ALESSANDRINA
MARIA DA COSTA, BEATA
UNA
MISTICA DEI NOSTRI TEMPI
Costretta a
letto per trent’anni, dal 1938 al 1942 visse ogni venerdì, per 182 volte, le
sofferenze della passione di Cristo. Negli ultimi tredici anni della vita, suo
unico nutrimento fu l’eucaristia. Il suo programma di vita: “soffrire, amare,
riparare”.
Domenica
25 aprile Giovanni Paolo II ha proclamato beata Alessandrina Maria da Costa
(1904-1955), laica, dell’Unione dei cooperatori salesiani. Assieme a lei sono
stati beatificati anche Augusto Czartoryski (1858-1893) sacerdote salesiano;
Laura Montoya (1874-1949), fondatrice delle Missionarie di Maria Immacolata e
di santa Caterina da Siena; Maria Guadalupe García Zavala (1878-1963),
cofondatrice delle Ancelle di santa Margherita Maria e dei Poveri; Nemesia
Valle (1847-1916), delle suore di Santa Giovanna Antida Thouret; Eusebia
Palomino Yenes (1899-1935) delle Figlie di Maria Ausiliatrice.
Nel
corso dell’omelia, il papa, riferendosi in particolare ad Alessandrina da
Costa, collegandosi alla domanda rivolta da Gesù a Simon Pietro «Mi ami tu?» e
alla risposta dell’apostolo «Certo, Signore, tu lo sai che ti amo», ha così
brevemente sintetizzato la sua spiritualità: «La vita della beata Alessandrina
Maria da Costa può riassumersi in questo dialogo di amore. Permeata e ardente
di queste ansie d’amore, non vuole negare nulla al suo Salvatore: forte di
volontà, accetta tutto per mostrargli che lo ama. Sposa di sangue, rivive
misticamente la passione di Cristo e si offre come vittima per i peccatori,
ricevendo la forza dall’eucaristia che diventa l’unico cibo dei suoi ultimi
tredici anni di vita».
I
PRIMI
ANNI
DI VITA
Ma
chi è Alessandrina Maria da Costa?1 Alessandrina nacque a Balasar (Póvoa de
Varzim, arcidiocesi di Braga, in Portogallo) il 30 marzo 1904, e fu battezzata
il 2 aprile seguente, sabato santo. Venne educata cristianamente dalla mamma,
insieme alla sorella Deolinda. Alessandrina rimase in famiglia fino a sette
anni, poi fu inviata a Póvoa de Varzim in pensione presso la famiglia di un
falegname, per poter frequentare la scuola elementare che a Balasar mancava.
Qui fece la prima comunione nel 1911, e l’anno successivo ricevette il
sacramento della confermazione dal vescovo di Oporto.
Dopo
diciotto mesi tornò a Balasar e andò ad abitare con la mamma e la sorella nella
località “Calvario”, dove resterà fino alla morte.
Cominciò
a lavorare nei campi, avendo una costituzione robusta: teneva fronte agli
uomini e guadagnava quanto loro. La sua fu una fanciullezza molto vivace:
dotata di un temperamento felice e comunicativo, era molto amata dalle
compagne. A dodici anni però si ammalò: una grave infezione (forse una febbre
intestinale tifoidea) la portò a un passo dalla morte. Superò il pericolo, ma
il fisico resterà segnato per sempre da questo episodio.
Fu
all’età di quattordici anni che avvenne un fatto decisivo per la sua vita. Era
il sabato santo del 1918. Quel giorno lei, la sorella Deolinda e una ragazza
apprendista erano intente nel loro lavoro di cucito, quando si accorsero che
tre uomini tentavano di entrare nella loro stanza. Nonostante le porte fossero
chiuse, i tre riuscirono a forzare le porte ed entrarono. Alessandrina, per
salvare la sua purezza minacciata, non esitò a gettarsi dalla finestra, da
un’altezza di quattro metri. Le conseguenze furono terribili, anche se non
immediate. Infatti le varie visite mediche a cui fu sottoposta successivamente
diagnosticarono con sempre maggiore chiarezza un fatto irreversibile.
Fino
a diciannove anni poté ancora trascinarsi in chiesa, dove, tutta rattrappita,
sostava volentieri, con grande meraviglia della gente. Poi la paralisi andò
progredendo sempre di più, finché i dolori divennero terribili, le
articolazioni persero i loro movimenti ed essa restò completamente paralizzata.
Era il 14 aprile 1925, quando Alessandrina si mise a letto per non rialzarsi
più, per i restanti trent’anni della sua vita.
SUL
LETTO
DEL
DOLORE
Fino
al 1928 Alessandrina non smise di chiedere al Signore, mediante l’intercessione
della Madonna, la grazia della guarigione, promettendo che, se fosse guarita,
sarebbe andata missionaria. Ma, appena capì che la sofferenza era la sua
vocazione, l’abbracciò con prontezza. Diceva: «Nostra Signora mi ha fatto una
grazia ancora maggiore. Prima la rassegnazione, poi la conformità completa alla
volontà di Dio, ed infine il desiderio di soffrire».
Risalgono
a questo periodo i primi fenomeni mistici, quando Alessandrina iniziò una vita
di grande unione con Gesù nei tabernacoli, per mezzo di Maria santissima. Un
giorno in cui si trovava sola, le venne improvvisamente questo pensiero: «Gesù,
tu sei prigioniero nel tabernacolo e io nel mio letto per la tua volontà. Ci
faremo compagnia». Da allora cominciò la prima missione: essere come la lampada
del tabernacolo. Passava le sue notti come pellegrinando di tabernacolo in
tabernacolo. In ogni messa si offriva all’Eterno Padre come vittima per i
peccatori, insieme a Gesù e secondo le sue intenzioni.
Cresceva
in lei sempre più l’amore alla sofferenza, a mano a mano che la vocazione di
vittima si faceva sentire in maniera più chiara. Emise il voto di fare sempre
quello che fosse più perfetto.
Dal
venerdì 3 ottobre 1938 al 24 marzo 1942, ossia per 182 volte, visse ogni
venerdì le sofferenze della passione di Cristo. Alessandrina, superando lo
stato abituale di paralisi, scendeva dal letto e con movimenti e gesti
accompagnati da angosciosi dolori, riproduceva i diversi momenti della Via
Crucis, per tre ore e mezzo.
“Amare,
soffrire, riparare” fu il programma che le indicò il Signore. Dal 1934 – su
invito del padre gesuita Mariano Pinho, che la diresse spiritualmente fino al
1941 – Alessandrina mise per iscritto quanto volta per volta le diceva Gesù.
Nel
1936, per ordine di Gesù, chiese al santo padre, per mezzo del padre Pinho, la
consacrazione del mondo al Cuore immacolato di Maria. Questa supplica fu più
volte rinnovata fino al 1941, per cui la Santa Sede interrogò tre volte
l’arcivescovo di Braga su Alessandrina. Il 31 ottobre 1942 Pio XII consacrò il
mondo al Cuore immacolato di Maria con un messaggio trasmesso a Fatima in
lingua portoghese. Questo atto lo rinnovò a Roma nella basilica di san Pietro
l’8 dicembre dello stesso anno.
Dal
27 marzo 1942 in poi Alessandrina cessò di alimentarsi, vivendo solo di
eucaristia. Nel 1943 per quaranta giorni e quaranta notti furono strettamente
controllati da valenti medici il digiuno assoluto e l’anuria, nell’ospedale di
Foz de Douros presso Oporto.
Nel
1944 il nuovo direttore spirituale, il salesiano don Umberto Pasquale,
incoraggiò Alessandrina, perché continuasse a dettare il suo diario, dopo aver
constatato le altezze spirituali a cui era pervenuta; ciò che essa fece con
spirito di obbedienza fino alla morte. Nello stesso anno 1944, Alessandrina si
iscrisse all’Unione dei cooperatori salesiani. Volle collocare il suo diploma
di cooperatrice “in luogo da poterlo avere sempre sotto gli occhi”, per
collaborare col suo dolore e con le sue preghiere alla salvezza delle anime,
soprattutto giovanili. Pregò e soffrì per la santificazione dei cooperatori di
tutto il mondo.
Nonostante
le sue sofferenze, ella continuava inoltre a interessarsi e ingegnarsi a favore
dei poveri, del bene spirituale dei parrocchiani e di molte altre persone che a
lei ricorrevano. Promosse tridui, quarant’ore e quaresimali nella sua
parrocchia.
Specialmente
negli ultimi anni di vita, molte persone accorrevano a lei anche da lontano,
attratte dalla fama di santità; e parecchie attribuivano ai suoi consigli la
loro conversione.
Nel
1950 Alessandrina festeggia il XXV della sua immobilità. Il 7 gennaio 1955 le
viene preannunciato che quello sarebbe stato l’anno della sua morte. Il 12
ottobre volle ricevere l’unzione degli infermi. Il 13 ottobre, anniversario
dell’ultima apparizione della Madonna a Fatima, la si sentì esclamare: «Sono felice,
perché vado in cielo». Alle 19,30 spirò. A Oporto nel pomeriggio del 15 ottobre
i fiorai rimasero privi di rose bianche: tutte vendute. Un omaggio floreale ad
Alessandrina, che era stata la rosa bianca di Gesù.
Nel
1978 le sue spoglie vennero traslate dal cimitero alla chiesa parrocchiale di
Balasar, dove oggi – in una cappella laterale – riposano. Sulla sua tomba si
leggono queste parole da lei stessa volute: «Peccatori, se le ceneri del mio
corpo possono essere utili per salvarvi, avvicinatevi, passatevi sopra,
calpestatele fino a che spariscano. Ma non peccate più; non offendete più il
nostro Gesù!». È la sintesi della sua vita spesa esclusivamente per salvare le
anime.
IL
MESSAGGIO
DI
ALESSANDRINA
Alessandrina
è una figura esemplare. È il messaggio vivente di cui hanno bisogno i cristiani
di oggi, in special modo chi si impegna a vivere nel valore della laicità un
servizio al Signore, alla Chiesa e alla società.
Molte
volte prevalgono, anche in chi crede, sentimenti di scoraggiamento, di apatia,
di disinteresse, insieme alla ricerca di surrogati ed evasioni. Alessandrina
offre con la sua vita uno stimolo, una motivazione per nobilitare – soprattutto
presso i giovani – ciò che la vita presenta di doloroso e di triste. Il suo
amore all’eucaristia e alla Madonna e la sua vita interiore, giunta ai livelli
più alti della mistica, raccomandano a tutti il “programma” della santità, che
è Cristo stesso, da conoscere, amare, imitare (cf. Novo millennio ineunte 29).
È chiaro che si tratta qui del “conoscere” mistico: è il conoscere
dell’apostolo, che poggia il capo sul cuore di Gesù.
Di
fatto, insieme alla francese Marthe Robin (1902-1981) e alla tedesca Teresa
Neumann (1898-1962), delle quali è in corso la causa di beatificazione,
Alessandrina è una “perla” nella storia della santità e della mistica femminile
del XX secolo, specialmente per la ricchezza spirituale che ha lasciato
attraverso le numerose pagine del suo diario, vera scuola nella “spiritualità
della riparazione”. Sono pagine che attingono la loro forza dall’amore
appassionato di Cristo per il Padre e per le anime, e che nella morte di croce
raggiunge il suo apice.
Sul
piano dell’esperienza mistica ciò che accomuna queste tre donne non è solo la
vocazione vittimale per la salvezza delle anime, fino a rivivere nel proprio
corpo la passione di Cristo, ma il fatto che esse vissero in digiuno totale,
nutrendosi di sola eucaristia per un lunghissimo tempo: per cinquant’anni
Marthe Robin, per trentasei Teresa Neumann e per tredici Alessandrina.
Bisogna
spiegare infine come Alessandrina viveva il mistero della tentazione e della
sofferenza.
A
questo riguardo, è sufficiente citare la testimonianza del padre Mariano Pinho,
il primo direttore spirituale di Alessandrina, il quale così scrive: «Ricordo
che una mattina celebrai la messa nella cameretta di Alessandrina, mettendo
come prima intenzione la liberazione di Alessandrina dalle persecuzioni del
demonio, senza aver detto nulla all’ammalata. Alla fine della messa, mi
avvicinai ad Alessandrina, che senz’altro mi dichiarò: “Il Signore mi disse che
non può concederle quanto ha chiesto, perché ha bisogno di queste mie
sofferenze per aiutare i peccatori”. Allora la interrogai: “Ma che cosa ho
chiesto al Signore?”. Lei mi rispose: “Che mi liberi da questi attacchi del
demonio”. “E lei non vuole che io chieda questa grazia e che il Signore le dia
altre sofferenze al posto di queste?”. “No, padre, preghi piuttosto che si
faccia in tutto la volontà di Dio”».
Alessandrina
è senza dubbio una delle più grandi mistiche del secolo XX. Il papa
proclamandola beata ha detto: «Nell’esempio della beata Alessandrina espresso
nella trilogia “soffrire, amare, riparare” i cristiani possono trovare lo
stimolo e la motivazione per nobilitare tutto ciò che la vita ha di doloroso e
di triste attraverso la prova d’amore più grande: sacrificare la vita per chi
si ama».
Enrico dal Covolo, sdb
1
Per una bibliografia essenziale in lingua italiana segnaliamo:
PASQUALE
Umberto, Alexandrina Maria da Costa, Elle Di Ci, Torino 1960.
SIGNORILE
Eugenia e Chiaffredo (a cura), Alexandrina Maria da Costa, Figlia del dolore
madre di amore (quasi una autobiografia), Mimep-Docete, Milano 1990.
AMORTH
Gabriele, Dietro un sorriso. Alessandrina Maria da Costa, Edizioni Paoline,
Cinisello Balsamo 1992.
SCRIMIERI
PEDRIALI Maria Rita (a cura), Venerabile Alexandrina M. da Costa , “...come
l’ape, di fiore in fiore...”. L’opera di amore e di riparazione a Gesù
eucaristico, Elle Di Ci, Leumann (Torino) 1999.
PASQUALE
Umberto, Alexandrina Maria da Costa lampada d’amore, Elle Di Ci, Leumann
(Torino) 2004.