ATTRAVERSARE IL DESERTO
Per incontrare Dio
nel profondo del cuore e aprirci alla comunione piena
con lui e con il
prossimo dobbiamo stare “lontano dalle piazze”,
vivere una
spiritualità della solitudine.
Come il popolo di Dio schiavo in Egitto o esiliato a Babilonia, l’orante è
chiamato da Dio non tanto a vivere nel deserto, quanto a marciare attraverso il
deserto verso la Terra promessa, verso la sua piena realizzazione.
Gesù lo invita a entrare nel chiuso e nel segreto della propria camera
lontano dagli angoli delle piazze dove si è visti da tutti. Con questo lo
invita a ripetere l’esperienza del popolo d’Israele che, proprio passando
attraverso un luogo geografico ben preciso, la terra maledetta del deserto, ha
compiuto la sua pasqua di liberazione, ha sperimentato l’amore di Dio che lo
guidava alla salvezza e al Sinai ha accettato di stringere un’alleanza con lui
che lo faceva nascere come popolo e come popolo di Dio.
Tra i diversi modi in cui è stata espressa nella vita di preghiera
l’esperienza unica e fondamentale del deserto nella Bibbia lungo i secoli,
nella Chiesa, va certamente ricordata l’esperienza che viene indicata col nome
di solitudine.
Assolutamente parlando, per l’uomo la solitudine è un male, è frutto del
peccato che deturpa in lui l’immagine di Dio trino secondo la quale è stato
creato, dalla quale è strutturato nel più profondo del proprio essere e in
forza della quale, pertanto, all’interno di se stesso è chiamato a vivere in
comunione con Dio e con gli altri.
La solitudine gli rivela, allora, il suo essere peccatore, ma diventa,
nello stesso tempo, appello alla conversione e al riscatto.
Questo si realizzerà di fatto solo se egli saprà vivere la sua solitudine
in unione a quella di Cristo che si è addossato la solitudine più squallida,
quella dell’uomo peccatore, «per radunare i figli di Dio dispersi» (Gv 11,52)
come il buon pastore che dà la propria vita per le pecore, morendo in piena
solitudine sulla croce e divenendo attraverso di essa sorgente di comunione, di
fecondità e di vita come il grano caduto in terra.
È solo nella luce del mistero pasquale che si scopre come la solitudine
possa paradossalmente diventare causa di comunione e come, pertanto, ancora
oggi e soprattutto oggi, la spiritualità di comunione, tanto raccomandata dal
concilio Vaticano II, possa trovare il suo più autentico fondamento in una
spiritualità di solitudine.
Questa è anche la legge della preghiera personale del singolo fedele: per
incontrare Dio nel più profondo del cuore e, partendo di lì, per aprirsi a un
amore e a una comunione sempre più piena con Dio stesso e con gli altri, è
necessario che l’orante operi una rottura rispetto al ritmo normale della vita,
gli è necessario un apartamiento, cioè un mettersi da parte e distaccarsi da
parenti, da amici, da colleghi di lavoro.
L’itinerario spirituale attraverso il quale Dio ci educa non è un semplice
progresso evolutivo che si attua secondo un moto uniforme e tranquillo. Lungo
il cammino si verificano momenti di rottura, salti qualitativi, alternanza tra
tempi di emergenza e tempi di sedimentazione. Come nella vita fisica,
biologica, anche nella vita secondo lo Spirito e, in particolare, nella vita di
preghiera, non si dà perfezionamento senza una certa quale rottura.
Pregare comporta dare un taglio al ritmo fluente della nostra vita per
entrare in un rapporto speciale e nuovo con Dio. Si tratta di un tempo forte
che, però, non ha in se stesso un significato assoluto, ma è in ordine al tempo
continuo di tutta la nostra esistenza.
La preghiera esige come condizione una fuga mundi senza essere una fuga
mundi o evasione dal mondo: essa implica la necessità di entrare più
profondamente nel mondo per trasformarlo, a partire da un cuore purificato e
convertito sempre più a quel Dio che in Cristo Gesù sta per venire, e sempre
più orientato verso quella terra promessa che sono i cieli nuovi e la terra
nuova del futuro al di là della storia, dove tutto avrà il suo compimento.
Questo fa sì che la solitudine richiesta per la preghiera non sia per
l’orante, come non lo è stato per Gesù, «una zona di clausura che lo separa dal
mondo-che-passa, quanto piuttosto una zona di accesso al mondo-che-viene e che
durerà per sempre» (André Louf).
Maurizio Costa
da Voce tra due silenzi, EDB 2004