AMORE, TIMORE E SDEGNO
Nell’amore, a volte il timore si trasfigura e si trasforma in sdegno,
nello schierarsi appassionatamente dalla parte
del bene e della giustizia.
All’inizio del libro dei Proverbi leggiamo: _«Il principio della
sapienza è il timore del Signore» (Pr 1,7).
Il timore, in questo versetto, non è sinonimo di paura ma di rispetto,
di riconoscimento dell’altro e di Dio nella sua trascendenza, nella sua
grandezza, nel suo essere sorgente di vita, nella potenza della sua azione e
della sua parola.
«Temo i tuoi decreti. Vedi, io amo i tuoi
precetti. Quanto amo la tua legge!» (Sal 119).
Senza alcun imbarazzo, nella stessa frase si usano i verbi «amare» e
«temere» per descrivere l’amore.
È un amore forse un po’ abbacinato, è quello che ha visto la grandezza
del Signore.
La Bibbia conosce bene questa carica dell’amore basato sulla venerazione
e il rispetto anche nei confronti del prossimo: l’altro va rispettato poiché in
lui va riconosciuta l’immagine di Dio.
Ai nostri giorni, anche nell’interno delle chiese, nei rapporti
intraecclesiali, nelle prediche e nelle catechesi si parla tanto di amore, descrivendolo come il condimento, come il sale
permanente dell’esistenza cristiana.
Assistiamo però molto spesso a una carenza di
rispetto tra le persone, fondata sul non riconoscimento della dignità di ogni
individuo.
Il nostro tempo è segnato da una cattiva educazione, da una volgarità
nei rapporti, da una sguaiataggine nelle relazioni, insegnata tante volte anche
da chi sta in alto e si presenta sulla tribuna mostrando comportamenti che sono
semplicemente barbari.
In un tale contesto il rispetto rischia di
sparire anche all’interno dell’amore cristiano.
A volte il timore si trasfigura e si trasforma anche in sdegno: quando
l’amore vede che si commettono delle ingiustizie, la sua reazione è quella di
detestare le iniquità e di far sì che questo mostro abbia in qualche modo a esser cancellato.
Lentamente, allora, si configura una forma passionale d’amore che è lo
sdegno.
Molte volte anche lo sdegno è impotente, perché esso non può percorrere
le strade della violenza. Occorre però almeno il coraggio di ricordare e di
puntare l’indice contro chi pratica l’ingiustizia: non
ricambiare, quindi, ma denunciare.
Da questo punto di vista conosciamo quanto siano
importanti nell’Antico e nel Nuovo Testamento queste componenti di sdegno.
La collera, l’ira e la rabbia sono un vizio, ma
lo sdegno può essere considerato una virtù: la virtù di schierarsi
appassionatamente dalla parte del bene e della giustizia, che è, come tale,
un’autentica espressione d’amore.
In questa prospettiva sullo sdegno i profeti ci sono maestri.
Non si può rimanere indifferenti di fronte alle
ingiustizie del mondo, occorre denunciarle a costo anche di essere in
qualche modo contestati e puniti.
All’interno della Bibbia si usa spesso l’antropomorfismo dell’ira divina
che in ebraico è espresso con un vocabolo assai curioso: ‘af.
Già nel pronunciarlo si ha l’impressione onomatopeica dello sbuffare, e
in effetti ‘af vuol dire naso, le narici che soffiano. In questi termini
dobbiamo pensare allo sdegno di Dio, e di Gesù stesso «mite e umile di cuore»,
che non teme però di lasciarci una pagina, e non è l’unica, di
estrema forza come quella di Mt 23 con tutta la sua sequenza veemente di
«guai!» e di accuse concrete contro le ingiustizie.
San Paolo a chiare lettere parla dello sdegno nella prima e soprattutto
nella seconda lettera ai Corinzi.
San Giovanni Crisostomo annotava in proposito che Paolo, dopo aver
biasimato e rimproverato i corinzi per il fatto che,
pur amati, non avevano corrisposto all’amore ed erano stati ingrati, li attira
di nuovo a sé (espressione massima dell’amore di Paolo).
Benché disprezzato, quindi, l’apostolo delle genti desidera vivere e morire
con i corinzi.
Paolo si sdegna perché ama questi corinzi – dice
Crisostomo – e vuole che non siano ingrati nei confronti del suo amore, che non
abbiano a cadere anch’essi nei vizi che denuncia.
Gianfranco Ravasi
da “Come io vi ho amati”, EDB 2004