IN UN MONDO DI RUMORE

FARE SILENZIO PER ASCOLTARE

 

Chi non è abituato al silenzio non è neanche in grado di ascoltare. È una persona che fugge da se stessa e da Dio. Il silenzio è la premessa di qualsiasi conversazione, di ogni preghiera, il punto di ingresso alla meditazione. È proprio del silenzio suscitare l’umiltà che lascia spazio all’altro.

 

L’uomo moderno non solo non è più capace di stare in silenzio; peggio ancora non è più in grado di ascoltare nel silenzio, ossia facendo prima silenzio dentro di sé. Eppure il silenzio è una grande medicina, possiede in sé un misteriosa forza terapeutica. Chiunque pratichi la meditazione o effettui una ricerca sa che il silenzio è un ricettacolo nel cui seno ci sono tante cose da imparare e da ascoltare.

Hubert Lepargneur SP, prendendo lo spunto da queste osservazioni nella rivista brasiliana Grande Sinal1 osserva che il silenzio non è un fine in se stesso, ma un mezzo che possiede in sé una grande efficacia e cita a questo riguardo quanto scrive, benché con una punta di esagerazione, J. Y. Leloup, nella sua autobiografia: «Cominciai a capire che l’efficacia di un terapeuta non consiste in quello che sa, ma in quello che non sa». A condizione che il non sapere significhi apertura e disponibilità ad ascoltare qualcosa di nuovo.

In effetti, osserva Lepargneur, «una persona che parla senza mai fermarsi, senza mai una pausa di silenzio, nella sua verbosità non parla con l’altro; generalmente non sa se le sue parole possono essere utili realmente a chi ascolta, dal momento che il suo è una specie di sfogo soggettivo».

In realtà, solo stando in silenzio una persona apre un canale di comunicazione verso il suo mondo interiore ed esterno, uno spazio molto ampio, benché di difficile esplorazione. Dal punto di vista psicologico e spirituale, è vero che solo il silenzio è capace di suscitare la pace del cuore, quella che gli antichi Padri chiamavano l’esychia. Come un giorno scrisse in una lettera san Bruno al suo amico Raul de Verd: «Ciò che la solitudine e il silenzio del deserto hanno di utilità e di divin piacere per coloro che li amano, lo sanno solo coloro che ne hanno fatto l’esperienza… Qui Dio dona ai suoi atleti, attraverso la fatica del combattimento, la ricompensa desiderata: una pace che il mondo ignora e la gioia nello Spirito Santo».

 

SILENZIO

PER COMUNICARE

 

Comunicare con una persona, sottolinea Lepargneur, non vuol dire soltanto ascoltare o interpretare parole, gesti, sospiri, ma anche percepire e interpretare i suoi silenzi: il silenzio è capace di contenere e di esprimere praticamente tutte le passioni umane. In questo senso non può essere considerato un elemento insignificante, neutro e inoffensivo. Kant e Pascal rimanevano affascinati dal silenzio degli spazi siderali, ma ambedue, come cristiani, intuivano ciò che era oltre; cosa che non si riscontra più negli astronomi attuali. Thomas Merton diceva: «Ogni cristiano può entrare in comunione col silenzio della chiesa nella preghiera e nella meditazione, che è la chiesa del deserto».

C’è forse un silenzio più eloquente, più eroico di quello del condannato che rifiuta di rivelare il segreto che metterebbe a repentaglio i suoi amici o di tradire la propria fede?

Ora, siccome è nel silenzio che si trova di solito l’ispirazione, sia poetica, che letteraria o profetica, ossia religiosa, la città moderna appare come il luogo della negazione del silenzio e moltiplica i vincoli di alienazione dei corpi e delle menti. Come poter pensare serenamente in mezzo al frastuono delle macchine pubblicitarie che propagandano ai loro eventuali acquirenti i prodotti da vendere o qualche spettacolo a cui assistere? In mezzo a tutto questo frastuono, siamo alienati dal nostro essere profondo. Il frastuono delle nostre metropoli è l’immagine dell’antispiritualità. Tant’è vero che diventa sempre più frequente vedere cittadini che amano trovare un angolo di silenzio, magari nelle chiese, per fuggire in qualche modo alla frenesia in cui si è immersi.

Il silenzio, scrive Lepargneur, è la premessa di qualsiasi conversazione, di qualsiasi preghiera, il punto di ingresso alla meditazione raccomandata da qualsiasi spiritualità religiosa seria. Un grande maestro certosino J. Y. Leloup scrive: «Se il silenzio è il padre della parola, in ogni buon domenicano deve esserci un certosino che veglia». Noi vediamo che chi fugge da Dio è solito anche fuggire dal silenzio.

Silenzio tuttavia non vuol dire chiudere gli occhi davanti alla realtà, non significa promuovere una spiritualità che tagli fuori dalla comunicazione col mondo esterno, ma selezionare i prodotti che vale la pena ricevere con frutto; vuol dire scegliere letture, passaggi e interlocutori. In altre parole, dar vita a una spiritualità alla cui radice sia lo “spirito”, senza dimenticare una certa promozione o difesa del proprio corpo. Paolo chiama il corpo umano “tempio dello Spirito Santo”; egli promuove cioè l’essere fisico più di un Platone che parla di una “tomba dell’anima”.

Ciò che inquina l’uomo, dice il Vangelo, non è ciò che entra in esso, ma ciò che viene dalla mente e dal cuore (cf. Mt 15,10-20).

Ma in definitiva, perché è così difficile ascoltare? Eppure non è questo il primo comandamento? (Leloup). «Ascolta, Israele..». Ascolta prima di parlare: si tratta di un semplice proverbio o di una prassi da seguire? Davanti al dolore del prossimo, parlare o tacere? Parlare può irritare, parlare può confortare. Pensiamo ai tre amici di Giobbe: «Sedettero accanto a lui in terra, per sette giorni e sette notti, e nessuno gli rivolse una parola, perché vedevano che molto grande era il suo dolore» (Gb 2,13) Salutare silenzio! Possono uscire parole sbagliate maturate nel silenzio di sette giorni e sette notti? Colui che alla fine aprì bocca fu proprio Giobbe per maledire il suo giorno e per dire: « Magari taceste del tutto! sarebbe per voi un atto di sapienza!» (Gb 13,5). Il libro dei proverbi dice: «L’uomo prudente invece tace» (Pr 11,12).

 

CHE COSA IMPEDISCE

DI ASCOLTARE?

 

Ascoltare, udire la voce della coscienza, di Dio, del dovere non è il primo passo dell’etica? Come obbedire senza aver ascoltato? Come udire e intendere senza ascoltare? Come ricevere un messaggio senza aver creato in se stessi un vuoto interiore – il silenzio di ascolto – che sia come un grembo pronto ad accogliere la verità del messaggio? La modulazione delle spiritualità riflette la diversità dei messaggi ricevuti e delle loro interpretazione: messaggi evangelici, messaggi di questo o quel santo, Francesco, Domenico, Ignazio, Camillo…

Che cosa impedisce di ascoltare? Un io pieno di sé, un io sazio e soddisfatto. Che cosa permette invece di ascoltare? Il silenzio che scaturisce dall’umiltà, che permette la ricettività, l’accoglienza, la comprensione per empatia verso l’altro o il suo messaggio. Non è forse in un universo di egoismo e di violenza che molti giovani o meno giovani aumentano al massimo i decibel delle loro grida e dei loro apparecchi sonori, accrescendo il loro tasso di sordità e impedendo un silenzio già scomparso nelle maggior parte delle grandi città?

Che cosa impedisce l’attenzione all’altro? L’eccessiva attenzione al proprio essere. È caratteristico della pratica del silenzio suscitare l’umiltà che lascia spazio all’altro. Abbiamo ascoltato il patriarca ortodosso Athenagoras al concilio Vaticano II: «Ciò che manca agli uomini di chiesa è lo spirito di Cristo, l’umiltà, la spogliazione di sé, l’accoglienza disinteressata, la capacità di vedere la parte migliore dell’altro. Noi abbiamo paura, vogliamo mantenere ciò che è vecchio perché a questo siamo abituati, vogliamo aver ragione sugli altri. Dissimuliamo sotto un vocabolario di un’umiltà stereotipata, lo spirito di orgoglio e di potere. Facciamo della chiesa un’organizzazione come le altre. Essa cammina come una macchina e non come un essere vivente».

«Io vedo il mondo così come sono» (Paul Éluard). La voce che captiamo nel nostro silenzio dipende dalla qualità del silenzio preparato per accoglierla. In questo senso prepariamo il terreno degli influssi che peseranno sul nostro destino. Dietro il silenzio si nasconde pertanto un’attenzione capace di discernimento: la nostra antenna non si volge per accogliere qualsiasi tipo di messaggio, come se una predestinazione precedesse sempre i destini. I silenzi non si equivalgono; possono nascondere speranze contraddittorie. È l’essere del soggetto che sintonizza la qualità del silenzio. Essere giudicati sull’amore vuol dire anche esserlo sulla qualità del nostro ascolto, della nostra recettività, della nostra empatia, dei nostri silenzi. Se i silenzi sono tanto diversi, da quello del criminale a quello del mistico, dal ladro al martire vuol dire che la qualità del silenzio è suscettibile di degenerare, ma anche di maturare e migliorare. Diceva Meister Eckart: «Dio deve trasformarsi completamente nell’io, e l’io deve trasformarsi completamente in Dio»; è un linguaggio mistico per significare un’immaginabile unità che non è una totale identificazione panteista.

 

1 Hubert Lepargneur, No silêncio, ouvir, in Grande Sinal, genn.-febbr. 2004, pp. 59-68.