FIRMATO IL TRATTATO COSTITUZIONALE EUROPEO

UN BUON PUNTO DI PARTENZA

 

Diverse le reazioni con cui è stata accolto: alcune di entusiasmo, altre di delusione. Ma è il massimo che per ora si potesse raggiungere. È un buon punto di partenza anche se resta il rammarico per il mancato accenno delle radici cristiane del continente.

 

 

Venerdì 18 giugno, i capi di stato e di governo di 25 nazioni membri dell’Unione europea hanno firmato a Bruxelles il Trattato costituzionale che guiderà il vecchio continente nel prossimo futuro.

La data è da considerarsi storica. La Carta costituisce infatti il punto di arrivo di un lavoro lungo ed estenuante durato due anni e mezzo.

Il documento è stato preparato da un centro di elaborazione, chiamato Convenzione, politicamente autorevole, presieduto dal francese Valery Giscard D’Estaing, che iniziò a operare nel febbraio 2002. La bozza del trattato fu sottoposta ad un primo esame del Consiglio dei capi di Stato e di Governo (C.I.G.) nel maggio del 2003 e a un esame successivo nel luglio 2003. Il governo italiano si era impegnato al massimo, affinché l’approvazione del Trattato coincidesse con il semestre a guida italiana, prima quindi dell’entrata dei nuovi membri (maggio 2004) e prima delle votazioni per il nuovo parlamento europeo 12-13 giugno 2004. Ma l’approvazione è giunta solo dopo l’entrata nell’Unione degli ultimi 10 membri e a elezioni europee concluse. Roma, comunque, è stata scelta per la firma ufficiale

 

REAZIONI

DIVERSIFICATE

 

La Carta ha raccolto reazioni molto diversificate:

– reazioni di entusiasmo, da parte di quanti avevano sperimentato le enormi difficoltà di raggiungere un accordo e avevano assistito ai contrasti dei giorni immediatamente precedenti il varo del trattato costituzionale: contrasti così violenti, particolarmente tra il gruppo dei governi “eurocentrici” raggruppati attorno al nucleo di fondatori (esclusa l’Italia e con l’aggiunta della Spagna) e il cosiddetto “partito americano” guidato da Toni Blair e Silvio Berlusconi, da far temere una lacerazione insanabile;

– reazioni di delusione da parte di quanti si attendevano una vera costituzione, con indicazione di precisi diritti e doveri e con le relative sanzioni per i trasgressori. Reazioni di delusione pure da parte di quanti avrebbero auspicato una maggiore attenzione ai fondamenti storico-culturali e un chiaro riferimento alle radici cristiane dell’Unione;

– il giudizio più equilibrato è stato forse quello di Romano Prodi che ha vissuto più di tutti il tormentato cammino della Convenzione. «è una bella Costituzione – ha commentato – è il massimo che potessimo raggiungere in questo contesto storico». Egli si rendeva conto perfettamente dei limiti del nuovo Trattato, ma non riteneva giustificato il pessimismo espresso in tanti giornali europei e italiani.

Positivo e realista appare anche il commento di un giornalista autorevole e sperimentato com’è Eugenio Scalfari: «Tra gli innumerevoli difetti del testo – ha scritto – emerge un pregio essenziale: si tratta di una Costituzione “cantiere”, che parte a passo lento e guardingo, ma non preclude l’alta velocità, né impedisce a chi voglia fin d’ora accelerare il passo, di aprire ai più lenti la strada».

Le difficoltà e i limiti sono rispecchiati anche dall’accordo che si è riusciti a raggiungere sul titolo del documento: è stato chiamato Trattato costituzionale. È molto di più dei vari trattati, ossia degli accordi firmati precedentemente dai membri dell’Unione. Non si tratta però ancora di una vera costituzione. Essa avrebbe esigito un’assemblea costituente e inoltre richiederebbe un’approvazione di tutte le popolazioni interessate. È però un passo importante e sperabilmente irreversibile verso l’integrazione europea.

 

UN SOGNO

CHE SI REALIZZA

 

Il Trattato Costituzionale costituisce una tappa importante verso la realizzazione del sogno concepito dai padri fondatori dell’unificazione europea, De Gasperi, Adenauer, Schuman, Monet, Spaak, e coltivato da quanti, nel corso degli ultimi cinquant’anni, hanno creduto alla sua necessità vitale per la sopravvivenza del vecchio continente.

Il sogno era di fare di tutti gli stati europei, dell’ovest e dell’est, del nord e del sud, un’unica grande realtà democratica, capace di trasformare le reciproche differenze di tipo storico, sociale, religioso, politico..., in una ricchezza condivisa.

Si trattava di costruire una zona di scambio e di sviluppo economico, in grado di reggere alle sfide dei grandi colossi passati e presenti, quali gli Stati Uniti, il Giappone e la Russia, e di quelli emergenti come la Cina, l’India, il sud est asiatico.

Si sognava soprattutto di realizzare in Europa un’esperienza comunitaria di pace, non solo nel senso di cancellare definitivamente i fantasmi bellici del passato, che avevano insanguinato il continente, ma anche la prospettiva di creare una base sufficientemente solida e autorevole, da scoraggiare la tentazione, sempre latente, d’imporre la logica della forza, diffondendo invece nel mondo un costume di convivenza basata sul diritto, sul rispetto reciproco e sul dialogo.

Un’esperienza infine di solidarietà con i popoli del mondo povero, di solidarietà vera, attuata sulla base della reciprocità e in grado di cancellare il ricordo delle famigerate zone di influenza, che altro non erano che espressioni larvate di imperialismo.

La condizione per concretizzare questo sogno era la creazione di una carta costituzionale, che partendo da una base di valori ideali e di principi democratici, condivisi da tutti i membri dell’Unione, creasse, accanto e ad integrazione delle storiche cittadinanze nazionali, una nuova grande cittadinanza europea.

In questa prospettiva, gli obiettivi finora raggiunti, prevalentemente economici e finanziari, quali l’abbattimento delle barriere doganali e la libera circolazione delle persone e delle merci, la creazione di una moneta unica e di una banca centrale... apparivano necessari ma insufficienti. L’Unione Europea doveva dotarsi di organismi istituzionali capaci di governare un numero crescente di stati, pur salvaguardando l’identità di ciascuno di essi e rispettando il principio di sussidiarietà.

E doveva trattarsi di organismi sufficientemente stabili, per consentire al governo dell’Unione continuità e progettualità. Il sistema finora adottato, di affidare la presidenza dell’unione a uno stato membro, con una rotazione semestrale, pur importante sul piano dell’immagine, in quanto esaltava il principio dell’uguaglianza tra gli stati membri, appariva non più praticabile, soprattutto dopo l’allargamento del primo maggio, e quello ulteriore previsto per i prossimi anni.

Era inoltre convinzione comune, che l’Unione Europea, se voleva davvero contare, a livello internazionale, doveva mettersi in grado di esprimere una politica estera unitaria e un’unica politica di difesa, superando le ben note tentazioni nazionalistiche.

Quanto si è verificato, in occasione della guerra dell’Iraq, con un gruppo di stati europei fiancheggianti gli Stati Uniti e direttamente coinvolti nel conflitto, e, in contrapposizione, un altro gruppo su posizioni di rifiuto del conflitto, è risultato, con evidenza solare, deleterio per la stabilità e la credibilità dell’Unione.

Infine la funzionalità dell’unione esigeva di rivedere il sistema di voto. Anche in questo campo risultava a tutti evidente che il criterio dell’unanimità, fin qui seguito, per qualunque decisione politica, in un’Europa allargata a venticinque stati, sarebbe risultato paralizzante. Si doveva passare ad un metodo che riservasse il criterio dell’unanimità a pochi problemi veramente importanti, e adottasse per tutti gli altri casi il criterio della maggioranza assoluta o al più della maggioranza qualificata.

Naturalmente, nessuno si illudeva sulla facilità di trovare un accordo su questo punto, tenendo presenti anzitutto le sproporzioni economiche, geografiche e demografiche tra i vari stati dell’Unione. Pur riconoscendo l’esigenza di tutti gli stati di avere voce in capitolo e il riconoscimento della pari dignità, non si poteva dimenticare che i sei stati più grandi dell’Unione (Germania, Francia, Gran Bretagna, Italia, Spagna, Polonia) rappresentavano circa il 75% della popolazione globale. Non sarebbe stato equo né ragionevole pretendere che il voto della Germania che rappresenta circa novanta milioni di abitanti, pesi quanto quello di Malta che ne rappresentata trecento-quattrocentomila.

Le difficoltà maggiori però, in rapporto alla creazione del Trattato costituzionale, apparvero provenire dal diverso grado di maturazione del senso di appartenenza all’Unione e dal discutibile modo di rapportarsi ad essa, da parte di alcuni stati. Era comprensibile, ad es., che il gruppo di stati dell’est europeo, dopo la triste esperienza del “giogo sovietico”, guardasse con sospetto una Carta che sembrava limitare la loro indipendenza, appena riconquistata.

Meno comprensibile invece è apparso l’atteggiamento di altre nazioni di consolidata indipendenza, che nei dibattiti accesi e talvolta violenti che precedettero la firma dell’accordo, diedero l’impressione di volersi servire dell’Europa per il proprio sviluppo e i propri interessi, piuttosto che di voler servire una causa comune europea.

Era necessario soffermarsi su queste considerazioni, prima di passare all’analisi del Trattato costituzionale (cf. fuoritesto), per comprendere e relativizzare gli inevitabili compromessi che esso contiene e insieme per cogliere l’importanza storica dell’evento.

 

RADICI RELIGIOSE

E CRISTIANE

 

All’indomani dell’accordo da parte dei venticinque membri, è uscita una nota della Santa Sede, nella quale veniva manifestata «soddisfazione per questa nuova e importante tappa nel processo di integrazione europea sempre auspicata dal romano Pontefice», ma insieme veniva espresso il «rammarico per l’opposizione di alcuni governi al riconoscimento delle radici cristiane dell’Europa» nel Trattato costituzionale.

Questa carenza veniva giudicata «un misconoscimento dell’evidenza storica e dell’identità cristiana delle popolazioni europee».

Il santo padre ritornava sull’argomento, due giorni dopo, in occasione dell’Angelus domenicale, gridando un’espressione, che esplicitava tutta la sua sofferenza: «Non si tagliano le radici dalle quali si è nati».

L’omissione del riferimento alle radici cristiane da parte degli estensori del preambolo non è stato un errore involontario, bensì una scelta precisa, compiuta a ragion veduta. Si erano infatti susseguite per oltre due anni, pressioni di ogni tipo, da parte di papa Wojtyla, come pure da parte del Coordinamento Ecumenico delle Chiese, e da parte di singoli episcopati...

Le ragioni di questa scelta si possono spiegare soltanto nel contesto di un processo di secolarizzazione diffusa in Europa, che vede con sospetto ogni riferimento che possa suonare legame con le istituzioni ecclesiastiche. In questa Europa, originariamente cristiana, il secolarismo è ormai patrimonio comune. Se è vero infatti che i governi che si sono opposti decisamente a quella citazione furono quattro (Francia, Belgio, Finlandia e Svezia), è altrettanto vero che quelli che hanno sostenuto la tesi delle radici cristiane con una certa convinzione, furono solo sette, mentre tutti gli altri si sono mostrati tiepidi o tacitamente accondiscendenti. Il risultato finale rispecchia perciò la sensibilità religiosa europea.

Un’altra ragione addotta, per il rifiuto delle radici cristiane, riguardava il timore di reazioni negative da parte dei musulmani, presenti in forma significativa in tanti paesi europei. Non è priva di significato la dichiarazione di compiacimento sul preambolo, da parte del governo della Turchia, che preme da anni per entrare nell’Unione Europea.

 

DUE STRADE

DA PERCORRERE

 

A questo punto però è importante guardare avanti. Ci sono due strade concretamente praticabili per far passare nella vita e nelle scelte dell’Unione Europea i valori cristiani:

– la prima è costituita dalla disposizione, entrata nella bozza per merito di Romano Prodi e approvata all’unanimità dal Consiglio dei venticinque, che «riconosce lo status delle confessioni religiose negli stati membri e impegna l’Unione a mantenere con loro un dialogo aperto, trasparente e regolare, riconoscendone l’identità e il contributo specifico». Si tratta di un’opportunità di estrema importanza. Su tutti i temi che stanno loro a cuore, le chiese hanno diritto riconosciuto di essere ascoltate,

– la seconda strada è la presenza dei cristiani nel parlamento europeo. Molti parlamentari hanno ostentato il loro rammarico per l’omissione delle radici cristiane.

Questo è il vero banco di prova per dimostrare le loro reali convinzioni. Un vero contributo alla causa del Regno, passa non con generiche attestazioni cristiane, ma attraverso le decisioni concrete che si andranno a prendere in Europa riguardo alla persona, alla famiglia, alle politiche economiche, alla lotta alla povertà, all’apertura al Terzo Mondo, alla libertà, alla pace...

È significativo, in tal senso, quanto affermato da mons. Giovanni Lajolo, “ministro degli esteri” del Vaticano. Egli vede opportuni e soprattutto necessari due contributi: «Primo, rendere più comprensibili e percepibili dalla gente i grandi principi, come quello della solidarietà e della sussidiarietà... presenti e determinanti nel trattato. Secondo, indicare alcune mete concrete, di carattere sociale, culturale e politico, da perseguire insieme tra gli stati europei». Ad es. – egli ha affermato – «l’U.E., dovrebbe proporsi come un grande partner per lo sviluppo culturale ed economico dei paesi del terzo mondo. Ruolo da svolgere, presentandosi non come “partner migliore” ma come “partner solidale”, nel campo della ricerca, dell’informazione, della cultura di base, dei progetti sociali».

Dopo la firma dei capi di stato e di governo, ora il Trattato costitutivo deve ottenere l’approvazione (ratifica) dei paesi firmatari, seguendo le disposizioni procedurali stabilite da ogni singolo stato.

Le strade ipotizzate sono due: o la via parlamentare che implica l’approvazione da parte delle Camere dello stato; oppure il referendum popolare nel quale i cittadini si pronunciano a favore o contro il testo del Trattato.

Solo dopo la ratifica di tutti gli stati, il Trattato entrerà in vigore. La bocciatura anche di un singolo stato bloccherebbe la Costituzione in tutta l’Europa.

Se le ratifiche saranno unanimi, le nuove regole entreranno in vigore nel 2007. È da augurarsi questo esito. Meglio avere una Costituzione imperfetta e migliorabile, che non averla affatto.

 

Giuseppe Pasini