DIMENSIONI
DELLA VITA CONSACRATA
IN
CRISTO NELLO SPIRITO
La vita
consacrata è memoria vivente del Cristo consacrato. I religiosi infatti sono
chiamati a vivere «consacrati come Cristo» per riproporre nel loro tempo la
presenza viva di Gesù, il consacrato per eccellenza. Essa riceve inoltre un
particolare dono dello Spirito, che apre a nuove possibilità e produce fruttidi
santità e di apostolato.
L’esortazione
apostolica Vita consecrata definisce la vita di speciale consacrazione memoria
vivente del modo di esistere e di agire di Gesù come Verbo incarnato di fronte
al Padre e di fronte ai fratelli (22). La medesima definizione è ripresa anche
dall’istruzione Ripartire da Cristo (22a) della Congregazione per la vita
consacrata (14 giugno 2002) e ritorna negli stessi termini nel documento Le
persone consacrate e la loro missione nella scuola; riflessioni e orientamenti
(25) della Congregazione per l’educazione cattolica (28 ottobre 2002).
Tale
insistenza, certamente non casuale, ha lo scopo di sottolineare con forte
evidenza la dimensione cristologica della vita consacrata e di proporne insieme
anche il carattere pneumatologico, nel senso che la vita consacrata è memoria
vivente di Gesù che si attua nel dinamismo dello Spirito Santo.
Ci pare
opportuno in un momento in cui ci prepariamo alla solennità della Pentecoste
soffermarci ad approfondire questo argomento, seguendo le grandi linee della
riflessione proposta da p. Angel Pardilla, cmf, il 17 gennaio scorso, a Roma,
parlando all’associazione membri delle curie generali. Il testo, come si potrà
costatare, ripreso nelle parti essenziali, contiene numerose citazioni bibliche
e vari riferimenti ai recenti documenti della Chiesa; citazioni che non solo
convalidano la tesi esposta, ma che
possono servire anche per un utile approfondimento.
Se
uno vuole trovare il significato più autentico della propria vita consacrata
deve risalire alle sue sorgenti cristologico-trinitarie. Nella sua origine la
consacrazione è una realtà soprannaturale che procede dal Padre, fonte di ogni
santità. Come Cristo, ogni membro di un istituto di vita consacrata è
consacrato dal Padre nello Spirito Santo. L’aspetto passivo infatti è
prioritario nella stessa consacrazione di Cristo, supremo consacrato nella
storia dell’umanità. Egli è veramente colui che «Dio consacrò in Spirito Santo
e potenza» (At 10,38), «colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo»
(Gv l0, 36).
Cristo,
d’altra parte, è anche il supremo modello di consacrato nel senso attivo o
riflessivo dell’espressione: «Per loro io consacro me stesso» (Gv 17, 19).
Con
una splendida sintesi il papa descrive così l’armonia dei due elementi della
consacrazione di Cristo: «Accogliendo la consacrazione del Padre, il Figlio a
sua volta si consacra a lui» (VC 22).
Ogni
fedele partecipa a livello comune o fondamentale alla consacrazione di Cristo.
In questo senso, ogni cristiano è un consacrato; è tenuto quindi a vivere
secondo il programma delle promesse del battesimo.
La
consacrazione di Cristo, tuttavia, è così ricca e luminosa che alcune delle sue
note caratteristiche non fanno parte del programma positivo e delle rinunce del
battesimo. L’obbedienza evangelica di Cristo, la sua castità per il regno dei
cieli e la sua povertà volontaria sono anch’esse dimensioni ed espressioni
della sua vita consacrata.
Colui
che professa i consigli evangelici, vissuti da Cristo nella sua umanità
pienamente consacrata, riceve una speciale consacrazione (PC 5), che implica un
nuovo impegno di configurazione e di partecipazione al mistero del Cristo
consacrato: «Le persone consacrate (...) ricevono una nuova e speciale consacrazione
che (...) le impegna a fare propria (...) la forma di vita praticata
personalmente da Gesù» (VC 31).
«La
vita consacrata oggi ha bisogno soprattutto di un rilancio spirituale, che
aiuti a far passare nel concreto della vita il senso evangelico e spirituale
della consacrazione battesimale e della sua nuova e speciale consacrazione»
(RdC 20).
In
questo senso specifico, la vita consacrata è “memoria vivente” del Cristo
consacrato. I membri degli istituti di vita consacrata infatti sono chiamati a
vivere «consacrati come Cristo» (VC 22), «per riproporre nel loro tempo, la
presenza viva di Gesù, il consacrato per eccellenza» (VC 9).
MEMORIA
VIVENTE
DI
CRISTO OBBEDIENTE
Cristo
è il supremo modello e la più genuina fonte d’ispirazione per il programma di vita
di obbedienza delle persone consacrate. Secondo i dati biblici e secondo la
tradizione della Chiesa, egli è l’obbediente per eccellenza (VC 22).
Nella
sua esistenza terrena, Gesù di Nazaret adottò in tutto la forma di vita del
Figlio-servo. Si lasciò guidare sempre dal Padre e in ogni momento adempì
perfettamente la sua volontà. Ogni parola, ogni indicazione, ogni desiderio del
Padre divenne per lui regola di vita.
In
tal senso, si può affermare che tutto il contenuto del consiglio evangelico
dell’obbedienza è stato vissuto e come incarnato dallo stesso Cristo, maestro
di obbedienza soprattutto con l’esempio della propria forma di vita.
È
opportuno sottolineare l’importanza di due testi biblici che, in meravigliosa
sintesi, presentano l’opzione che ha dato un senso più determinante a tutte le
fasi e a tutte le decisioni particolari di Gesù in questo mondo: «Sono disceso
dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha
mandato» (Gv 6, 38); «(...) entrando nel mondo Cristo dice: (...) Ecco io vengo
(...) per fare, o Dio, la tua volontà» (Eb 10, 5.7). Questa opzione di totale
disponibilità, mantenuta costantemente in assoluta fedeltà, fu quella che diede
un significato di profondissima obbedienza a tutti i dettagli della vita e della
morte di Cristo. Tutta la sua esistenza è stata un olocausto di amore e di
obbedienza al Padre.
Egli
ha descritto così il segreto del suo dinamismo: «Mio cibo è fare la volontà di
colui che mi ha mandato e compiere la sua opera» (Gv 4, 34). La sua perenne
comunione di amore col Padre, vissuta sempre con senso di obbedienza filiale,
gli ha permesso di confessare con l’umiltà della verità: «Io faccio sempre le
cose che gli sono gradite» (Gv 8, 29).
Paolo
loda e ringrazia di cuore Cristo che con la sua obbedienza (Rm 5,19) di nuovo
Adamo ha portato all’umanità «la grazia con la giustizia per la vita eterna»
(Rm 5,21). Cristo è stato senza dubbio il sommo obbediente, il Figlio-servo
che, per la gloria del Padre e la salvezza dell’uomo, «umiliò se stesso facendosi
obbediente fino alla morte e alla morte di croce» (Fil 2,8).
Ogni
fedele è tenuto a vivere in modo coerente con la «perfezione del proprio stato»
(LG 42d). Deve quindi praticare l’obbedienza cristiana secondo le esigenze del
proprio stato di vita.
Ogni
istituto di vita consacrata è una comunità di persone consacrate, organicamente
strutturata e impegnata a vivere secondo un peculiare programma di obbedienza,
approvato dalla Chiesa. Ogni istituto deve cercare di fare sempre la volontà
del Padre, nella piena fedeltà al carisma ricevuto. Chi è membro di tali
istituti promette di essere obbediente al Padre e ai suoi legittimi
rappresentanti «in ciò che riguarda la perfezione, al di là del precetto, allo
scopo di conformarsi più pienamente al Cristo obbediente» (LG 42).
Con
la professione del consiglio evangelico dell’obbedienza, egli abbraccia un
programma di obbedienza evangelica che «il battesimo non comporta per se
stesso» (VC 30). Egli cerca di attuare così il piano di obbedienza della vita
consacrata: essere “memoria vivente” di Cristo obbediente.
MEMORIA
VIVENTE
DI
CRISTO CASTO
La
Chiesa non loda la rinuncia alla vita matrimoniale fatta per motivi di egoismo
e per ragioni discutibili. Il magistero esalta giustamente la castità
consacrata, cioè l’impegno a vivere con coerenza il valore evangelico della
castità scelta per il regno dei cieli.
Il
programma di vita della castità consacrata non è solo né prioritariamente un
progetto caratterizzato dalla rinuncia. «La rinuncia viene fatta in vista di un
bene più grande, di valori più elevati, riassunti nella bella espressione
evangelica di regno dei cieli. Il dono completo di sé a questo Regno giustifica
e santifica il celibato» (Giovanni Paolo II, 16 novembre 1994).
Il
consiglio evangelico della castità consacrata e gli altri consigli evangelici
«prima e più che una rinuncia, sono una specifica accoglienza del mistero di
Cristo, vissuta all’interno della Chiesa» (VC 16). È fuorviante pertanto
caratterizzare la castità consacrata con definizioni come questa: la castità
delle persone consacrate non è altro che il precludersi l’esercizio attivo
della sessualità.
La
scelta della castità consacrata non è la conclusione o il risultato di un
ragionamento filosofico. È da Cristo che le persone consacrate imparano il vero
senso e l’attuazione armoniosa della castità consacrata. Assumendo nella
propria carne umana la forma di vita verginale, il Cristo che approvò pure la
dignità della vita matrimoniale rivelò, come valore evangelico migliore, «il
pregio sublime e la misteriosa fecondità spirituale della verginità» (VC 22).
Sulla
base dei dati biblici la Chiesa insegna che Gesù è stato concepito
verginalmente e confessa la perpetua verginità di Maria. Il dinamismo profondo
della verità su Maria “sempre vergine” porta armoniosamente alla certezza sul
Cristo “sempre vergine”.
Il
testo più specifico sul celibato consacrato è quello di Mt 19, 11-12, che
contiene il detto di Gesù sul dono e sulla libera scelta degli “eunuchi per il
regno dei cieli”. Prima, durante e dopo il concilio Vaticano II, il testo è
stato interpretato dalla Chiesa in un senso forte e ritenuto valore evangelico
di libera scelta: «Nella dottrina della Chiesa vige la convinzione che queste
parole non esprimono un comandamento che obbliga tutti, ma un consiglio che
riguarda alcune persone» (cf. LG 42; Giovanni Paolo II, 10 marzo 1982).
I
migliori studi esegetici attuali confermano e rafforzano l’interpretazione
della Chiesa. Dall’analisi delle parole e dell’ambiente del tempo, emerge che
molto probabilmente la parola “eunuco” è stata usata dai nemici di Gesù come un
insulto contro di lui. Ma Gesù difese magistralmente la sua scelta e quella
dei suoi intimi dichiarando che era un onore vivere da «eunuchi per il regno
dei cieli».
Nei
vangeli troviamo anche una confessione di Gesù che esprime un aspetto della
sua povertà e la sua decisione di vivere nella castità consacrata: «Le volpi
hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo
non ha dove posare il capo» (Mt 8, 20; Lc 9,58). La struttura ternaria del
detto indica in maniera molto semitica che Gesù non ha una sua tana umana, una
sua casa-nido (cf. Sal 84,4), una sua casa-focolare, riscaldata dall’amore di
una sposa (cf. Sal 128,3), che gli faccia da «colonna di appoggio» (Sir
36,24). Di nido in quanto nido, cioè di focolare domestico in quanto tale, egli
non ha assolutamente niente. Docile anche in questo al Padre, Gesù non ha
paura di essere insultato proprio per questa sua scelta:
«Chi
si fida di un ladro (...)? Così dell’uomo che non ha un nido» (Sir 36,28).
La
vita consacrata, mediante la testimonianza evangelica e cristologica della
verginità consacrata e del celibato per il regno dei cieli, è “memoria vivente”
del Cristo casto.
MEMORIA
VIVENTE
DI
CRISTO POVERO
Le
persone consacrate professano di essere povere secondo un programma di povertà
evangelica volontaria. Questo significa che il senso e le dimensioni della
loro povertà non possono essere stabiliti se non facendo riferimento esplicito
al Vangelo e, più concretamente, all’esempio e all’insegnamento del Cristo
povero del Vangelo.
La
povertà della vita consacrata, quindi, non può essere descritta in una
prospettiva esclusivamente orizzontale o con criteri meramente socio-economici.
Già nell’ambito della rivelazione dell’Antico Testamento il contenuto
dell’espressione “povero di Yhwh” non coincideva con il concetto socio-economico
di povero. Chi non aveva fede in Dio non era ritenuto “povero di Yhwh”.
Nell’era
evangelica, Cristo può essere chiamato “povero di Yhwh”. Meglio, tuttavia,
chiamarlo “il povero del Padre”, cioè il povero per eccellenza di Dio Padre. La
sua è stata la povertà più evangelica e più volontaria perché scelta
liberamente per attuare nel modo più generoso il piano di salvezza tracciato
dal Padre: «Da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste
ricchi per mezzo della sua povertà» (2 Cor 8, 9).
Il
Cristo povero non è nettamente separabile né dal Cristo obbediente né dal
Cristo casto. Non è possibile infatti delineare la profondità della povertà di
Cristo senza metterla in stretto rapporto con la sua vita di perfetta
obbedienza al Padre e con la sua totale docilità nel compiere la missione ricevuta.
Il
papa offre questa illuminante prospettiva: «La profondità della sua povertà si
rivela nella perfetta oblazione di tutto ciò che è suo al Padre» (VC 22).
Veramente Cristo mise se stesso e tutte le sue cose nelle mani del Padre (cf.
Lc 2,49; 23, 46). Egli offrì al Padre nel modo più incondizionato tutto ciò che
era e che aveva.
Cristo
è stato il sommo povero del Vangelo perché, per amore del Padre e dell’umanità
povera e bisognosa di redenzione, «spogliò (ekénosen) se stesso» (Fil 2,7):
svuotò se stesso di fronte al Padre. La realtà della sua carne e le realtà di
cui poteva disporre sono state consacrate totalmente al Padre: «Tutte le cose
mie sono tue» (Gv 17, 10).
Entro
questa cornice trovano il loro giusto posto e la loro armonia i particolari
sullo stato socio-economico di Gesù. Durante la vita pubblica egli vestiva in
modo decoroso (cf. Gv 19,23-24), accettava offerte (cf. Lc 8, 3) e decideva,
sempre in obbedienza al Padre, la destinazione concreta del contenuto di una
“cassa” (Gv 12,6; 13, 29). Questa cassa era una borsa comune, una borsa che
serviva alle finalità specifiche della nuova famiglia che Gesù, per volontà del
Padre, aveva inaugurato scegliendo i dodici.
Chi
professa la povertà evangelica volontaria si impegna a vivere in povertà come
Cristo. Non si può affermare che l’impegno di povertà è uguale per tutti i cristiani.
Non è vero, ad esempio, che nell’uso dei beni una persona consacrata può fare
tutto quello che è permesso a qualsiasi altro fedele. Ogni fedele, infatti,
partecipa alla povertà di Cristo secondo il programma delle comuni esigenze di
povertà del battesimo. Ma la persona consacrata vi partecipa, inoltre, con un
nuovo e speciale titolo di configurazione evangelica a Cristo povero: «Ogni
rigenerato in Cristo è chiamato a vivere (...) un ragionevole distacco dai
beni materiali (...). Ma il battesimo non comporta per se stesso (...) la
rinuncia al possesso dei beni (...) nella forma propria dei consigli
evangelici» (VC 30; cf. LG 46; PC 13).
In
virtù della sua norma di speciale sequela di Cristo, ogni persona consacrata
deve vivere come un “povero del Padre”. L’uso dei beni, nel caso delle persone
consacrate, è limitato e determinato dallo specifico carisma di speciale
consacrazione e di particolare missione consegnato dal Padre ai membri
dell’istituto.
La
vita consacrata, abbracciando con atteggiamento cristologico il consiglio
evangelico della povertà, è “memoria vivente” del Cristo povero.
MEMORIA
VIVENTE
DI
CRISTO ORANTE
Come
abbiamo visto, Cristo è il consacrato, l’obbediente, il casto e il povero per
eccellenza. Non possiamo, tuttavia, dimenticare che egli è anche il sommo
orante e il supremo missionario. Se si tralascia qualcuno di questi elementi
determinanti, si tradisce l’armonia e la bellezza della sua figura evangelica.
Esiste, infatti, una forte coesione tra i diversi aspetti della sua identità.
Non
è possibile, ad esempio, descrivere adeguatamente lo stile di vita e
l’apostolato di Cristo senza sottolineare l’importanza e la fecondità della sua
vita di preghiera. Proprio perché parlava spesso e intimamente col Padre, egli
riusciva a parlare con ardore e profondità del Padre alle persone. In certo
senso, egli può essere considerato il modello del programma spirituale e
apostolico del contemplata aliis tradere. Un tratto caratterizzante del Cristo
del Vangelo è di essere orante. Durante la vita pubblica, la preghiera era per
Gesù una consuetudine: «Al mattino si alzò quando ancora era buio e, uscito di
casa, si ritirò in un luogo deserto e là pregava» (Mc 1,35). «Gesù si ritirava
in luoghi solitari a pregare» (Lc 5,16).
Il
dialogo con il Padre, nella preghiera, era il modo con cui Gesù si preparava
alle grandi scelte: «In quei giorni Gesù se ne andò sulla montagna a pregare e
passò la notte in orazione. Quando fu giorno chiamò a sé i suoi discepoli e ne
scelse dodici ai quali diede il nome di apostoli» (Lc 6,12-13).
Gesù
insegnò ai suoi discepoli a pregare soprattutto con l’esempio. Fu proprio nel
contesto della sua prassi di orante che egli propose il suo insegnamento sulla
preghiera del Padre nostro: «Un giorno Gesù si trovava in un luogo a pregare e
quando ebbe finito uno dei discepoli gli disse: Signore, insegnaci a pregare,
come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli. Ed egli disse loro: Quando
pregate, dite: Padre, (...)» (Lc 11, 1-2).
Gesù
esercitò il ministero della parola nella docilità e nella lode al Padre (cf. Mt
11,25-26 Lc 10,21). Le stesse benedizioni alle persone erano per lui una forma
di preghiera (cf. Mt 19, 13-15; Mc 10, 13-16). Egli pose sotto il segno della
preghiera anche la sua attività taumaturgica. Davanti alla tomba di Lazzaro, ad
esempio, «Gesù alzò gli occhi e disse: Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato
(...). E detto questo, gridò a gran voce: Lazzaro, vieni fuori! » (Gv 11,
41-43).
I
racconti evangelici sulla cena pasquale sono una ricca testimonianza sul Gesù
orante (cf. Mc 14,22-24). Giovanni, da parte sua, ci ha tramandato la solenne
preghiera di Gesù nell’ultima cena (cf. Gv 17,1-26), una densa preghiera di
lode, di offerta e di supplica.
Il
quadro più espressivo e dettagliato della preghiera di Gesù è quello del
Getsemani: «inginocchiatosi» (Lc 22,41), pregava intensamente. Marco ha
conservato l’originale aramaico della sua ripetuta invocazione: «Abbà, Padre!»
(Mc 14, 36).
Anche
sulla croce Gesù proseguì la sua esperienza e il suo insegnamento sulla preghiera
(cf. Mt 27,46; Mc 15,34; Lc 23,34.46).
Ogni
fedele trova nel Cristo orante il modello supremo e insuperabile della sua vita
di preghiera. Ogni cristiano deve ispirarsi all’esempio del Cristo in preghiera
per rimanere fedele al programma di santità e di missione del battesimo.
Chiamate
a seguire e imitare in maniera speciale il Cristo, le persone consacrate devono
conformarsi in modo peculiare non solo al Cristo consacrato e missionario, ma
anche al Cristo orante. Esse devono essere nella Chiesa la presenza viva del
Cristo obbediente, casto e povero, e anche la presenza viva del Cristo orante:
«Le persone consacrate, infatti, hanno il compito di rendere presente anche tra
i non cristiani (cf. LG 46; EN 69) il Cristo casto, povero, obbediente, orante e
missionario» (cf. LG 44;46; VC 77).
L’esercizio
di una preghiera assidua, intensa e ben programmata secondo il carisma dei
singoli istituti (cf. VC 9; 32) è un elemento indispensabile nel quadro di ogni
forma di vita consacrata.
Il
tempo del noviziato è il periodo più appropriato per una intensa formazione
alla configurazione con il Cristo orante.
Per
la peculiare forza evangelica e cristologica della sua testimonianza di
preghiera la vita consacrata è “memoria vivente” del Cristo orante.
MEMORIA
VIVENTE
DI
CRISTO MISSIONARIO
Per
descrivere l’identità e la spiritualità del missionario è necessario illustrare
il campo semantico della parola. In italiano, ad esempio, hanno
fondamentalmente lo stesso significato biblico questi cinque termini di origine
greca e latina: apostolo, messo, missionario, mandato, inviato.
Nella
sacra Scrittura, quando il termine è usato in senso religioso, il soggetto
mandante è Dio. La missione è prima di tutto una realtà ricevuta da Dio. È lui
che, conferendo la missione, crea l’identità del missionario. Una persona non
può presentarsi come apostolo o missionario di Dio se non è stata inviata da
lui. Ogni missionario deve accettare le condizioni e le regole di comportamento
stabilite da Dio.
Certo,
Dio rispetta la libertà e la responsabilità del suo inviato. Gli chiede un
coinvolgimento personale nell’adempimento della missione. Vuole che diventi
collaboratore o soggetto agente nella realizzazione della missione.
Questa
dinamica biblica, teologica e spirituale del missionario è quella che troviamo
anche nella figura evangelica di Cristo. I testi neotestamentari indicano,
infatti, che Cristo può giustamente essere definito il missionario del Padre
(VC 22a; 77), l’apostolo del Padre (VC 9), mandato nel mondo (VC 72), inviato
al mondo (VC 72), inviato in missione (VC 76).
Cristo
si è proclamato apostolo di Dio, inviato per compiere nel suo nome e con la
forza dello Spirito la missione di profeta e di evangelizzatore (cf. Lc
4,18-19).
Nella
parabola dei vignaioli, egli si presenta come l’inviato-Figlio (cf. Mt
21,33-37). Cristo è l’apostolo della pienezza del tempo: «Quando venne la
pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio» (Gal 4, 4-5; cf. Rm 8,3). Ogni
cristiano deve avere un atteggiamento di fede, amore e suprema fedeltà al “Figlio”
(Eb 1,2), apostolo (Eb 3, 1) della nuova alleanza (cf. Eb 8,6).
La
sorgente del movimento apostolico si trova in Dio Padre, e più concretamente
nel suo amore misericordioso. In perfetta sintonia col Padre, il Figlio si fa
apostolo per amore verso l’umanità, per portare agli esseri umani la vita
eterna: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito,
perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha
mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi
per mezzo di lui» (Gv 3, 16-17).
La
missione apostolica di Gesù non può essere ridotta solo alla sua attività di
predicatore o taumaturgo. Tutta la sua vita di testimonianza di amore e di
servizio rientra nella categoria del suo apostolato.
Questa
testimonianza raggiunge il grado più alto nell’ora del sacrificio supremo a
favore dell’umanità. Sulla croce Gesù risplende come il più grande
apostolo-martire dell’amore verso il Padre e verso l’umanità.
Ogni
fedele deve realizzare la missione affidatagli dalla Trinità nel battesimo.
Affermare, tuttavia, che tra i membri del popolo di Dio non esiste diversità
nella missione, perché tutti i cristiani hanno una stessa e identica missione,
significa non rispettare né i dati biblici, né l’insegnamento della Chiesa
sulla missione.
Le
persone consacrate sono chiamate, con speciale vocazione (VC 14) a una vita di
totale conformazione (VC 18) a colui che il Padre ha consacrato e mandato nel
mondo (Gv l0, 36) e che è insieme il consacrato alla gloria del Padre e
l’inviato al mondo per la salvezza dei fratelli e delle sorelle (VC 72). In
armonia quindi con la loro speciale consacrazione (VC 30; 31), le persone
consacrate ricevono e compiono una speciale missione (VC 17a; 35c), una
missione peculiare (VC 31), che ha un particolare carattere positivo ed
eminentemente cristologico: «Nella loro chiamata è quindi compreso il compito
di dedicarsi totalmente alla missione; anzi la stessa vita consacrata (...)
diventa missione, come lo è stata tutta la vita di Gesù» (VC 72).
Quanto
più perfetta è la configurazione della persona consacrata a Cristo apostolo,
tanto più feconda diventa la sua presenza apostolica: «Più ci si lascia
conformare a Cristo più lo si rende presente e operante nel mondo per la
salvezza degli uomini» (VC 72). Quanto più ci si lascia configurare a Cristo
servo, tanto meglio si esercita il servizio apostolico: «La vita consacrata
dice eloquentemente che quanto più si vive di Cristo, tanto meglio lo si può
servire negli altri» (VC 76).
La
varietà del mistero del Cristo-apostolo è la fonte immediata e inesauribile
dei carismi apostolici nella Chiesa. Un singolo fondatore o un singolo
istituto non possono abbracciare tutta la ricchezza di tale mistero. È necessario
saper coltivare con cura il particolare dono cristologico ricevuto e dedicare
le proprie energie e la propria organizzazione a rappresentare con particolare
incisività qualcuno o alcuni degli aspetti del multiforme mistero del Cristo
apostolo. Per esempio: alcune persone consacrate si dedicano in modo specifico
a testimoniare «la misteriosa fecondità apostolica» (VC 8) del Cristo orante
(cf. VC 8; 14; 24; 32); altre, chinandosi sulla sofferenza umana, offrono una
limpida testimonianza di Cristo, divin samaritano (VC 83), che nel suo
ministero di misericordia rivelò all’umanità sofferente l’amore misericordioso
del Padre; altre, sono la presenza viva del Cristo maestro (cf. VC 96; 97).
In
questo senso, le persone consacrate sono chiamate a rendere presente nella
Chiesa lo splendore evangelico della forma di vita missionaria di Cristo. «Le
persone consacrate, infatti, hanno il compito di rendere presente (...) il
Cristo casto, povero, obbediente, orante e missionario» (cf. LG 44; 46; VC 77).
La vita consacrata, quindi, è “memoria vivente” anche del Cristo missionario.
NEL
DINAMISMO
DELLO
SPIRITO SANTO
Dopo
la Pentecoste, la forma di vita di Cristo continuò a essere presente nella
apostolica vivendi forma, testimoniata nella Chiesa sotto l’azione dello
Spirito Santo. E tale forma di vita non scomparve nemmeno con la morte
dell’ultimo degli apostoli: «Lungo i secoli non sono mai mancati uomini e donne
che, docili alla chiamata del Padre e alla mozione dello Spirito, hanno scelto
questa via di speciale sequela di Cristo, per dedicarsi a lui con cuore
indiviso»(cf. 1 Cor 7,34). Anch’essi hanno lasciato ogni cosa, come gli
apostoli, per stare con lui e mettersi, come lui, al servizio di Dio e dei
fratelli» (VC 1; cf. 14; 22).
Ogni
cristiano riceve dalla «Trinità santa e santificante» (VC 21) il dono
fondamentale della grazia sacramentale del battesimo. Ma la persona consacrata,
chiamata ad attuare un programma di vita di nuova e speciale consacrazione (VC
31) e di speciale missione (VC 17; 35), riceve inoltre uno specifico dono dello
Spirito Santo (VC 30), cioè un particolare dono dello Spirito, che apre a nuove
possibilità e frutti di santità e di apostolato (VC 30).
Le
persone consacrate, infatti, sono chiamate a vivere come persone cristiformi
(VC 19) e tale esistenza cristiforme (VC 14) è possibile solo (...) in forza di
un peculiare dono dello Spirito (VC 14). Perciò la persona chiamata alla vita
consacrata «deve aprire lo spazio della propria vita all’azione dello Spirito
Santo» (VC 65): «È lo Spirito che suscita il desiderio di una risposta piena; è
lui che guida la crescita di tale desiderio, portando a maturazione la
risposta positiva e sostenendone poi la fedele esecuzione; è lui che forma e
plasma l’animo dei chiamati, configurandoli a Cristo casto, povero e obbediente
e spingendoli a far propria la sua missione. Lasciandosi guidare dallo Spirito
in un incessante cammino di purificazione, essi diventano, giorno dopo giorno,
persone cristiformi, prolungamento nella storia di una speciale presenza del
Signore risorto» (VC 19).
Grazie
alla potenza dello Spirito della Pentecoste, la persona consacrata diventa
profondamente missionaria, perché «la persona che dalla potenza dello Spirito è
condotta progressivamente alla piena configurazione a Cristo» (VC 19) riesce ad
«amare col cuore di Cristo» (VC 75) e a mettersi, come lui, a servizio degli
uomini (VC 75).
«La
vita nello Spirito ha un suo ovvio primato» (VC 71) nella formazione iniziale
e permanente delle persone consacrate. Per le persone consacrate, vivere nello
Spirito o secondo lo Spirito significa coltivare con grande impegno una
peculiare spiritualità: «Possiamo dire che la vita spirituale, intesa come vita
secondo lo Spirito, si configura come un itinerario di crescente fedeltà, in
cui la persona consacrata è guidata dallo Spirito e da lui configurata a
Cristo» (VC 93).
Per
vivere in pienezza le caratteristiche della propria identità spirituale, non
basta avere presenti soltanto gli elementi spirituali comuni della vita
consacrata. Ogni persona consacrata deve coltivare con amore tutti gli elementi
che generano la peculiare spiritualità (VC 93) del proprio istituto, i suoi
spirituali tratti specifici (VC 36), i doni spirituali ricevuti da fondatori e
fondatrici (VC 48; cf. 94), cioè i doni che, «come tali, costituiscono un’esperienza
dello Spirito trasmessa ai propri discepoli per essere da questi vissuta,
custodita, approfondita e costantemente sviluppata in sintonia con il corpo di
Cristo in perenne crescita» (MR 11; VC 48).
Solo
nella docilità e nella crescente fedeltà allo Spirito della Pentecoste
potranno le persone consacrate realizzare l’auspicata «grande storia da
costruire» (VC 110a).
NELLA
LUCE
DELLA
RIVELAZIONE
L’identità
della vita consacrata non può essere stabilita con criteri di carattere
filosofico o sociologico. Le sue note caratteristiche possono essere delineate
solo accogliendo la pienezza della divina rivelazione, avvenuta in Cristo.
I
consacrati non sono degli esaltati che, per un fanatismo incontrollato,
cercano di vivere al di fuori o al di sopra dei valori della rivelazione di
Cristo e del suo Vangelo. Sono, invece, dei cristiani che, docili al Padre e
mossi dallo Spirito Santo, cercano di trasmettere umilmente di generazione in
generazione gli evangelici tratti caratteristici del Cristo consacrato,
obbediente, casto, povero, orante e missionario.
Le
persone consacrate non ritengono che il loro modo di vivere sia l’unico modo
corretto di vivere la vita cristiana. Non contestano la piena legittimità delle
altre forme di vita nella Chiesa. Rispettano pienamente, ad esempio, la vita
dei loro fratelli e delle loro sorelle di battesimo che vivono santamente nel
matrimonio.
I
consacrati, in fondo, aspirano a essere degli umili portatori di acqua:
rispondendo alla chiamata di Dio e sorretti dalla grazia divina, vogliono portare
nella fragilità della loro carne, a lode della Trinità e per il bene dell’umanità,
l’acqua cristallina della forma di vita di Cristo; vogliono, cioè, essere
“memoria vivente” del rivelato modo di esistere e di agire di Gesù.
Le
costituzioni devono essere una preziosa sintesi dell’identità spirituale per i
membri degli istituti di vita consacrata.
Nel
1965 il concilio diede agli istituti il seguente orientamento: «Le
costituzioni, i direttori (...) siano convenientemente riveduti e (...) vengano
adattati in base ai documenti emanati da questo sacro concilio» (PC 3). In base
a questo orientamento, Paolo VI stabilì, nel motu proprio Ecclesiae Sanctae (6
agosto 1966), che le costituzioni dovessero contenere non solo le norme giuridiche
necessarie, ma anche, e in primo luogo, i «principi evangelici e teologici
della vita religiosa» (ES II, 12) e le espressioni adatte per trasmettere il
patrimonio spirituale di ciascun istituto (cf. ES II, 12).
Il
nuovo Codice di Diritto Canonico (25 gennaio 1983) confermò l’importanza della
presenza nelle costituzioni degli elementi spirituali (CIC 587,3), e
soprattutto degli elementi cristologici.
Nelle
costituzioni deve essere presente la norma della sequela di Cristo. Tale
sequela deve essere espressa, inoltre, non in qualsiasi modo, ma in modo tale
che (cf. PC 2), nell’insieme delle molteplici regole, norme o disposizioni del
testo costituzionale, essa sia la regola suprema (cf. CIC 662). Il libro delle
costituzioni, quindi, deve avere nella sequela di Cristo il centro e la
sorgente della sua armonia.
L’esortazione
apostolica Vita consecrata (25 marzo 1996) «ha saputo esprimere con chiarezza
e profondità la dimensione cristologica ed ecclesiale della vita consacrata in
una prospettiva teologica trinitaria che illumina di nuova luce la teologia
della sequela e della consacrazione, della vita fraterna in comunità e della
missione» (RdC 3).
Secondo
questi orientamenti; la dimensione cristologica della vita consacrata presente
nelle costituzioni deve essere approfondita e illuminata da una prospettiva
esplicitamente trinitaria. Per scoprire il senso più genuino della vita
consacrata, infatti, bisogna risalire alle sue sorgenti cristologico-trinitarie
(VC 14t). Alcuni istituti hanno fatto in questi ultimi anni una revisione del
loro testo costituzionale, chiarificandolo e rafforzandolo anche secondo gli
orientamenti cristologici e trinitari di Vita consecrata. Altri istituti dispongono di un testo
approvato circa una quindicina di anni fa, un testo che ordinariamente è meno
esplicito nella presentazione degli elementi cristologici trinitari della
identità spirituale dei membri dell’istituto. In ogni caso, è sempre opportuno
esaminare in quale misura sono presenti nelle costituzioni, ad esempio, la dimensione
cristologica e la dimensione pneumatologica.
I
tratti determinanti della vita spirituale dei membri dell’istituto devono
essere chiaramente fondati nella divina rivelazione, e più concretamente nella
forma di vita di Cristo, nel suo modo di esistere e di agire per la gloria del
Padre e il bene dell’umanità.
È
opportuno allora domandarsi: si afferma chiaramente nelle costituzioni degli
istituti di vita consacrata che i loro membri devono essere consacrati come
Cristo, obbedienti come Cristo, casti come Cristo, poveri come Cristo, oranti
come Cristo e missionari come Cristo?
Cristo
è il supremo consacrato dal Padre e il supremo consacrato al Padre: è colui che
è stato consacrato dal Padre e colui che, accogliendo tale consacrazione, ha
consacrato totalmente se stesso al Padre. Giova perciò farsi al riguardo alcune
domande. Sono presenti nelle costituzioni la forza e l’armonia di questi due
aspetti evangelici della consacrazione di Cristo e della consacrazione dei
membri dell’istituto? è scritto nelle costituzioni che ogni membro
dell’istituto partecipa al mistero del Cristo consacrato in virtù della
consacrazione battesimale e in virtù della nuova e speciale consacrazione della
vita consacrata?.
Cristo
è stato costituito apostolo e missionario dal Padre ed egli ha compiuto
docilmente la missione che aveva ricevuto. In Cristo troviamo dunque
l’espressione suprema dei due elementi della figura evangelica del missionario.
In quale misura sono presenti nelle costituzioni questi due elementi? la
speciale missione dei membri dell’istituto è proposta nelle costituzioni come
speciale partecipazione al mistero del Cristo apostolo e missionario?
Nella
storia della Chiesa, gli autentici rappresentanti della apostolica vivendi
forma sono stati “memoria vivente” di Cristo nella luce e nella forza dello
Spirito Santo, cioè nel dinamismo dello Spirito Santo della Pentecoste. Quale
posto, quali riferimenti sono dedicati allo Spirito Santo nelle costituzioni?
viene specificato in esse, ad esempio, che la vita spirituale, che è vita nello
Spirito, richiede da ogni membro dell’istituto non solo una condotta morale in
armonia con i doni ricevuti dallo Spirito nel battesimo, ma anche la
coltivazione di un particolare dono dello Spirito, che apre a nuove possibilità
e frutti di santità e di apostolato? (VC 30).
La
Chiesa e il mondo hanno bisogno nel nostro tempo di uomini e donne che,
lasciandosi configurare a Cristo dal Padre, che è il formatore per eccellenza,
e vivendo come persone cristiformi nel dinamismo dello Spirito Santo della Pentecoste,
siano per tutti, secondo il carisma del proprio istituto, una presenza viva del
Cristo consacrato, obbediente, casto, povero, orante e missionario.
Dobbiamo
pertanto chiedere alla santissima Trinità che invii alla sua vigna persone
consacrate, affinché anche nel nuovo millennio la vita consacrata risplenda
come «memoria vivente del modo di esistere e di agire di Gesù come Verbo incarnato
di fronte al Padre e di fronte ai fratelli» (VC 22).
p. Angel Pardilla, cmf