RAPPORTO_AMNESTY 2004

 

La lotta al terrorismo (ricordiamo, tra gli episodi più drammatici, l’attacco contro la sede Onu in Iraq del 19 agosto 2003, in cui è rimasto ucciso l’Alto commissario Viera de Mello, e gli attentati ai treni dell’11 marzo 2004 a Madrid) ha innescato una serie di azioni e reazioni che minano i diritti umani: questa la chiave di lettura Rapporto 2004 di Amnesty International, in continuità con la prospettiva già emersa nell’anno scorso.

La violenza dei gruppi armati e l’escalation di violazioni a opera dei governi infatti si sono miscelate per dare vita al più grande attacco ai diritti umani degli ultimi 50 anni, in un mondo dominato da crescente sfiducia, paura e divisione.

Il diritto internazionale umanitario è stato oggetto di contestazione diretta in quanto ritenuto incapace di dare una risposta ai temi della sicurezza del presente e del futuro. In nome della “guerra al terrorismo” oggi i governi stanno intaccando i principi e gli standard dei diritti umani, mentre la comunità internazionale sembra essere incapace o non disposta a fermare questa tendenza.

«I principi del diritto internazionale, sottolinea Amnesty, e gli strumenti dell’azione multilaterale che potrebbero proteggerci da questi attacchi vengono minacciati, ridimensionati o distrutti da governi potenti che stanno perdendo la loro compassione morale e stanno sacrificando i valori globali dei diritti umani al cieco perseguimento della sicurezza. Questa assenza di leadership rappresenta una pericolosa concessione ai gruppi armati. L’agenda della sicurezza globale promossa dall’amministrazione Usa è un fallimento in termini di visione e una sconfitta in termini di principi. Violando i diritti umani all’interno, chiudendo gli occhi sugli abusi all’estero e usando la forza militare preventiva dove e quando vogliono, gli Usa hanno recato un danno alla giustizia e alla libertà e hanno reso il mondo un luogo più pericoloso».

In questa prospettiva il Rapporto 2004 denuncia perciò uccisioni illegali a opera delle forze della coalizione e dei gruppi armati in Iraq. I casi di maltrattamenti e torture evidenziano la vulnerabilità di centinaia di prigionieri, non solo in Iraq ma anche in Afghanistan, a Guantánamo Bay e altrove, detenuti dagli Usa e dai loro alleati senza accusa, processo o possibilità di accedere a un avvocato o di beneficiare della protezione della Convenzione di Ginevra.

Si fa poi notare come queste modalità di azione sembrano aver contagiato altri contesti: in Yemen ci sono stati arresti e detenzioni di massa; in Cina migliaia di abitanti della regione autonoma dello Uighur sono stati accusati di separatismo nell’ambito del giro di vite che ha limitato anche i diritti religiosi; nel Regno Unito, dopo l’11 settembre, 500 persone sono state arrestate e mai processate, perché ritenute aderenti a organizzazioni terroristiche.

E ancora, il Rapporto sottolinea come la “guerra al terrore” e la guerra in Iraq hanno anche distolto l’attenzione del mondo dalle violazioni dei diritti umani già in corso. Vengono così denunciati nuovamente i devastanti conflitti interni, nascosti agli occhi del mondo, in Cecenia, Colombia, Nepal, Repubblica democratica del Congo e Sudan, paesi che sono terreno di coltura per alcune delle più grandi atrocità. Si ricorda altresì che la violenza in Israele e nei Territori occupati è aumentata mentre altrove molti governi hanno apertamente portato avanti politiche repressive.

Pur denunciando abusi e impunità, ipocrisia e doppi standard dei governi, Amnesty sottolinea anche il potere sempre più crescente che la società civile sta assumendo per invertire la corrente in favore dei diritti umani.

Vi sono segnali inequivocabili di un movimento per la giustizia globale: i milioni di persone che manifestano in ogni parte del mondo per esprimere solidarietà alla popolazione irachena; gli spagnoli che scendono in strada in nome dell’umanità dopo gli attentati di Madrid; i cittadini del mondo che si riuniscono ai Social forum (Brasile, India); la massiccia mobilitazione per salvare dalla lapidazione donne come Amina Lawal in Nigeria; il lavoro di migliaia di attivisti in America Latina a sostegno dei difensori dei diritti umani come Valdenia Paulino nella lotta contro la brutalità della polizia nelle favelas di San Paolo; le recenti modifiche legislative a favore delle donne inserite nel codice civile del Marocco. Un altro importante segnale è stato dato a livello globale, nonostante la crociata degli Usa per indebolire la giustizia internazionale e assicurare immunità planetaria ai suoi cittadini, dalla Corte penale internazionale che ha nominato il procuratore e ha iniziato i suoi lavori.

 

Il messaggio che viene dallo scenario complessivo è sintetizzato efficacemente da Irene Kahn, segretaria generale di Amnesty International: «Non esiste altra via verso la sicurezza sostenibile se non quella del rispetto dei diritti umani… Sacrificare i diritti umani in nome della sicurezza nazionale, chiudere un occhio sugli abusi compiuti all’estero, e servirsi della forza militare preventiva quando e dove si vuole non accresce la sicurezza né assicura la libertà». Pur con questa lucida consapevolezza che attraversa tutto il Rapporto, l’analisi si chiude con una nota di speranza: «I diritti umani stanno per cambiare il mondo in meglio. Siamo convinti che la pressione esercitata dall’opinione pubblica unita al sostegno dei governi riuscirà a produrre un cambiamento di rotta. Non esiste comunità internazionale più forte che una società civile planetaria».

 

M.C.