FERMA DENUNCIA DEI FRANCESCANI PRESSO L’ONU

IL MURO DELLE DIVISIONI

 

Per promuovere la pace in Terra Santa, ha detto il papa, occorrono non muri di separazione ma ponti. Purtroppo procede il progetto israeliano di innalzare una barriera divisoria. Le gravi conseguenze che ne deriveranno denunciate dai francescani all’ONU.

 

Il muro di separazione che lo stato d’Israele sta costruendo toccherà duramente oltre 210.000 palestinesi a cui sarà negato il rispetto di diritti umani basilari come la libertà di movimento, il diritto alla salute, al cibo e all’educazione e creerà una profonda crisi umanitaria. Quando sarà terminato avrà una lunghezza stimata tra i 450 e i 650 chilometri e comporterà un investimento pari a circa 1.4 miliardi di dollari USA. Ciò sta a indicare che nelle intenzioni delle autorità israeliane dovrà trattarsi di una costruzione di carattere permanente.

Ad attirare l’attenzione sulle devastanti conseguenze di questa opera per le popolazioni palestinesi è stata recentemente la commissione giustizia e pace della Custodia della Terra Santa nel corso della 60a sessione della commissione dei diritti umani dell’ONU che si è svolta dal 15 al 23 marzo scorso a Ginevra. In questa occasione p. Marco Malagola ha presentato alla commissione un intervento che qui riprendiamo.

L’organizzazione Franciscans International,1 in collaborazione con la Commissione francescana giustizia e pace della Custodia della Terra Santa, desidera attirare l’attenzione della Commissione dei diritti umani sulle deplorevoli conseguenze della costruzione in corso del «muro di separazione» che circonda la West Bank (Territori occupati) e Gaza.

Malgrado le speranze suscitate dal lancio della road map all’inizio di giugno del 2003, la costruzione da parte degli israeliani di un muro di separazione, che non rispetta la linea verde del 1967 è percepita come un’annessione di parti importanti del territorio palestinese. Il muro taglia parti del West Bank, separando 95.000 palestinesi residenti in 27 città e villaggi dal resto del West Bank.

La sua costruzione è enfaticamente presentata come una misura di sicurezza. Tuttavia, se il muro avesse seguito strettamente la linea verde sarebbe stato possibile ridurre la discussione alla domanda se un muro di sicurezza di questo genere sia in grado ri raggiungere il suo scopo. Ma quando si sa che penetra in profondità nel territorio palestinese, ritagliando circa un 7% del territorio palestinese, incluse fertili terre agricole, risorse acquifere e villaggi, è difficile non concludere che si tratta di un’annessione de facto in cui il problema della sicurezza è usato come un pretesto di espansione territoriale.

Il 16 dicembre 2003, Giovanni Paolo II, condannando gli atti di terrorismo nelle varie parti del mondo, ha affermato riferendosi al muro di separazione: «La Terra Santa non ha bisogno di muri, ma di ponti». Gli Stati Uniti, l’Unione europea e diverse istituzioni hanno espresso anche la loro preoccupazione a questo riguardo e hanno ripetutamente lanciato degli appelli alle autorità israeliane insistendo perché fermassero la costruzione del muro.

Il 12 novembre, i capi delle chiese di Israele hanno inviato alle autorità militari che presiedono alla costruzione del muro il seguente messaggio: «Oggi in Israele abbiamo urgente bisogno di lavorare per costruire la pace e la sicurezza, e di combattere contro ogni genere di violenza. Per questa ragione non crediamo che la «barriera di separazione» costituisca una risposta adeguata. Al contrario, essa sarà un segno di ostilità e una fonte di frustrazione, di odio e di nuovi disordini per tutti. Noi, in quanto assemblea dei capi delle chiese cattoliche in Terra Santa, siamo molto preoccupati dei drammatici effetti umani che la cosiddetta “barriera di separazione” avrà sulla popolazione, come pure sulle nostre istituzioni cattoliche di Gerusalemme est e i suoi dintorni. Dal punto di vista umano, sociale e religioso non si può accettare di separare la gente dai loro luoghi di lavoro quotidiano, delle cure sanitarie, dell’insegnamento e della preghiera.

Il 15 gennaio 2004, in 15 vescovi dell’Europa e dell’America ci siamo incontrati a Gerusalemme e abbiamo emanato una dichiarazione di solidarietà con le chiese della Terra Santa: «Abbiamo visto gli effetti devastanti del muro di sicurezza che si sta costruendo attraverso le terre e le abitazioni delle comunità palestinesi. Questo muro ha tutte le apparenze di una struttura permanente che divide le famiglie, isolandole dalle loro terre agricole e dai loro mezzi di sostentamento, e taglia fuori persino le istituzioni religiose».

Diverse deplorevoli misure sono prese anche per sostenere direttamente o indirettamente la costruzione del muro: per esempio, la gente non è informata delle decisioni di espropriazione e viene a saperlo attraverso avvisi affissi alle loro piante d’ulivo. Inoltre, i numerosi punti di controllo impediscono alla popolazione di muoversi liberamente da un villaggo all’altro persino dentro lo stesso territorio palestinese. I rapporti famigliari e sociali sono interrotti. I contadini non possono raggiungere i loro campi e i loro raccolti.

L’organizzazione israeliana per i diritti umani “Betezlem”denuncia che «il 40% delle aree agricole nel West Bank sono situate tra Jenin e Kalkilya e queste sono state già incorporate entro il muro». Per di più, centinaia di case sono state demolite a Gaza, Hebron, Jenin e Nablus. Molte famiglie cristiane di Bet Sahour, vicino a Betlemme hanno ricevuto un avviso di demolizione delle loro abitazioni.

Il muro di separazione attorno a Betlemme avrà inoltre conseguenze devastanti per la comunità cristiana del mondo intero; e inoltre un impatto psicologico sulla vita quotidiana di quanti ancora vivono in quest’area. La comunità sarà isolata per l’impossibilità di accedere alla campagna e di muoversi liberamente. Le visite dei pellegrini saranno ulteriormente scoraggiate.

Grossi blocchi di cemento ostruiscono la strada verso la città araba di Abu Dis e tagliano in due parti la vecchia città di Bethania. I bulldozer dell’esercito sono penetrati oltre il recinto di un convento cattolico e hanno distrutto le piante di ulivo di un altro convento. Il muro inoltre circonderà un’altra casa religiosa nella medesima area impedendo l’accesso da una parte dei territori.

Tutti questi atti violano in maniera flagrante l’accordo fondamentale tra la Santa Sede e lo stato di Israele (firmato il 30 dicembre 1993 ed entrato in vigore il 10 marzo 1994) circa il rispetto delle proprietà appartenenti alla Chiesa. Dovunque il muro invade il terreno delle istituzioni cattoliche viene violato l’articolo 10 par. 1 dell’accordo con cui Israele riconosce il diritto della Chiesa cattolica alla (sua ) proprietà. Allo stesso modo c’è una incompatibilità con l’articolo 10 par. 2 il quale stabilisce che le dispute riguardanti la proprietà dovranno essere negoziate e ricomposte entro il quadro del negoziato tra le due alte parti contraenti, escludendo (art. 10,2d) azioni unilaterali. C’è inoltre la violazione dell’art. 4, par. 3 nel senso che le proprietà cattoliche invase sono luoghi di culto, conventi o altri luoghi sacri secondo i termini dell’articolo.

A partire dalle ultime settimane i passeggeri che atterrano all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv ricevono il seguente avviso: «Benvenuti nello stato di Israele – Avviso circa l’ingresso nei territori sotto controllo dell’Autorità palestinese: 1. desideriamo attirare la vostra attenzione sul fatto che l’ingresso nei territori sotto il controllo dell’Autorità palestinese, nella striscia di Gaza, Giudea e Samaria (area A) è proibito senza aver ottenuto prima un’autorizzazione scritta; 2. l’ingresso nei soprannominati territori senza previa autorizzazione può comportare delle misure legali nei vostri confronti, inclusi l’espulsione e il rifiuto di un futuro reingresso nello stato di Israele.

La presentazione di una richiesta di autorizzazione d’ingresso nelle zone summenzionate non costituisce un permesso a entrarvi fino a quando non si sarà ottenuta un’autorizzazione scritta».

Questi provvedimenti manifestano una chiara volontà politica di impedire a qualsiasi testimone oculare di conoscere e far conoscere ad altri quello che avviene oltre il muro e nei territori occupati allo scopo di isolare ancor di più i palestinesi.

I Franciscans International, in collaborazione con i francescani della commissione giustizia e pace della Custodia della Terra Santa, desiderano invitare il governo israeliano:

1. a porre fine all’occupazione che è causa di violenza e di paura e a sospendere in maniera totale e immediata gli insediamenti sulle terre palestinesi confiscate;

2. a sospendere la costruzione di un muro di separazione o di sicurezza tra Israele e i territori occupati, i cui effetti nel tempo sono incompatibili con una pace giusta e sostenibile;

3. ad abolire i coprifuoco locali, le chiusure delle strade e i punti di controllo e consentire libero accesso alle scuole, ospedali e luoghi di lavoro;

4. a fermare la politica di distruzione delle case e proprietà, e la politica riguardante gli insediamenti israeliani e la confisca di ampie porzioni di territorio palestinese, compromettendo la loro intergità territoriale;

5. ad attuare pienamente l’accordo firmato con la Santa Sede circa il rispetto delle proprietà appartenenti alla Chiesa cattolica;

6. ad attuare pienamente le raccomandazioni di tutti gli organismi delle Nazioni Unite, inclusi la commissione per i diritti umani, il comitato contro la tortura e il comitato dei diritti economici, sociali e culturali.

 

NUOVO CUSTODE

DI TERRA SANTA

 

Di recente è stato nominato il nuovo Custode della Terra Santa, fr. Pierbattista Pizzaballa. Succede a fr. Giovanni Battistelli che ha ricoperto l’incarico negli ultimi sei anni. Il Custode di Terra Santa è nominato dal Definitorio generale dei frati minori con l’approvazione dalla Santa Sede a norma degli statuti pontifici che reggono questa entità dell’ordine dei frati minori.

Nato a Cologno al Serio (Bergamo) il 21 aprile 1965, fr. Pierbattista Pizzaballa è tra i più giovani eletti alla guida della Custodia di Terra Santa dell’ordine dei frati minori. Intervistato sulla costruzione del muro di separazione, ha risposto: «Comprendo la paura e l’angoscia di Israele. Sono certo che il muro non è la risposta. Israele vuole difendersi dagli attacchi terroristici, ma la realtà del muro divide il villaggio dalle terre, la scuola dai bambini, l’ospedale dai malati; tutto ciò è difficilmente comprensibile. La storia, inoltre, insegna che tutti i muri prima o poi cadono. È una risposta di paura che non ha prospettive nel tempo, perché la forza delle idee e la forza della vita superano qualsiasi barriera».

Gli è stato chiesto anche qual è attualmente la situazione dei cristiani nei territori occupati per i quali i francescani si sono adoperati per costruire loro delle case affinché abbiano a rimanere. «Il problema delle case per i cristiani di Terra Santa, ha risposto, è molto serio. Bisogna però fare attenzione a non trasformare la Custodia della Terra Santa in un ministero delle infrastrutture. Per quante case si possa costruire non si riuscirà mai a risolvere il problema della sopravvivenza dei cristiani. In questa prospettiva siamo chiamati a dare il nostro contributo concreto.

Nei Territori l’emigrazione è un problema veramente drammatico, mentre per i cristiani che vivono in Israele ci sono problemi di tipo diverso, tanto è vero che, per esempio, la Custodia qui non costruisce case per loro. Va poi tenuto presente che i poveri non andranno mai via, rimarranno sempre con noi, perché non hanno il denaro necessario per emigrare. Un problema grave è invece la diminuzione di una presenza cristiana qualificata perché chi ha possibilità economiche e una buona formazione preferisce emigrare, perché non vede prospettive per il futuro. Nei Territori palestinesi questo problema esiste, ed è dovuto soprattutto alla situazione politica e alla mancanza di prospettive economiche. In questo caso costruire edifici è importante, ma la Custodia non può limitarsi a questo. Noi frati dobbiamo essere più solidali, meno assistenzialisti e più presenti. La gente non ha solo bisogno di soldi, chiede speranza, vuole essere aiutata a credere nel futuro».

 

1 Franciscans International è un’organizzazione non governativa delle famiglie francescane maschili e femminili che opera presso le Nazioni Unite, con due sedi: una a New York e un’altra a Ginevra.