , fino al 2000, sia la chiesa cattolica che le altre chiese cristiane conobbero un notevole sviluppo soprattutto nella Corea del sud, mentre invece scompariva quasi del tutto nella Corea del nord. Ne sono una conferma anche i semplici dati statistici: nel 1959 i cattolici erano 417.000, nel 2002, 4.347.000; nello stesso arco di tempo i sacerdoti sono passati da 437 a 2.790 e i religiosi/e da 841 a 9.230.

Attualmente, per quanto riguarda, per esempio, gli istituti religiosi, stando ai dati forniti dalla conferenza episcopale (anno 2002), vi sono nel paese 44 istituti maschili di cui 8 di fondazione coreana (4 fondati dopo il 1990), con 1.310 membri; e 100 istituti femminili con 9230 membri, di cui 27 di fondazione coreana (14 di questi fondati dopo il 1980).

 

CARATTERISTICHE

DELLA CHIESA COREANA

 

La chiesa coreana dispone oggi di circa 3.000 sacerdoti indigeni per quindici diocesi. Il centinaio di missionari ancora presenti sono ormai un’esigua minoranza. Essa ha quindi tutte le strutture necessarie per gestire la propria missione nel paese ed è in grado anche di collaborare al lavoro missionario all’estero. Tutti i vescovi sono ormai scelti tra i sacerdoti locali. Tra il 1999 e il 2003 ne sono stati consacrati 12 di nuovi, di cui 8 sulla cinquantina d’anni. C’è quindi una volontà di rinnovamento non solo tra i vescovi, ma anche nell’atmosfera generale in cui vive la chiesa.

Una delle prime caratteristiche di questa chiesa è di essere molto ben strutturata. Secondo una diffusa sensibilità asiatica, ciò conta in primo luogo non sono le qualità personali, ma la coesione del gruppo. L’armonia di un’associazione o di una società è più importante dei successi personali. Per esempio, la parrocchia è costituita da varie associazioni che mantengono la coesione tra i loro membri e affidano ad essi una missione. Persino la più piccola parrocchia di campagna o stazione secondaria, dove il parte non arriva che tre o quattro volte l’anno, è strutturata in questo modo: c’è il capo della comunità, incaricato dell’insieme dei cristiani; egli è assistito da un consiglio formato dai responsabili dei vari settori: pastorale, liturgia, missione, catechesi, gioventù, donne, finanze, ecc. Ci sono inoltre altre associazioni come la Legio Mariae, le associazioni dei catechisti, delle donne sposate, delle signore che hanno superato i 65 anni, dei giovani, degli studenti di scuola secondaria, ecc. In effetti, un cristiano, uomo o donna che sia, se non appartiene ad alcuna associazione, ha poca possibilità vivere nella chiesa una fede attiva e rischia di abbandonare ben presto anche la sola cosa che ancora lo trattiene: la pratica domenicale. Si può quindi dire, senza esagerare, che la vita associativa è uno di pilastri della vita della Chiesa in Corea e senza dubbio il canale attraverso il quale essa ha potuto svilupparsi.

Oggi purtroppo, scrive l’agenzia EDA, ci si può inquietare per l’indebolimento di questa vita associativa in seguito agli sconvolgimenti sociali avvenuti negli ultimi trent’anni che hanno minato le strutture tradizionali. La famiglia si trova in una situazione tragica: oltre il fatto che quella tradizionale è ormai scomparsa, il 48% delle coppie divorziano prima di festeggiare i cinque anni del loro matrimonio. Inoltre, tutta l’educazione scolastica è basata non più sull’armonia ma sulla concorrenza a partire dai giardini d’infanzia. L’individualismo guadagna terreno. Pertanto, una delle preoccupazioni della pastorale attuale è di salvare la vita associativa e la famiglia. Ridare un contenuto alla vita della comunità è diventato un compito prioritario.

 

NUMEROSI

CAMPI D’IMPEGNO

 

In questo momento la chiesa di Corea è anche molto occupata anche nella creazione delle nuove infrastrutture. In seguito al fenomeno dell’urbanizzazione e della crescita dei fedeli essa deve erigere da 30 a 50 nuove parrocchie ogni anno. Si tratta di un investimento considerevole. Ma nel giro di una quindicina d’anni, i cattolici dovranno sostenere anche finanziariamente le costruzione di nuove chiese secondo la divisione della parrocchie. Bisogna dire che i fedeli sono molto generosi, ma, rileva l’agenzia EDA, si comincia a sentire una certa stanchezza.

Un altro campo in cui la chiesa coreana si distingue è il suo forte impegno per la formazione dei suoi membri e nel campo delle vocazioni. Se una trentina d’anni fa ci si poteva accontentare di una catechesi sommaria, oggi ciò non basta più. Per questo sono così stati moltiplicati gli strumenti di formazione: studi biblici e catechetici, dottrina sociale della Chiesa, ecc, con il supporto di tutto un insieme di pubblicazioni molto avanzate, ma soprattutto attraverso i centri di pastorale catechetica e missionaria o più semplicemente sessioni in cui sono invitati i laici. Un grande sviluppo hanno avuto anche le case per ritiri spirituali… In una parola, sottolinea la EDA è certo che i fedeli hanno beneficiato e beneficiano di un complemento di formazione tecnica molto appropriata per la loro vita di fede e l’impegno cristiano.

Altrettanto si può dire delle vocazioni, che hanno conosciuto una vera e propria esplosione in questi anni. Significativo è per esempio che tutti i sette seminari maggiori sono stati costruiti o ricostruiti negli ultimi vent’anni. Ma è vero tuttavia che anche qui comincia a profilarsi una crisi dovuta in parte alla diminuzione delle nascite.

È impressionante anche l’attività che la chiesa coreana svolge a favore dei poveri. L’annuario delle opere sociale della conferenza episcopale per l’anno 2002 dedica ad esse ben 750 dense pagine. Le categorie che vi compaiono sono i fanciulli e gli adolescenti, le persone anziane, le donne, gli handicappati, i cosiddetti “vagabondi”, i tubercolotici, i lebbrosi, il reinserimento sociale, e diverse altre. Le autorità governative tengono in grande considerazione questi servizi della Chiesa al punto da affidare istituti statali ai religiosi e contribuiscono in notevole misura al finanziamento di numerose opere sociali. Il personale religioso è molto apprezzato. Le statistiche governative dicono che almeno il 15% di tutte le opere sociali è affidato oggi ai cattolici.

La chiesa coreana contribuisce anche, all’interno della Caritas internazionale, agli aiuti a favore degli abitanti della Corea del nord, servendosi soprattutto del canale della Caritas Hongkong.

Un altro aspetto decisivo della sua azione è il suo impegno nel campo dell’inculturazione, sulla linea indicata dalla FABC (Federazione delle conferenze episcopali dell’Asia) nel 1995, ossia il dialogo con le altre religioni e la cultura. Il dialogo con le religioni è però ancora ai primi approcci, mentre invece è più praticato il dialogo di vita e di azione soprattutto con i buddisti per quello che concerne la vita, il rapporto con la natura e anche un certo approccio al mondo spirituale. Anche il dialogo con la cultura procede adagio. Occorre tuttavia notare il forte impegno di numerosi teologi in questo campo.

Ci sono infine almeno altri due settori in cui la Chiesa è fortemente impegnata: il campo politico dove però oggi si avverte un certo rilassamento rispetto al passato. L’agenzia EDA scrive che oggi la Chiesa si è lasciata troppo prendere dalle classi medie e che numerosi politici cattolici, in particolare i deputati danno di sé un’immagine poco edificante.

Un’ultima importante caratteristica della chiesa coreana è la sua apertura missionaria. Attraverso il contributo della Società delle missioni estere di Corea, missionari coreani sono presenti oggi a Taiwan, in Papuasia-Nuova Guinea, in Russia, in Cina e in Cambogia. Altri sacerdoti in seguito a una specie di gemellaggio tra diocesi in Mongolia o a Taiwan.

Dopo questa ampia analisi, il dossier di EDA conclude: «Nonostante circa 150 anni molto difficili, la chiesa cattolica in Corea presenta un volto di grande giovinezza e di grande bellezza…Senza voler essere profeti, si può dire che essa svolgerà un ruolo importante nell’avvenire della chiesa universale e nella missione in Asia». Nonostante le difficoltà che attraversa, sottolinea l’agenzia, ciò che fa bene sperare è il fatto che «si avverte nelle nuove generazioni di preti, e di vescovi in particolare, uno spirito nuovo che è promettente».

 

A. Dall’Osto