AVER CURA DELLA VITA SPIRITUALE
Riprendiamo alcuni passaggi del discorso rivolto da Giovanni Paolo II al
quarto gruppo dei vescovi della Conferenza episcopale di Francia il 24 gennaio
scorso.
Comprendo facilmente che, come i sacerdoti, talvolta vi possiate sentire
demoralizzati dinanzi alla situazione e alle prospettive future, tuttavia
vorrei invitarvi alla speranza e a un impegno sempre più deciso in favore del
sacerdozio. Sebbene occorra essere realisti di fronte alle difficoltà, non
bisogna tuttavia cedere allo scoramento, né limitarsi di osservare le cifre e
la diminuzione del numero dei presbiteri, di cui, d’altronde, non possiamo
sentirci totalmente responsabili…
Ciò che può allontanare i giovani, segnati spesso da una vita facile e
superficiale, è prima di tutto l’immagine del sacerdote, la cui identità, nella
società moderna, è poco certa e sempre meno chiara, e il cui fardello è sempre più
pesante. È fondamentale ribadire questa identità, delineando in modo più netto
i contorni della figura del sacerdote diocesano. In effetti, come potrebbero i
giovani essere attratti da uno stile di vita se non ne comprendono la grandezza
e la bellezza, e se i sacerdoti stessi non hanno cura di esprimere il proprio
entusiasmo per la missione della Chiesa? Uomo in mezzo ai suoi fratelli, scelto
per servirli meglio, il sacerdote trova la gioia e l’equilibrio di vita nel suo
rapporto con Cristo e nel suo ministero. Egli è il pastore del gregge che guida
il popolo di Dio, che celebra i sacramenti, che insegna e annuncia il Vangelo,
assicurando così una paternità spirituale attraverso l’accompagnamento dei
fedeli. In tutto ciò, egli è al contempo il testimone e l’apostolo che,
attraverso i diversi atti del suo ministero, manifesta il proprio amore per
Cristo, per la Chiesa e per gli uomini.
Le urgenze della missione e le molteplici sollecitazioni degli uomini
fanno correre ai sacerdoti, troppo poco numerosi, il rischio di trascurare o di
lasciare affievolire la loro vita spirituale; parimenti, essi devono conciliare
le esigenze dell’esistenza quotidiana, del ministero, della formazione
permanente e del tempo di riposo per ritemprare le loro forze, al fine di non
mettere in pericolo il loro equilibrio di vita umano e affettivo. Ciò che
conta, prima di tutto, per il sacerdote, è l’edificazione e la crescita della
sua vita spirituale, fondata sul rapporto quotidiano con Cristo, caratterizzato
dalla celebrazione eucaristica, dalla liturgia delle ore, dalla lectio divina e
dalla preghiera. È questo rapporto a costituire l’unità dell’essere sacerdotale
e del ministero. Più è pesante il fardello, più è importante essere vicino al
Signore per trovare in lui le grazie necessarie per il servizio pastorale e
l’accoglienza dei fedeli. È, in effetti, questa esperienza spirituale personale
che consente di vivere nella fedeltà e di ravvivare incessantemente il dono
ricevuto attraverso l’imposizione delle mani (cf. 2Tm 1,6). Parimenti, come ho
ricordato nell’esortazione apostolica post-sinodale Pastores dabo vobis, le
risposte alla crisi del ministero, sperimentata da molti paesi, consistono
nell’atto di fede totale allo Spirito Santo (cf. n. 1), nella strutturazione
sempre più forte della vita spirituale dei sacerdoti stessi, capace di
mantenerli su un cammino esigente sulla via della santità (cf. n. 19-20), e
nella formazione permanente, che è come l’anima della carità pastorale (cf. n.
70-81). Spetta a voi vigilare affinché i membri del presbiterio radichino la
loro missione in una vita di preghiera regolare e fedele e nella pratica del
sacramento della penitenza.
Alcuni sacerdoti, soprattutto quelli più giovani, provano il bisogno di
un’esperienza sacerdotale fraterna, ossia di un cammino comunitario, per
ricevere sostegno e per attenuare le difficoltà che certuni possono provare
dinanzi all’inevitabile solitudine legata al ministero, sebbene, forse in modo
paradossale, vivano il loro ministero in modo troppo individuale. Li incoraggio
a sviluppare il loro desiderio di vita fraterna e di collaborazione reciproca,
che non può che affermare la comunione in seno al presbiterio diocesano,
attorno al vescovo. Spetta a voi, insieme ai membri del vostro consiglio
episcopale, tener conto di questo desiderio, proponendo ai sacerdoti delle
integrazioni ministeriali dove possano, se possibile, stabilire dei legami
forti con i confratelli. Invito anche voi a essere sempre più vicini ai vostri
sacerdoti, che sono i vostri primi collaboratori.
Parimenti, incoraggio i sacerdoti di tutte le generazioni, a essere
sempre vicini gli uni agli altri, a sviluppare la loro fraternità sacerdotale e
la collaborazione pastorale, senza aver paura delle differenze, né delle
sensibilità specifiche, che possono essere benefiche per il dinamismo della
chiesa locale. In questo spirito, la partecipazione a un’associazione
sacerdotale costituisce un aiuto prezioso. Più saranno forti i vincoli di
comunione e di unità tra il vescovo e i suoi presbiteri e tra i sacerdoti
stessi, più sarà grande la coesione diocesana e più sarà forte il senso della
missione comune, più i giovani potranno avere voglia di unirsi al presbiterio.
La vita fraterna dei ministri della Chiesa è senza alcun dubbio un modo
concreto di proporre la fede e di chiamare i fedeli a sviluppare rapporti
rinnovati, a vivere sempre più nell’amore che ci giunge dal Signore. È da
questo, infatti, come dice l’Apostolo, che saremo riconosciuti come discepoli e
che potremo annunciare la buona novella del Vangelo.