LA VERGINITÀ PER IL REGNO (7)

VERGINITÀ SESSUALITÀ PASQUALE

 

Esiste uno stretto rapporto tra sessualità ed evento pasquale. Se l’amore ha una struttura pasquale, la verginità è sessualità pasquale, sessualità che deve passare attraverso il vaglio della croce e della resurrezione, la Pasqua-passaggio del Signore.

 

È forse la definizione più semplice e indovinata, o l’immagine più suggestiva ed evocante. Mette insieme, com’è giusto, l’aspetto umano (la sessualità) e quello più trascendente (“pasquale”), il carnale e lo spirituale, per ricordarci che verginità è tutto questo, mistero di morte e vita che si compie nella debolezza della carne grazie a un duplice passaggio: quello dell’offerta di sé che passa attraverso il corpo, il proprio corpo sessuato, e quello della sessualità stessa che passa attraverso la pasqua del Signore, la sua croce e resurrezione.

Del primo passaggio abbiamo già parlato, specie nell’ultima scheda;1 ci resta da vedere il secondo. Entrambi i percorsi sono espressione dell’unica pedagogia dell’amore e dell’offerta del corpo come d’un sacrificio vivente, santo e gradito a Dio (cf. Rm 12,1), che rende il corpo stesso luminoso nella fatica della rinuncia, nel dir di no a qualcosa di molto bello per qualcos’altro di ancor più bello.

 

QUEL MISTERIOSO

LEGAME…

 

Anzitutto è da chiarire un punto molto importante e tutt’altro che scontato: il nesso tra sessualità ed evento pasquale. È una relazione misteriosa, certamente, e per qualcuno strana e forzata, ma è fondamentale comprenderla per viver bene la propria verginità. Diciamo subito, però, che il nesso non è di tipo “negativo”, non va cercato nella rinuncia “dolorosa” che la sessualità implica per natura sua, e che poi diventa massima nell’opzione verginale, ma in una certa corrispondenza di significati, che ora cerchiamo di evidenziare.

Albero fecondo

Sessualità, infatti, significa alla radice relazione, abbiamo più volte ripetuto, capacità di accogliere incondizionatamente l’altro-da-sé, rispettando, accogliendo e valorizzando la sua diversità senza imporgli le proprie condizioni. Anzi, la sessualità è diversità che diventa complementarità reciproca, non solo tra maschio e femmina, ma tra io e tu, è dunque energia creativa, capacità di far dono di sé a un altro, è fecondità di rapporto, è dare la vita e dare vita…

Ebbene, la croce di Gesù non esprime forse tutto ciò al massimo grado e nella maniera più intensa possibile? Gesù con la sua croce entra in relazione con tutti, senza lasciar fuori nessuno: la croce è relazione, col cielo, la terra e gl’inferi, coi giusti e i peccatori, con il ladrone graziato e con quello ostinato, con Maria e Giovanni, coi crocifissi della storia e i crocifissori di tutti i tempi… L’Agnello mite e immolato mantiene aperta la relazione anche con chi la vorrebbe spezzare; Colui che si lascia colpire e non reagisce non è forse segno, paradossalmente, d’una volontà di comunione più forte d’ogni violenza? E la richiesta di perdono sulla croce che cerca persino le attenuanti per chi l’ha messo in croce non è forse il massimo dell’accoglienza di chi è altro-da-te e ti si oppone fino a volerti eliminare?

Proprio per questo la croce è albero fecondo, per questo misterioso incontro con l’alterità e il suo segnale estremo, il peccato. Tale fecondità è «il vero potere …del Dio crocifisso: un potere che vuole l’alterità dell’altro fino a lasciarsi uccidere per offrirgli la risurrezione. Perciò il potere assoluto s’identifica col sacrificio che comunica la vita agli uomini e fonda la loro libertà. Il Dio incarnato è colui che dona la propria vita per i suoi amici e prega per i suoi carnefici».2

I racconti della passione non ci consegnano l’immagine d’un Dio altissimo e tre volte santo al punto da non potersi contaminare con l’umanità peccatrice, ma al contrario ci consegnano l’immagine d’un Dio che si consegna davvero nelle mani dell’uomo, un Dio che entra in contatto col peccato e lascia che questo gl’infligga la morte, come due estremi che si toccano facendo però nascere la vita! Il corpo di Gesù è il luogo di questo drammatico scontro di polarità opposte; la redenzione ne è il frutto.

E la nostra verginità ne fa in qualche modo memoria. Nella sessualità umana, infatti, c’è traccia misteriosa di questa energia relazionale e feconda!

La struttura pasquale dell’amore

In realtà non solo tracce, ma molto di più, poiché l’affettività-sessualità possiede una sua struttura segreta che è struttura pasquale. La croce, in altre parole, rivela la natura dell’amore, svelando che:

– l’amore nasce …dall’amore, ossia, qualsiasi gesto d’amore è sempre preceduto dall’amore ricevuto, più certa è la coscienza d’essere stati amati più grande sarà l’amore donato: il Figlio prediletto si offre totalmente all’umanità condividendo il dono, senz’alcuna gelosia o timore (cf. Fil 2,5-11), proprio perché pre-diletto, amato da sempre;

– ma in ogni caso l’amore non può scegliere le mezze misure: è per sua natura radicale e totale, e la croce è il segno più grande dell’amore più grande; per questo Cristo muore, dice con suggestiva interpretazione Barsotti, perché il suo cuore umano …scoppia, non potendo contenere la piena dell’amore!

– Dunque un certo esito estremo e doloroso, di passione, di dono anche sofferto di sé, è parte naturale e inevitabile dell’amore. Chi ama, sa che deve morire; c’è una passione scontata nella vita di chi accoglie incondizionatamente l’altro, il diverso-da-sé, e vuole a tutti i costi il suo bene; il morire è segno che ha amato veramente, non in modo superficiale o interessato.

– Addirittura, le ferite della morte rimangono anche nel corpo glorioso di Cristo risorto, che appare ai suoi discepoli sempre con le stigmate e “con i segni della passione vive immortale”.3 Le stigmate stanno allora a testimoniare che la passione non è stata esperienza inattesa e sgradita, da nascondere e oltrepassare, ma parte integrante della missione di Gesù, che in essa ha svelato la passione d’amore di Dio per l’uomo, più forte della morte, e la struttura stessa dell’amore, d’ogni amore.

 

QUEL “PASSAGGIO”

OBBLIGATO…

 

È il punto centrale della nostra riflessione: se l’amore ha una struttura pasquale, la verginità è sessualità pasquale, sessualità che deve passare attraverso il vaglio della croce e della resurrezione, la Pasqua-passaggio del Signore. Cosa vuol dire?

La croce giudica

Vuol dire, anzitutto, lasciarsi giudicare dalla croce, cioè sottoporre ogni affetto, pensiero, sentimento, istinto, passione, desiderio… al giudizio della croce. Perché solo la croce può giudicare il cuore e permette di decifrare quel che vi avviene; solo l’amore vero può scoprire quello falso nelle sue tante finzioni (la crudele ipocrisia del celibe che non sa provar empatia, la doppia faccia di chi dà per ricevere, la sottile violenza di chi usa l’altro per i suoi bisogni…), o riconoscer in tempo quell’attrazione o simpatia che potrebbe poi prender il sopravvento. L’esame di coscienza quotidiano dinanzi alla croce forma la coscienza del vergine: da un lato forse previene certe crisi, dall’altro rende attento e persino geloso il suo cuore.

La croce purifica

Un progetto di verginità si nutre necessariamente di solitudine, di rinuncia, di sobrietà…, non per una questione d’osservanza, ma per purificare il cuore, per renderlo libero e leggero, capace di concentrare tutta l’energia affettiva verso un’unica passione,4 perché Dio sia il più grande amore e non vi siano altri affetti invadenti che attraggono il cuore distraendolo da lui. Allora il cuore umano si trasforma e diviene puro, capace d’amare alla maniera divina.

La croce orienta

Orienta perché ci riconduce a “oriente”, sul monte dell’offerta, ove scopriamo le nostre origini e la nostra verità: quell’amore che Dio ha manifestato al sommo grado proprio nel Figlio crocifisso per noi, quell’amore che è il primo e l’ultimo e comprende tutti gli altri amori. La croce mette ordine e gerarchia nella vita affettiva e consente per questo una piena espressione della sessualità. Perché non solo svela l’amore falso, ma indica in modo inequivocabile quello vero nella forma di colui che è appeso al legno.

La croce libera

Nulla come la croce rende il cuore libero, poiché nulla come la croce dà assieme quelle due certezze su cui è costruita la libertà affettiva: la certezza d’essere amato da sempre e per sempre, e la certezza di poter e dover amare per sempre. Due certezze che scacciano via per sempre ogni dubbio e paura, appagano il cuore e lo rendono amante. La croce rassicura e provoca, rende grati e gratuiti, guarisce e …“ferisce”, dà verità e libertà.

La croce salva

Non solo in senso generale, ma salva anche la nostra affettività e sessualità dalle involuzioni narcisistico-infantili che la mortificano spegnendo in essa ogni scintilla d’amore, e così la protegge e custodisce, discernendo e salvando la parte buona, l’energia preziosa, l’impronta divina in essa inscritta. Perché lo Spirito abiti in ogni angolo e istinto dell’umana sessualità, e la renda feconda; e la scintilla divenga fuoco.

La croce esalta

E infine, niente come la croce offre e chiede all’uomo e al suo cuore il massimo. Lo salva dall’egoismo, la madre di tutti i peccati (come dicevano i Padri), e al tempo stesso gli dona e domanda d’amare con lo stesso cuore del Crocifisso. Dinanzi a lui nessuno può dire di non esser capace o di non aver capito bene o di non esser chiamato tanto in alto, poiché nulla fa sentire il dramma e la responsabilità della scelta come l’amore. In tal senso la verginità è l’esaltazione dell’umana sessualità!

 

QUELLA FERITA

PASQUALE…

 

Se l’amore ha struttura pasquale il Crocifisso-Risorto ne è l’icona. Quel Cristo che appare sempre con le stigmate. Per farci comprendere tre cose.

Chi ama ha le stigmate

Le stigmate non sono semplici cicatrici, ferite più o meno subite che uno ha subito dalla vita e che il tempo, si spera, rimarginerà. Le cicatrici sono ferite ormai incallite, non sanguinano né fanno più male. Semmai stanno a ricordare un certo evento del passato, da esibire (come un reduce) o da nascondere (come chi se ne vergogna).

Le stigmate, invece, sono ferite fresche, sangue vivo, memoria luminosa d’una scelta fatta per amore e che ancora comunica amore, come passione che continua nel tempo.

Il vergine ha le stigmate, allora, o la verginità stessa è questa ferita impressa nel corpo e nell’anima; stigmate che stanno a ricordarci quel giorno benedetto che il Signore è apparso nella nostra vita per proporsi come l’amore unico e più grande. Ferita ancora fresca e pure sofferta, ma assieme sempre più motivata e illuminata dalla passione per Dio e per l’uomo. Tale verginità è sessualità pasquale.

Mentre, al contrario, non c’è nulla di più miserabile d’un celibato ridotto a cicatrice, d’un vergine che è riuscito a rimarginare la sua ferita; costui ormai “ci ha-fatto-il-callo” e non soffre e non sente più alcuna passione, o patisce unicamente per se stesso e la sua fame frustrata d’affetto, perché non ha lasciato che la sua sessualità passasse lungo la via crucis e ne fosse sanata e resa fresca e bella.

Costui non è vergine, anche se è celibe, poiché la sua sessualità non è pasquale.

Chi ha le stigmate è un risorto5

Le stigmate sono il segno della vita nuova che può essere trasmessa agli altri, più forte d’ogni morte. È questo il senso delle apparizioni del Crocifisso-Risorto, che invita, infatti, Tommaso a metter mani, cuore, dubbi e vita nelle sue ferite per esser salvato.

Ed è il senso della nostra verginità. Chi porta le stigmate, e non le nasconde né se ne vergogna, testimonia esattamente che la ferita impressa dalla “morte” (la morte della rinuncia alla tenerezza d’un affetto umano pur desideratissimo, della solitudine anche aspra del cuore, della sterilità del proprio corpo…) non ha potere mortale, non è più morte, è diventata fonte di vita, passaggio dell’angelo del Signore, come il tau sulla fronte degli eletti o il sangue sulla porta degli ebrei.

Chi porta le stigmate non è un depresso, ma afferma, al contrario, che l’amore di Dio è in noi “sempre verdeggiante e fiorente in tutta la gioia e gloria che egli è in se stesso”, perché “la passione principale di Dio è dare vita”.6 Laddove, soprattutto, sembra impossibile all’uomo, ove la carne è debole e sterile.

Chi è risorto non muore più

Vergine con le stigmate “vive” della sua verginità è uno come l’Abbé Pierre che, al termine della sua luminosissima esistenza, può confessare in verità entrambi gli aspetti, le stigmate come rinuncia faticosa e come annuncio di vita nuova: «Se tornassi ad avere diciott’anni, sapendo quanto costa la privazione della tenerezza, e non sapendo altro, certamente non avrei la forza di pronunciare gioiosamente il voto di castità. Ma se sapessi che, lungo questo sentiero così aspro si incontrano le tenerezze di Dio, allora certamente pronuncerei di nuovo il mio sì con tutto il mio essere».7

Tale vergine, con le sue stigmate, «non solo sa che muore, ma sa che può morire amando»…8

è la piena sessualità pasquale: se l’amore è più forte della morte, chi muore amando …non può morire!

 

Amedeo Cencini

1 Cf. Testimoni 9, pp. 18-20.

2 O.Clément, Il potere crocifisso, Magnano 1999, p.36.

3 Prefazio III del tempo pasquale.

4 Cf. scheda 5.

5 Interessante, in tal senso, che nel grande mosaico della cappella papale Redemptoris Mater, p.Rupnik abbia raffigurato tutti i risorti con le stigmate.

6 Maestro Eckhart, Sermons and Treatises, vol I, London 1979, p. 8.

7 Abbé Pierre, Testamento, Casale M. 1994, p. 62.

8 Pascal cit. da Abbé Pierre, Ibidem.