ELEZIONE DEL NUOVO PARLAMENTO EUROPEO

UN VOTO PER L’EUROPA

 

È un dovere civico. Disertare i seggi, per leggerezzae senza gravi motivi, indicherebbe scarsa sensibilità sotto il profilo della cittadinanza e anche sotto il profilo etico. L’importanza di scegliere rappresentanti autorevoli per competenza, onestà e motivazioni religiose serie.

 

La maggioranza della popolazione europea – 453 milioni di persone, di venticinque stati – sarà chiamata nel giro di tre giorni (10-13 giugno) ai seggi elettorali per eleggere i 732 membri del nuovo parlamento di Strasburgo. Queste elezioni coincideranno, per una parte considerevole della popolazione italiana, con le elezioni amministrative: la coincidenza dei due eventi rischia di attenuare l’attenzione dovuta all’orizzonte europeo. Tanto più che l’entusiasmo per l’Europa, esploso in occasione dell’avvio dell’euro, si è poi fortemente raffreddato per una serie di ragioni.

Un riflesso di questo calo di attenzione si è potuto verificare il primo maggio, in occasione dell’allargamento dell’Unione. L’evento è stato salutato con grandi feste dai nuovi paesi membri, ma è stato vissuto in sordina e quasi con preoccupazione nel nostro paese. Pertanto la doverosa attenzione all’appuntamento elettorale europeo, va considerato un cammino in salita.

 

NEL MONDO

COME LUCE E LIEVITO

 

L’esigenza di un ricupero di interesse e di attenzione ai problemi europei, da parte della comunità cristiana, è legata a motivi di carattere generale e a motivi specifici più congiunturali.

C’è anzitutto un dovere di presenza, che scaturisce dalla vocazione originaria della chiesa, a essere luce del mondo e lievito di una umanità sempre rinnovata. Essa non può in nessun momento sentirsi estranea ai problemi della storia, senza tradire la propria identità. Come il Verbo, incarnandosi, si è unito a ogni uomo, così la Chiesa è chiamata ad assumere come proprie «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono» (GS 1).

La presenza della Chiesa non può essere neutra né asettica, bensì finalizzata a «contribuire dall’interno, a modo di fermento, alla santificazione del mondo» (LG 31). Tale presenza sarà possibile ed efficace solo a condizione che i credenti abbiano il coraggio, la costanza e l’umiltà di costruire giorno per giorno, accanto agli uomini di buona volontà, il benessere integrale di tutti e di ciascuno. Questo a ogni livello, da quello locale a quello regionale, da quello nazionale a quello europeo e mondiale.

Il Vangelo ha molto da dire all’Europa, che oggi va completando la propria unificazione. Essa però sembra non sentirne il bisogno. Di qui il richiamo insistente e quasi angosciato del santo padre e la sua richiesta di inserire, nel testo della costituzione, un richiamo esplicito a Dio e alle radici cristiane dell’Europa. Una risposta positiva al desiderio del papa sarebbe un segno di onestà e di rispetto della verità storica, e costituirebbe uno stimolo permanente a non tradire mai nelle scelte politiche, economiche, culturali, l’ispirazione valoriale che ha sorretto le menti illuminate dei fondatori della unificazione europea, che rispondono ai nomi di De Gasperi, Adenauer, Shuman, Monet, Spaak...

Però, al di là del richiamo formale inserito nella carta costituzionale, sarà dovere preciso dei cattolici eletti nel parlamento europeo, di vigilare affinché siano rispettati nel cammino concreto dell’Unione quei valori che, proprio perché cristiani, appartengono alla più autentica umanità.

Si pensi a quanto importante sarà la presenza di rappresentanti autorevoli per competenza, onestà, motivazioni religiose serie, quando verranno affrontati temi collegati con la dignità della persona umana (diritto alla vita, clonazione riproduttiva, utilizzo del corpo o di sue parti a fini di lucro, eutanasia...), la famiglia (famiglia di fatto, unioni omosessuali, la difesa dei minori nel loro diritto alla famiglia...), la libertà religiosa e il rapporto fra religioni, la corretta impostazione del principio di sussidiarietà...

 

UN RINNOVATO

IMPEGNO

 

Le grandi scelte dell’Unione Europea non ricadranno soltanto nei singoli membri che la compongono ma avranno senza dubbio un’influenza anche in altre parti del mondo, grazie al crescente peso politico e alla lunga tradizione culturale e storica del vecchio continente.

Accanto a queste esigenze generali, esistono già oggi, ed esisteranno presumibilmente sempre più nell’Europa allargata, una serie di fenomeni congiunturali, che sollevano interrogativi etici, giacché rischiano di compromettere la dignità e lo sviluppo della persona, e che, pertanto chiamano in causa anche la responsabilità dei cristiani e della comunità cristiana. Ne richiamiamo alcuni dei più significativi.

 

Flessibilità e precarietà del lavoro

 

Fino a ieri, la prospettiva e l’aspirazione normale di un giovane che si affacciava al mondo del lavoro era il “posto fisso”. Nel nuovo contesto, guidato dal processo di globalizzazione, che consente e talvolta impone la delocalizzazione delle aziende in paesi dove la mano d’opera è meno cara e le leggi sulla sicurezza meno esigenti – dal solo nord-est circa 3000 aziende si sono spostate in Romania – la possibilità di lavoro è condizionata dalla disponibilità del lavoratore a rapidi e frequenti cambiamenti e dalla sua capacità di riqualificazione.

Sono perciò da considerare quasi normali: periodi di discontinuità lavorativa e quindi periodi di disoccupazione, cambiamenti di sede, adattamento a lavori occasionali, anche se di qualità inferiore al grado di professionalità del lavoratore.

Questa precarietà del mercato del lavoro mette in discussione, in prospettiva, la possibilità di maturare una pensione adeguata al fabbisogno, ma nel vissuto quotidiano di un giovane rende difficile anche la possibilità di formarsi una famiglia, di aprire un mutuo per la casa e talvolta toglie il senso stesso della sicurezza.

Si sente spesso ripetere che questa situazione è irreversibile, perché condizionata dal processo di globalizzazione. Di fatto la persona umana perde la sua centralità rispetto all’economia. Siamo agli antipodi di quanto insegna la dottrina sociale.

I singoli stati sono impotenti a dominare il processo: ma forse la “grande politica” gestita dai colossi mondiali, se ha veramente a cuore il destino dell’uomo, è in grado di modificare l’andamento economico o comunque di ridurne le conseguenze negative.

 

Migrazioni e diritti umani

 

L’Unione Europea implica di sua natura l’apertura delle frontiere alle merci e ai cittadini dei vari paesi membri. La convivenza di popolazioni tanto diverse per cultura, religione, esperienze storiche non sarà facile.

Si possono cogliere fin d’ora segni di questa difficile integrazione sociale, in alcune forme di intolleranza e perfino di razzismo nei confronti degli immigrati. Il grosso cambiamento in atto sta nel fatto che molte persone dell’est europeo, fino a ieri immigrate straniere, oggi sono cittadini comunitari a tutti gli effetti e lo saranno domani in misura ancora maggiore.

Il problema si porrà prevedibilmente per le comunità zingare, presenti, in percentuale significativa, in alcuni stati dell’est che sono già entrati nell’Unione, e soprattutto nella Romania e nella Bulgaria che entreranno nel 2007 (in Romania gli zingari sono circa il 10% della popolazione). A quel punto le popolazioni nomadi costituiranno la minoranza etnica-culturale più importante dell’Unione, con circa nove milioni di persone.

Già oggi questa società “itinerante” è la più emarginata, la meno tutelata, nei diritti fondamentali e la meno riconosciuta in Europa. Nel nostro continente grava ancora il ricordo dei campi di sterminio, che hanno colpito non solo gli ebrei, ma anche diverse centinaia di migliaia di zingari.

In occasione del giubileo del 2000, il santo padre sentì il dovere di chiedere perdono a Dio, a nome della Chiesa, per le colpe storiche dei suoi figli, commesse nei confronti dei gruppi sociali più deboli e in particolare degli zingari.

Gli stati dell’Unione dovranno farsi carico di garantire la titolarità dei diritti a queste persone, dai campi sosta attrezzati, alla scuola dei bambini (si calcola che la metà dei quattro milioni di giovani zingari sia esclusa dalla scolarizzazione) e all’assistenza sanitaria. Ci vorrà soprattutto uno sforzo culturale ed educativo diffuso, per facilitare la comprensione reciproca e la convivenza pacifica con queste minoranze: in prima fila dovranno esserci quanti credono nel Padre Nostro.

 

Stato sociale e salvaguardia dei poveri

 

Un interrogativo è circolato in occasione del recente allargamento dell’Unione: quale stato sociale produrrà l’Europa dei 25? Migliorerà o peggiorerà il servizio sanitario? Ci sarà un futuro per le pensioni?

Finora l’UE, molto impegnata nei mercati e nella moneta unica, ha rifiutato di affrontare il problema del welfare, considerandolo competenza dei singoli stati. È indubbio però che proprio il grande peso dato ai problemi economici avrà delle ripercussioni sull’impostazione dello stato sociale.

Nel corso dell’ultimo secolo e soprattutto nella sua seconda metà si sono confrontati nel mondo occidentale due modelli opposti di stato sociale.

Il primo, noto come modello universalistico, si propone di garantire la protezione sociale a tutti i cittadini, e affrontarne i costi attraverso la fiscalità generale, attuata con il criterio della progressività: ciascuno paga in proporzione alle proprie possibilità. Questo modello si è diffuso, sia pure in proporzioni diverse, in tutta l’Europa e ha garantito a ogni cittadino il diritto all’assistenza, alla sanità, alla scuola...

Il secondo modello – quello liberista – si impegna di garantire la protezione sociale, facendo perno sull’iniziativa libera dei singoli. Sono loro che devono impegnarsi, attraverso forme assicurative, a garantire i propri momenti di crisi: malattia, vecchiaia, invalidità, disoccupazione ecc. Le assicurazioni vengono pagate o con contributi lavorativi connessi alla retribuzione o con risorse personali. Chi non lavora o è privo di risorse familiari, viene affidato all’assistenza pubblica (nel limite delle disponibilità) oppure alla beneficenza privata. Il modello si è diffuso prevalentemente nel nord America, dove è stata incrementata la nascita di fondazioni con fini di solidarietà. Negli USA sono circa 49 milioni i cittadini che non hanno diritto all’assistenza sanitaria.

Negli ultimi decenni il modello universalistico è entrato in crisi, sia per l’aumento dei costi, sia per carenza di risorse economiche, sia per la diffusione della cultura neoliberista. Si sono così moltiplicati i ticket, si sono allargate le fasce di medicinali a pagamento. Oggi si sta progettando anche l’introduzione di un ticket alberghiero per chi viene ricoverato in ospedale. Le fasce economicamente deboli sono sempre più in difficoltà.

Il presidente della Commissione europea, Prodi, si è augurato, in occasione del primo maggio, che si sviluppi nell’UE una nuova solidarietà a raggio continentale. Per quanto riguarda il nostro paese, la prospettiva di una seria protezione sociale avrà senso solo se verranno assicurati a tutti i cittadini almeno i livelli minimi di assistenza previsti dalla legge quadro sull’assistenza 328/2000, e se crescerà simultaneamente da parte di tutti il dovere sociale nei confronti della comunità. È noto che oggi l’evasione fiscale è molto al di sopra del livello di guardia. Se mancano le risorse allo stato, per far quadrare i conti, altro non rimane che tagliare la spesa sociale.

 

Un’Europa solidale con il mondo povero

 

È illusorio pensare oggi di salvarsi da soli, in un mondo sempre più globalizzato. Neppure le grandi potenze mondiali possono sentirsi sicure se continuano ad ignorare i drammi del sottosviluppo del terzo mondo. La fame e le malattie continuano a mietere vittime. I morti per l’Aids in Africa sono più della metà di tutti i morti del mondo, a causa di questa malattia.

Non è pensabile risolvere questi problemi con l’elemosina da parte dei paesi ricchi. Vanno affrontati importanti nodi strutturali tra i quali le regole del commercio internazionale e i meccanismi che regolano i cosiddetti “brevetti intellettuali”. Oggi, ad es., i paesi poveri non sono in grado di acquistare i medicinali contro l’Aids, prodotti dalle multinazionali, che ne detengono il brevetto e ne fissano il prezzo.

L’Europa acquisterà sempre più peso nel contesto internazionale. Essa dovrà decidere se restare in una fortezza chiusa a difesa dei propri interessi o diventare promotrice di una nuova solidarietà nel mondo.

 

QUALE IMPEGNO

PER QUALE VOTO?

Se questi e tanti altri – ad es. la lotta contro la povertà, la difesa dell’ambiente, la pace – sono i gravi problemi, che deve affrontare l’Europa dei 25, quali doveri scaturiscono dal prossimo appello elettorale?

Anzitutto quello del voto: si tratta di un dovere civico. La diserzione dei seggi, per leggerezza e senza gravi motivi, indicherebbe scarsa sensibilità sotto il profilo della cittadinanza e anche sotto il profilo etico. Dovrebbe preoccupare l’assenteismo crescente che si registra in Italia (oggi gli astenuti costituiscono il primo o il secondo partito): esso indica un debole senso di appartenenza. La storia, anche recente, insegna che la sconfitta della democrazia inizia con il disinteresse e la deresponsabilizzazione dei cittadini.

È ovvio che deve trattarsi di un voto cosciente e maturo. Esso perciò esige la ricerca di informazioni sulla persona dei candidati, come pure sulla filosofia e sui programmi delle forze politiche sotto la cui egida essi militano. Deve trattarsi di persone e programmi che garantiscano risposte positive a tutti i problemi sopra ricordati.

Il voto per il parlamento di Strasburgo ci ricorda anche che abbiamo una doppia cittadinanza: quella italiana e quella europea. A questo secondo livello verranno decisi orientamenti e scelte sempre più determinanti per la vita ordinaria della gente. Per non essere culturalmente e politicamente spiazzati, anche noi, religiose/i e sacerdoti, abbiamo il dovere e l’urgenza di metterci in condizione di capire verso quale orizzonte ci stiamo muovendo.

Perciò dobbiamo impegnarci a pensare in grande, a informarci e a formarci, attraverso tutte le opportunità che ci vengono offerte: dibattiti, letture, programmi radiofonici e televisivi. Vale anche per noi, quanto andiamo ripetendo ai cristiani laici: meno tivù spazzatura e disimpegnata e maggiore spazio ai programmi che ci aiutano a crescere.

Infine va evidenziata la necessità di operare in rete. Oggi le singole persone, le singole famiglie, le singole comunità religiose non hanno alcuna possibilità di incidere negli orientamenti politici, economici, culturali del mondo complesso in cui viviamo. È necessario perciò associarsi, essere attivamente presenti nelle federazioni, nei collegamenti del volontariato e del non profit, nelle Caritas, sostenendo anche le associazioni che difendono i diritti umani.

La chiamata al Signore a renderci presente nel mondo e ad annunciare il progetto del Regno è sempre la stessa: cambiano le strade. Tra i doveri del cristiano c’è anche quello di prestare attenzione ai segni dei tempi.

 

Giuseppe Pasini